Venerdì 23

L’estate è finita, oggi arriva mio padre a trovarmi per una settimana, fuori piove, dopo mesi salterò per la prima volta l’appuntamento con l’immancabile Crocodile Bar versione Friday, lunedì invece secondo i piani andremo alle Cascate del Niagara.

Oggi all’improvviso è diventato autunno, ieri sera a mezzanotte facevano 25 gradi, e 30 erano quelli percepiti, attualmente fa 14 e piove, con un cielo coperto al punto tale che non sembra voler dare nessuna speranza di miglioramento.

Poco fa infatti mentre andavo al supermercato mi è tornato in mente il mio primo giorno a ottobre scorso, il primo dal mio ritorno dopo il Sinodo romano. Stesso cielo, stesso clima quasi. E ripensando a tutto quello che ci fu dopo mi sono stranito. In compenso, e questo è un bene da non sottovalutare, non ci saranno discussioni con la ragazza di Woodbrdige ma anzi, fra un po’ avrò la strana e insolita situazione di vedere mio padre aggirarsi per Lo Scannatoio, tirato a lucido per l’occasione.

Ho la netta sensazione che questa settimana sarà un bel ricordo, una di quelle cose che fra anni ripenseremo dicendo “Ma ti ricordi quando a Toronto…”

Si porterà via la mia roba estiva, consegnandomi invece due maglioni. Un passaggio che segna appunto la fine della estate che è stata, di San Matteo che se ne è andato e di due amici che hanno appena svoltato a 30.

Mi sta venendo l’abbiocco del venerdì pomeriggio dopo pranzo e magari stasera, nonostante dovrò ripiegare sul materassino da campeggio, vado a dormire un po’ prima del solito, prima dei soliti venerdì, visto che tutto il Crocodile sentirà la mancanza di uno dei suoi due capi assoluti e supremi.

 

P.S. Il post quello tipico, visto e rivisto, quasi scontato, del riepilogo “Estate 2016” arriverà fra un po’. Troppo è successo, o forse nulla, o magari sempre le solite cose, ma devo riordinare i pensieri e poi lo scriverò perché questa estate fra 20 anni me la ricorderò per avermi reso il classico personaggio da romanzo di formazione.

 

Una estate personale ed emotiva iniziata paradossalmente il pomeriggio di giovedì 7 aprile.

Qua’a foto là


IMG-20160909-WA0013Massì, chissà che s’eravamo detti, chissà se io j’ho detto ‘na cosa a Arfredo o lui a mme, boh, vacce a ccapì, de sicuro c’era ‘na frescaccia de mezzo. Ah che bbello Catto! Che poi m’è presa ‘n po’ ammale perché ho ricevuto sta foto ner ber mentre che stavo ‘n mezzo a tutti francesi. Quanno attaccheno a parlà tra de loro, gnente, nun li fermi e a dilla tutta manco s’areggheno dopo ‘n po’. C’ho vaghi ricordi de qua’a sera e nun zo perché. Me ricordo quer majone, qua’a camiscia, ‘e scarpe. C’ho ancora ‘na foto der tappo de sughero da’a bottija su ‘na scarpa mia. E Lacoste. Que’e scarpe che me comprai ‘na domenica pommeriggio de fine ottobre der 2008 a Porte de Roma.

Quanno m’hai ricordato che c’avevi er mar de capoccia m’è tornato in mente sto dettajo. Embè, gennaio der 2010, me ricordo er compleanno de Saretta prima che partisse. Stavamo a Marino, Albano, me sbajo sempre, e mica so’ di’i Castelli io. Annammo là, io passai a pià Francesca, me so seduto vicino a Arfredo a tavola e se perdemmo una de’e partite più esartanti de qua’a annata magnifica. La sera da’a rimonta cor Siena e er gol de Samuel ar recupero che ecco che viè ggiù ‘o stadio.

Tu nun c’eri e er motivo era pure giusto, ‘nzomma te rodeva er culo. Lei stava a partì e tu no pe’ corpa da’a tesi.

Gennaio der 2010, beh è er mese der primo viaggio che’emo fatto inzieme all’estero. Atene, ‘a Grecia, tutto vecchio ‘n po’ come Roma. Ammazza che brividi, ma ‘n te ricordi?

Era n’artra cosa daje, de che stamo a parlà… Sai che c’è, è che serate come quelle, quelle de qua’a sera là dico, da’a foto, beh que’e serate me mancheno. Forse più mò de prima, che quarche anno fa intendo. Sarà perché sto qua, ‘n culo ar monno, ma ‘n poi capì che darei pe ‘na cosa così. Che poi significherebbe tornà ndietro, perché se a rifamo domani, ‘nzomma, ‘n zarebbe ‘a stessa cosa, però ‘na robba der genere, de sentitte parte de ‘n gruppo de persone che frequenti e vedi, con cui ce connividi ‘n percorzo e poi te ce vedi ‘a sera, sta cosa qua come fa a nun mancatte?

‘A vita va avanti, anzi, troppo c’è ita si vai a vedè e nun zolo pe’ l’anni che so’ passati, è solo che nun ce sta gnente da fà, ogni cosa c’ha er tempo suo e si funziona è perché in quer momento ce stavano evidentemente pure ‘na serie de fattori pe falla funzionà. Me segui in quello che te sto a ddì?

Vabbè va, è solo che è venerdì, speramo de nun ritrovamme ‘n mezzo a n’artra serata come quella de 7 giorni fa, sinnò so cazzi da cagà tanto pe’ capisse. Mentre ce penzavo prima e me lo stavo a augurà, m’è tornata in mente sta foto e sti du’ penzieri che ho messo ‘n fila dopo che er cellulare m’ha fatta vede.

16/09/2016

Sola non la lascio mai

L’ultima volta la ricordo bene: 3 novembre, un sabato di autunno che stava per concludere una delle settimane più brutte della mia vita. Per 90 minuti mi dimenticai di tutto ed intorno alle 23 ero contento, e se c’era una cosa al mondo che poteva risollevarmi era veramente solo quella: battere la juve, nel suo nuovo stadio per primi, e farlo in rimonta con una partita incredibile in cui Tagliaventus fece di tutto per farcela perdere.

L’ultima volta a Milano invece era aprile 2010, l’ultima curva prima del rettilineo che ci fece entrare nella leggenda. Li ero contento, per tanti motivi, e lei c’era ancora. Se ne sarebbe andata due anni dopo, prima di quell’altra vittoria appena citata.

Ne è passato di tempo e prima o poi il numero giusto sulla ruota esce ed io ero convinto che potesse essere proprio oggi. Ancora di più dopo l’imbarazzante giovedì europeo. L’Inter è così, la sua soave follia consiste in questo, in quel modo unico di saper sorprendere sempre e comunque. Ieri mi è tornato il novembre 2003 quando in sette giorni vincemmo 6-0 con la Reggina, perdemmo in casa 5-1 contro l’Arsenal e poi schiantammo la juve a Torino senza mezza squadra per 3-1. Sentivo delle analogie con quella settimana, ma soprattutto sapevo che sarebbe stata ben altra storia rispetto a giovedì.

Meritata, giusta e conquistata nel modo più bello. Giocando meglio, correndo tanto, lottando e non mollando anche dopo l’ingiusto svantaggio. La squadra sta crescendo, nel possesso e nel creare occasioni da gol. Ha concesso poco oggi a una juve stanca, sbadata, a tratti quasi svogliata, forse un po’ troppa presuntuosa. Tutti hanno giocato una grande partita, inimmaginabile quella di Icardi che ha infiammato San Siro, tornato per una sera ai fasti di qualche anno fa per pubblico ed entusiasmo trascinante.

Bello, tutto molto bello per dirla alla Pizzul, come la presenza di alcuni eroi leggendari in tribuna, Gabigol che si è goduto lo spettacolo, Materazzi che alza la sua maglia al centro del campo mentre i tifosi juventini lo bersagliano. Bella la coreografia realizzata dai bambini all’ultima festa della Nord, ma soprattutto il gusto di vincere in rimonta ribaltando tutto in pochi minuti e annullando subito il vantaggio prima di finire in un burrone emotivo.

Che possa essere l’inizio di un nuovo viaggio ce lo auguriamo tutti, la qualità c’è, la voglia speriamo, serve tempo, inevitabilmente, e di tempo non ce ne è, ma vittorie come queste cambiano certe prospettive e devono essere sfruttate per fiducia e consapevolezza, due ingredienti necessari ma che si ottengono solo con giornate così.

Una magnifica domenica di fine estate che ci fa ben sperare, concediamoci qualche bel pensiero per un po’ di ore, c’eravamo quasi dimenticati del sapore di batterli, godiamocelo per un po’ adesso, anche perché è gustoso come poche cose al mondo.  

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Il Maestro e l’apprendista

Dieci anni fa ero a Tor Vergata a fare i test d’ammissione all’università, a distanza di dieci anni mi sono ritrovato a Toronto ad intervistare per mezz’ora Gianni Minà.

Avevo in testa questo ricordo, un giro mentale che mi capita spesso quando mi appresto a vivere momenti importanti o suggestivi. È un po’ come se mi volessi ricordare il percorso, la fatica e i passaggi attraverso i quali sono arrivato a vivere quel momento, deve essere una roba del genere.

Anche per questa intervista con Gianni Minà è avvenuto lo stesso e ho pensato che 10 anni prima iniziavo un sentiero che indubbiamente ha contribuito a farmi ritrovare intorno ad un tavolo con davanti a me un maestro vero e proprio.

Mercoledì ho avuto questo enorme privilegio di intervistare un personaggio che indubbiamente rappresenta il giornalismo italiano, probabilmente il più grande anche perché il più trasversale. Nessuno come Minà ha saputo spaziare per tre decenni dallo sport, al cinema, passando dalla musica per finire alla politica. Questa sua grande capacità lo mette inevitabilmente su un livello diverso e lo rende a mio avviso ancor più unico. Le persone più vecchie di me hanno vissuto l’incontro in modo diverso perché sono stati contemporanei a Minà e quindi avevano esattamente l’idea del valore del personaggio, meno nell’immaginario collettivo invece dei miei coetanei.

Uno dei miei primi ricordi di Minà in tv è legato al 1991-92, l’unica edizione della Domenica Sportiva da lui condotta e che io guardavo con mia padre. Ritrovarsi davanti qualcuno che hai visto centinaia di volte in tv è qualcosa di molto strano ma estremamente stimolante.

È stato tutto molto bello, così come le emozioni vissute tanto prima, quanto durante la chiacchierata. Un’ora insieme in cui in maniera del tutto naturale mi ha dispensato una serie di aneddoti, frasi, suggerimenti involontari, sorrisi ed una investitura finale con dei complimenti che saranno impossibili da dimenticare, e senza dubbio sarà un ricordo professionale e personale che terrò dentro di me con immenso piacere.

L’intervista si è basata sull’ultimo documentario di Minà che parla della visita di Papa Francesco a Cuba lo scorso anno, sullo sfondo il disgelo dei rapporti fra Cuba e Usa dopo oltre 50 anni. Parte dell’intervista ha ruotato intorno a questo, ma consapevole della ghiotta occasione ho sfruttato lo spazio per parlare anche di altro: di giornalismo, Olimpiadi, ricordi di carriera e non solo.

La percezione che fosse una bella intervista l’ho avuta fin dall’inizio, ma riguardandola ieri nella prima fase di montaggio ne ho avuto la conferma, una sensazione che mi ha reso felice perché il miedo escénico di trovarsi davanti un maestro ovviamente l’ho avvertito. Puoi essere freddo quanto vuoi e bravo a gestire le emozioni, ma quando ti trovi davanti a un Signore del tuo mestiere senti qualcosa di diverso dentro che ti solletica.

Minà, nonostante la stanchezza, il jet-lag, le interviste fatte in precedenza nell’arco di giornata, è stato molto disponibile e cortese, e da bravo narratore non si è mai sottratto a nessuna domanda anche a telecamere spente.

È stato un mercoledì pomeriggio divertente e per certi aspetti emozionante, e dieci anni fa, mentre mi accingevo a fare quel secondo test di ammissione, non avrei mai immaginato tanto. Sperato e desiderato sì, immaginato proprio no.

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Era tardi, il sole tramontava e lo 059 era fermo al capolinea davanti l’ospedale PTV. In sottofondo passò una macchina, una Yaris azzurrina, con “Me Voy” di Julieta Venegas, la mia canzone preferita di quella estate che stava per finire in archivio, una nuova vita stava per cominciare, c’era un nuovo percorso da vivere con i dubbi e le incertezze di una matricola. Eppure, dal 2 ottobre del 2006, nulla sarebbe più stato come prima, perché il primo luglio 2006, giorno del mio orale di maturità, segna uno spartiacque nella mia vita, perché c’è un prima e un dopo in funzione di quella data.