Tutto quello che ci serve

Scrivo a qualche ora da Inter – Napoli, perché in fondo penso che si possa iniziare a commentare questa stagione, ma soprattutto le ultime settimane ed il triste epilogo di una annata buttata via quando Ferragosto distava otto giorni.

L’ennesimo fallimento di questi ultimi anni post-tripletiani è stato un manuale di scelte scriteriate e mosse scellerate, un bignami di tutto quello che non si deve fare o quanto meno ripetere.

Mentre si riconcorrono le voci su chi sarà il nuovo allenatore, penso che sia opportuno distribuire responsabilità e colpe un po’ a tutti, perché nessuno si può salvare da questo altro calvario, se non i tifosi che hanno battuto un record dopo l’altro per affluenza e calore.

La madre delle disgrazie rimane quella di domenica sette agosto, quando Mancini firma la rescissione. Un fulmine a ciel sereno per la rapidità e i modi, ma era chiaro il malessere del tecnico, soprattutto nel momento di transizione (anche questo piuttosto repentino) fra Thohir e Zhang,

La prima domanda che ancora mi pongo è perché un presidente in uscita, o prossimo a diventare socio di minoranza, debba decidere questo cambio e raddoppiare il disastro con un sostituto impalpabile?

Io spero che Zhang gli abbia dato un permesso come per dire: “Vai avanti tu su questo aspetto, tu sai meglio di me e io mi fido di te”. La storia ci ha detto, qualora fosse andata cosi, che Zhang ha fatto male a fidarsi perché Thohir, oltre ad avere per mesi preso tutti in giro su “Mancini come punto fisso” ha dimostrato di non aver capito l’Inter ed il calcio italiano dopo tre anni di presidenza. De Boer è stata una decisione sua, attratto da quel mondo Ajax che funziona in Olanda ma non in Italia, e da un personaggio che era condannato fin dall’inizio a fallire, e forse avrebbe sbagliato tutto, non così miseramente, anche se fosse salito in sella due mesi prima.

Il Pioli “Salvatore”, quello scelto con il casting, era disponibile anche a quel tempo, si decise di virare su altro, sulla novità, sul colpo a sorpresa, sulla pazzia.

Da lì in poi eè stato un lungo percorso di figuracce, dove sono state inanellate partite penose, con De Boer lasciato in pasto a tutti, e una società che oltre a fare proclami sul futuro non riusciva a fare quadrato.

Fuori De Boer dentro Pioli. Un partenza con normali alti e bassi, poi la rincorsona grazie ad un calendario in discesa ed un campionato che alla fine della prima di ritorno era già deciso con 3 retrocesse e 10 squadre in vacanza. Una vergogna, una tristezza inaudita.

Pioli ha fallito il quarto secco con la Lazio di Coppa Italia, la partita con la Juve in cui tutti hanno fatto una figura pessima per le polemiche inutili, e ha toppato la sfida interna con la Roma con l’esperimento del “quadrato” a centrocampo che ha solo creato confusione.

Svanito il sogno di rimonta Champions, una utopia che per alcune settimane aveva dato benzina extra all’ambiente, la squadra si è dissolta del tutto, dopo un normale e accettabile pareggio a Torino.

Sconfitta con la Samp e poi burrone emotivo con il primo tempo di Crotone che rimane per me quello peggio giocato, considerando anche il non-valore degli avversari, degli ultimi 25 anni.

La squadra si è persa, Pioli non ha saputo tenere la barra dritta e motivare un gruppo che svanita l’impresa terzo posto si è lasciato andare.

Pioli ha delle colpe su questo e non si può negarlo, sempre meno però di chi ha ripetutamente mostrato di non essere professionista. Crotone rimane l’esempio più eclatante per me, perché anche se non lotti per la tua maglia, o per il tuo stipendio, farlo per te stesso, perché ti stai facendo umiliare da un avversario in un certo senso impresentabile e dovresti avere almeno una reazione personale, anche di nervi.

Questo vuoto che si annida in chi scende in campo ultimamente è un segnale pericoloso e davvero scoraggiante. Vedere gente priva di tutto è quanto di peggio, perché sì, le grandi squadre sono fatte sempre anche da grandi uomini e gente di personalità e carisma, valori che qua scarseggiano in maniera evidente.

Rimango dell’idea che arrivare in Europa sia un dovere, sempre e comunque e le sciocchezze sul fatto che questo poi cambi la stagione e provochi fastidi sono inaccettabili.

Per preparare un preliminare con lo Stjarnan non devi iniziare un mese prima, perché vale, anche per la qualità dell’avversario, come una amichevole in Trentino con una compagine di dilettanti.

Si parla ormai da settimane del dopo-Pioli, proprio perché questo crollo verticale ha dimostrato che ha perso la briglia della squadra e non può più rimanerne al comando.

I nomi sono i soliti, sfortunatamente sono pure difficili, per varie ragioni. A me il più fattibile per ovvi motivi sembra Simeone, che ha forse terminato il suo ciclo a Madrid. Vorrei lui sopra chiunque altro perché la storia ci ha spiegato spesso che all’Inter funziona la dittatura e non la democrazia. Il sergente di ferro e non lo zio buono.

Da Herrera a Bersellini, passando per Mourinho, Trapattoni e Mancini, la guida di una Inter vincente ha sempre fatto rima con condottieri e Simeone incarna al meglio ciò di cui l’Inter ha bisogno. Carisma, prestigio, esperienza, credibilità e appartenenza: Simeone è l’uomo che serve, con quelle qualità utili anche per colmare le palesi lacune societarie.

Sì, perché di questa dirigenza è dura fidarsi. Per come non è stato protetto De Boer, per come è stato scelto Pioli, per come si sia pe permesso a Icardi di pubblicare una biografia senza controllo, per mille voci che mai sono state messe a tacere prontamente, per tanta confusione e ruoli indefiniti come quello di Gardini e quello molto superficiale e di pura rappresentanza di Zanetti.

A Ausilio intanto è stato rinnovato il contratto fino al 2020, colui che nonostante mille rivoluzioni negli ultimi anni è sempre rimasto e sembra intoccabile. Personalmente, qualche dubbio su di lui inizio a nutrirlo, forse sarebbe il caso di rimpiazzarlo e di ripartire veramente zero. Sfruttare la rivoluzione cinese sarebbe un bene, fare piazza pulita di un po’ di gente, anche dietro la scrivania, dopo il bel Bollingbroke o magari il fantasma Williamson.

Grandi squadre hanno come detto grandi uomini, ma non solo in campo, anche negli uffici, persone abili e in grado di guidare un club di tale valore.

Sorrido se penso ancora a chi buttava la croce su Branca, in questi anni abbiamo visto di tutto e ogni volta sembra che si riparta da zero per commettere in seguito gli stessi sbagli. Ci sono i soldi ora, e questo non è dettaglio, ma anche questa stagione ci ha già fatto capire come poi sia importante saperli spendere in modo adeguato.

Serve molto a questa Inter per tornare a certi livelli: investimenti, dirigenti, un allenatore e giocatori adatti. Serve molto per non dire tutto, così come un po’ di sano interismo, un po’ di senso di appartenenza che negli anni è andato a scomparire.

C’è bisogno di tanto insomma, iniziare a lavorare sul domani con anticipo potrebbe essere un passaggio determinante, con la speranza che le lezioni passate siano state veramente comprese.

È tempo di una nuova fase, ma una vera, dopo tre proprietà e dieci allenatori in pochi anni, è tempo di ridare all’Inter ciò che merita e a chi la segue incondizionatamente qualche nuova emozione.

Sulla gestione Gabigol bisognerebbe scrivere un post lungo giorni, ma non ho troppo tempo per approfondire misteri di tale grandezza.