Natale, il derby che torna, i documenti. Tutto.

Diciannove anni fa me ne stavo lì in camera degli ospiti, sul tappeto rosso, a vedere su Raitre il famoso derby del -37, il distacco che la Kinder inflisse severamente ai campioni d’Italia in carica della PAF.

Era il derby di Natale del 2000, l’anticamera di un anno che avrebbe consacrato quella squadra la più forte di sempre poiché in grado di vincere tutto.

Ci pensavo ieri, mentre me ne stavo al municipio e riflettevo alla data: 23 dicembre. Sì, perché quel sabato pomeriggio, mentre sentivo la teelcronaca di Franco Lauro e Dinone Meneghin non avrei immaginato che quasi un ventennio dopo, lo stesso giorno, sarei andato a consegnare gli ultimi, sofferti e agognati documenti per il matrimonio.

Pensavo a tutto questo mentre un derby di Natale, e stavolta nel vero senso del termine, incombe. In quel pomeriggio di fine 2000 infatti, non avrei nemmeno immaginato che a un punto, per oltre dieci anni, saremmo stati senza derby, per disgrazie e peripezie varie.

Tanto abbiamo dovuto attendere, e un decennio, questi anni Dieci, si stavano per chiudere senza un derby vero in Serie A.

Domani sera, saremo lì, pronti a vivere un derby insolito, con il pranzo ancora sullo stomaco e gli occhi solo per Eurosport.

In mezzo c’è stato il derbyino di A2 nel 2017, una roba di cui tutti avremmo fatto meno, un appuntamento obiettivamente triste nella storia di Bologna, un manifesto di come fosse diventata Basket City.

Ora però siamo qui, con rinnovate speranze e ambizioni grandi, in testa e con loro dietro a sognare il colpo.

Sono passati dieci anni e mezzo da quella tripla di Vukcevic sulla sirena che ci permetteva di sbancare il PalaDozza, era marzo 2009, avevo 22 anni da poco compiuti e una triennale ancora da finire.

Nel frattempo è passata una vita ma la saga può tornare finalmente, magari senza altri intervalli così lunghi.

Buon Natale, ma anche buon derby.

Dieci anni dopo, è sempre 16 dicembre

Iniziava 10 anni fa questa storia del 16 dicembre. Dieci anni fa infatti mi laureavo alla triennale e chiudevo il mio primo ciclo di università. Un bel mercoledì di sole, di cielo terso, un piccolo traguardo che metteva fine a un periodo ribattezzato la “Tesissea”: una giornata perfetta.

Dieci anni sono passati e questo anniversario fa decisamente più effetto degli altri per la sua cifra doppia e quindi tonda.

Un decennio che poi mi ha portato per casualità varie volte a ricordare questo giorno in modo diverso, perché l’anno dopo ero in viaggio fra Abu Dhabi e Dubai in attesa di giocarmi in tutti i sensi la Coppa Intercontinentale essendo lì.

Mille volte mi sono detto – e mi è stato detto – se mai avrei creduto di ritrovarmi negli Emirati un anno dopo per quel motivo, la risposta è sempre stata assolutamente no, ma d’altra parte, quel 2009 stava lasciando il passo e lo spazio al 2010, al famoso annus mirabilis.

Ogni 16 dicembre mi sono ritrovato qua a scrivere una specie di resoconto dell’anno e ancora di più a sbilanciarmi, per gioco e scaramanzia, su dove mi sarei ritrovato il 16 dicembre successivo.

“Dimenticavo la cosa più importante: il pronostico sul prossimo 16 dicembre. Spero lontano da tutto questo, sotto ogni punto di vista”.

Questo era il pensiero finale dello scorso anno, una settimana dopo il primo disastro che inaugurava una catena di un certo livello.

La risposta è che sono qua. Per niente lontano, ma felice almeno di scrivere queste righe da casa di mia nonna, da questa camera, sopra questa scrivania.

Un anno che mi ha messo in sospeso, tenuto appeso, e vincolato. Un anno in cui a un punto mi è stato chiaro che non era possibile essere altrove oggi, una conseguenza dei tanti problemi, alcuni vissuti indirettamente.

Quindi? Che 16 dicembre 2020 pronosticare? Cerco la controtendenza, dico quello che non spero, e allora scrivo l’opposto di quanto detto 365 giorni fa.

Fra dodici mesi esatti ci vediamo qua, in questa provincia. Spero di no, ma temo di sì. A essere ottimisti in certi tempi è impresa semplicemente ardua.

L’anno esasperante

Fatico molto a chiamare il 2019 “anno”. Non è stato un “anno” ma semplicemente un incubo iniziato con il prologo di fine 2018 e proseguito ad ampie falcate nel corso di questo 2019 verso il baratro.

Dodici mesi in cui ci sono stati solo problemi. Dodici mesi di cui avrò solo un bel ricordo, la settimana a Panama per la GMG, una splendida esperienza che desideravo dal luglio 2016 e che non ha deluso le aspettative.

Tolto questo brevissimo segmento, le restanti 51 settimane sono state falcidiate da ogni problema.

Ho rischiato di morire sul volo Toronto-Amsterdam per una crisi allergica e ho avuto uno sfogo in faccia qualche settimana dopo in cui un herpes mi ha lasciato ancora dei segni evidenti.

Un cazzo di anno in cui non ha funzionato niente, anche a livello pratico: computer (numerose volte), telefono, macchina, serrande di casa, termosifone del bagno, scarico della doccia, internet, badanti.

Un 2019 in cui mi sono incollato tre enormi problemi di cui sono stato vittima e che ancora oggi non riesco e non posso risolvere mio malgrado. Tre mega problemi che mi hanno scortato in modo fedele per mesi, scoppiati più o meno tutti insieme a cavallo del 2019.

Un incubo che mi ha perseguitato, uno stillicidio che non sembra voglia terminare in nessun modo. Un anno di questure e tribunali, luoghi che è sempre meglio non frequentare, un anno di appuntamenti mancati, numeri chiamati a vuoto, un anno che spesso si è rivelato un gigantesco gioco dell’oca nel quale si tornava sempre indietro, al massimo, fermi sulla stessa casella aggrovigliati.

Altra gente ho perso per strada in questo 2019, e alla fine dubito che sia stato proprio un male. Un anno in cui tiri fuori soldi e non ne prendi, di sacrifici, di incazzature, di perdite di tempo inenarrabili, mesi a dovermi preoccupare per tutti.

Rimangono le due brevi vacanze, almeno quelle, in estate, qualche weekend fuori e una interminabile sequenza di preoccupazioni. È stato l’anno in cui ho dormito decisamente meno, perché il sonno me lo hanno succhiato via i problemi una goccia per volta.

Un anno in cui ho avuto i lavori intorno casa senza sosta e mentre scrivo ancora ci sono operai che sbattono addosso al muro per rifare i balconi. Un anno in cui sono stato svegliato dal trapano di qualcuno almeno per un terzo dei giorni.

È stato esasperante.

Un cazzo di anno esasperante.

Un 2019 in cui mi sono ritrovato a dire parole che mai avrei immaginato, a formulare pensieri a me sconosciuti. Un anno di tribolazioni che alla lunga sfiniscono, e più cerchi la soluzione e più finisci per perdere tempo.

Può sempre andare peggio, e questo lo so bene, ma il 2020 si dovrà impegnare molto, ma ho fiducia nella forza del destino.