Quasi nel 2020 eppure…

Siamo quasi nel 2020, eppure vanno in scena ancora situazioni che mi lasciano interdetto.

Quasi nel 2020 e ancora le persone si esaltano per manifestazioni contro. Noi che siamo il paese dell’anti stiamo vivendo giornate di ribellione popolare politica.

Bello lo slogan, questo sì, bella l’idea di usare lega come verbo riferendosi al partito, in senso ovviamente contrario. Preso di mira il cattivo di turno, ribadito al mondo intero, ossia il nostro quartiere italico al massimo, che non si è con quello lì, ci si sente più a posto con la coscienza e via.

Quasi nel 2020 e una coppia di giovani trentenni o giù di lì, che sabato da Euronic si interrogavano del perché ora vanno di moda queste bottiglie di metallo per bere, fashion, trendy, colorate e costose. “Che poi la plastica si ricicla” asseriva lui, “Ma infatti io mo’ non capisco che gli è preso alla gente tutto insieme” aggiungeva lei, con curiosa e beata sorpresa, in un crescendo di insensibilità come se tutto fosse una splendida trovata commerciale di fine decade.

Quasi nel 2020 e la gente ancora paga abbonamenti per vedere campionati sempre uguali. Fotocopie di stagioni in cui l’esito è sempre uguale. Migliaia di clienti che minacciano disdette a raffiche per un commento fuori posto e poi sono sempre lì con il telecomando in mano a vedere lo stesso film.

Quasi nel 2020 e chissà se questa volta la stampa sportiva avrà la forza di ribaltare un concetto. Chissà se a maggio quando la Juventus vincerà l’ennesimo scudetto sapranno dire: “La famosa e impeccabile dirigenza bianconera, sempre capace e strepitosa nel pianificare ogni mossa, stavolta ha sbagliato tutto. I due esuberi che hanno cercato di cedere in ogni modo in estate si sono rivelati semplicemente determinanti nella conquista del nuovo titolo”. Ma anche se saremo nel 2020 in quel caso, sarà bene non attaccare il potere.

Quasi nel 2020 e ci siamo sempre più americanizzati anche su un aspetto natalizio: addobbare tutto prima che finisca novembre. Eresia nel passato, normalità oggi. Quasi nel 2020 e ancora si producono e vendono prodotti al “gusto pizza”. Facevo la spesa stamattina e mi sono ritrovato davanti ad uno scaffale di grissini in offerta al gusto pizza. La speranza è che siano lì, perché la gente non ha più il coraggio di essere complice del gusto più insensato che ci sia.

Sarebbe un passo avanti almeno questo, quando mancano 36 giorni al 2020 e Venezia, intanto, affonda.

Il Muro di Berlino e Karol Wojtyła

Cinque anni fa, il 9 novembre del 2014, affacciato dalla finestra del Palazzo Apostolico per il consueto Angelus domenicale, Papa Francesco ricordava il 25esimo anniversario dalla caduta del Muro di Berlino sottolineando il ruolo fondamentale di San Giovanni Paolo II.

“La caduta avvenne all’improvviso, ma fu resa possibile dal lungo e faticoso impegno di tante persone che per questo hanno lottato, pregato e sofferto, alcuni fino al sacrificio della vita. Tra questi, un ruolo di protagonista ha avuto il santo Papa Giovanni Paolo II. Preghiamo perché, con l’aiuto del Signore e la collaborazione di tutti gli uomini di buona volontà, si diffonda sempre più una cultura dell’incontro, capace di far cadere tutti i muri che ancora dividono il mondo, e non accada più che persone innocenti siano perseguitate e perfino uccise a causa del loro credo e della loro religione. Dove c’è un muro, c’è chiusura di cuore. Servono ponti, non muri!”

Sono passati cinque anni e Berlino si appresta a celebrare il 30esimo anniversario dalla caduta del Muro avvenuta un giovedì sera, una notte nella quale a tutto il mondo fu evidente come la gente avesse perso la paura. Questo il pensiero di Navarro-Valls, a lungo direttore della Sala Stampa della Santa Sede e portavoce di Karol Wojtyła.

Non era sorpreso il pontefice di quello che stava succedendo, era in fondo il compimento di un processo che durava da dieci anni.

Solo 22 giorni più tardi infatti, Papa Giovanni Paolo II ricevette Mikhail Gorbaciov in Vaticano, un incontro nato in realtà un anno prima, quando fu il Cardinal Casaroli a consegnare al presidente sovietico una lettera personale da parte del pontefice.

“Dite al Papa di Roma che andrò a trovarlo”. Questa fu la risposta di Gorbaciov il quale presentò come “Più alta autorità morale della Terra” ma anche come “slavo” il pontefice alla moglie, secondo i racconti su quell’incontro di Navarro-Valls.

Il muro crolla proprio il giorno della dedicazione della Basilica di San Giovanni in Laterano, la cattedrale del Papa, vescovo di Roma. Due anni più tardi, la bandiera rossa viene ammainata il 25 dicembre 1991 dal Cremlino.

Date e momenti che segnano la storia, rendendo alcune giornate semplicemente periodizzanti.

Qualche anno dopo, in un libro-intervista con Vittorio Messori, intitolato «Varcare la soglia della speranza», il pontefice affermava:

“Il comunismo come sistema è, in un certo senso, caduto da solo. È caduto in conseguenza dei propri errori e abusi. Ha dimostrato di essere una medicina più pericolosa e, all’atto pratico, più dannosa della malattia stessa. Non ha attuato una vera riforma sociale, anche se era diventato in tutto il mondo una potente minaccia e una sfida. Ma è caduto da solo, per la propria immanente debolezza”.

Sono passati 30 anni da quella notte, da quando quei 155 chilometri di cemento armato che dividevano una città e per estensione il mondo, furono assaltati. Trent’anni in cui l’Europa ha vissuto diverse fasi: si è interrogata su se stessa, ha adottato una moneta unica, ha scelto e ha lasciato scegliere. Trent’anni che hanno dimostrato una verità innegabile che ci è stata consegnata da quel giovedì sera di inizio novembre: “non sempre le grandi tragedie umane si risolvono con la violenza, perché si possono risolvere con le idee che riempiono di senso la vita delle persone”.

Pensieri e parole di Navarro-Valls, l’uomo più vicino al principale protagonista della caduta del Muro.