Questo è il nostro gioco

Leggevo una serie di tweets da parte di Pierluigi Pardo giorni fa, un prolungato elenco in cui ricordava alcuni momenti, suoi personali con l’hastag #questoeilnostrogioco. Ho preso la palla al balzo e allora ho deciso di farlo anche io, ma non twettando bensì scrivendo qualcosa sul blog. Senza punti e nemmeno pause, tutto di fila come le emozioni che generano questi ricordi.

Il Supersantos arancione, il Supertele a vento, il Tango un po’ più pesante, ciabatte infilate nella sabbia come pali di porte senza traverse, il cortile di mia nonna che era il mio stadio, partite che duravano ore e si riprendevano il giorno dopo, sguardo fisso sull’orologio in attesa delle 4 per scendere di sotto a giocare nella calura estiva, sfide in numero dispari in cui si mettono i più forti nella squadra con meno persone, l’orgoglio di sentirsi scelto per primo dal capitano di turno, “Er pallone è ‘r mio e faccio come me pare…”, ginocchia sbucciate, scarpe impolverate, mamme che chiamano dieci volte per avvertirti che la cena è pronta, “Tedesca” e il gol di spalletta, la traversa di ferro più bassa del portiere e il palo di legno della luce, il cross alla Beckham e lo stacco di testa alla Oliver Bierhoff, Subbuteo, la battaglie alla Playstation, la maglia con il 10 della Fiorucci, la formazione ripetuta a memoria 1994/95, l’album della Panini Calciatori comprato a fine dicembre, “Ce l’ho, ce l’ho, mi manca”, il diario di Bobo Vieri in terzo superiore e la foto di Zanetti sul quaderno alle medie, la maglia di Cantona comprata nel 1996 a ExpoTevere e quella dell’Aston Villa regalata da amici di famiglia, la scommessa vinta a sette anni sulla bandiera dell’Olanda, la maglietta dell’Inter originale tutti gli anni, il gol di punta a Enrico nel dicembre 2004 e la corsa folle per andare ad abbracciare Gabriele a bordo campo, sdraiarsi per terra ed infilare la gamba sotto una macchina per recuperare il pallone sporco di grasso nero, la domenica mattina a vedere la squadra del quartiere ma solo al secondo tempo così non si paga, la Gazzetta dello Sport a 1400 lire nel 1997, Novantesimo minuto condotto da Galeazzi e visto con mio papà alle 18.10 la domenica su Raiuno, Quelli che il Calcio con Fabio Fazio, Holly e Benji, il boato alla radio e la speranza di sentire subito dopo la voce del telecronista dire “Vantaggio dell’Inter”, il libro game di Carlo che provai a cercare ovunque nell’inverno del 1996, la foto con Berti appesa in camera e quella in braccio a Matthaeus, ma anche quella con Orlandini che decise i due derby di coppa Italia 1994/95, il Real Montebello, la mia maglia numero 6, Italia-Nigeria e Robi Baggio, il gol di Grosso alla Germania, Inter-Barcellona e la bolgia più grande che ricordo di aver mai sentito in vita mia, il 2-0 di Milito e la sensazione di essere a un passo dal paradiso ma anche dall’infarto, l’abbraccio con Alfredo nell’inferno di Piazza Duomo e la telefonata ai miei gridando “L’abbiamo vinta! L’abbiamo vinta! L’abbiamo riportata a casaaaaaaaa!!!”, le manette di Mou, i 30 minuti di pianto senza pause sul taxi ad Abu Dhabi per raggiungere lo stadio Al Zayed Sport City, la finale di Istanbul, il 3-3 allo scadere di Gerrard nella finale di FA Cup del 2006, la pelle d’oca la prima volta che ho sentito “You will never walk alone” allo stadio e l’emozione di toccare il “This is Anfield”, Pistone che mi firma il pallone durante il pranzo della Comunione e Totti che dice stronzo al cane perché non corre a prendere la pallina che gli ha appena tirato, Borghesiana, “Papa’, se vinciamo le prossime otto partite, vinciamo tutto…”, i derby dialettici con Vincenzo, “Mamma non ti muovere da lì che ha segnato Vieri, ora passi 40 minuti ferma vicino al termosifone”, gli scarpini della Lotto con il logo verde, i parastinchi della Umbro professionali con tanto di proteggi-caviglie di Alan Shearer regalati per il compleanno del 1995, le partite di calcetto il venerdì sera dalle 21 alle 22, il tricolore al balcone durante Mondiali e Europei, la seconda prova di maturità consegnata prima perché “Aho, fra un po’ gioca l’Italia e io qui tanto non ce capisco ‘n cazzo, vado, se vedemo domani…”, Bruno Pizzul, la foto con Moratti che per salutarmi mi dà un buffetto sul collo, la sciarpa messa sulla sedia la sera prima di partire, la prima volta allo stadio ed il cuore in gola finiti i gradini mentre scorgi il tappetto verde davanti a te, “Non chiedermi mai di scegliere se in contemporanea ci sono undici uomini vestiti di nerazzurro che corrono dietro ad un pallone”, San Siro con mia nonna e mia mamma, Telepiù e Sky, i mondiali su TMC, il blog di Settore, la sigla di Domenica Sprint appena finito il bagno della domenica, il Fantacalcio, l’arrivo di Ronaldo a Milano il 27 luglio 1997, le torri del Meazza e le targhe appese con i trofei vinti, la porticina azzurra comprata e montata sotto il tavolo di vetro in sala, la pallina di spugna per giocare dentro casa senza rompere nulla, le finali di Coppa di Francia giocate nel salone di mia nonna da solo scegliendo sempre il Le Havre, partite fra i palazzi ed in mezzo a macchine parcheggiate, il Granada, Goalunited, il Megadrive e Total Football, Abbiati che devia con il ginocchio il tiro di Kallon che ci porta a Manchester, leggere Inter News la sera prima di dormire e la mattina appena sveglio per sapere chissà cosa, le file al botteghino in cerca di un prezioso biglietto, la tessera clonata nei primi anni duemila per vedere Telepiù, il Processo di Biscardi, il gol segnato sul campo di terra a Sant’Atanasio da corner, la sciarpa dell’Aston Villa comprata sul lungomare di Alghero a dieci anni, disegnare le curve degli stadi, Febbre a 90°, l’angoscia del derby, il Valium preso alla fine del primo tempo di Parma-Inter 2008 e Siena-Inter 2010, lo svenimento rischiato al gol di Crespo a Brescia all’ultimo minuto nel sabato di Pasqua del 2003, la rimonta con lo Strasburgo, il gol nei supplementari di West a Gelsenkirchen, il megafono, “Per noi è un sogno, per loro è una obsessione. Noi vogliamo inseguire il nostro sogno…”, la sveglia all’alba per andare a prendere un volo Ryanair per Milano, l’albero di Natale con le palle nere e blu ed il presepe con i pupazzetti dei giocatori dell’Inter, il “Mi dispiace non posso venire, c’è la partita”, la radiolina accesa all’ultima ora del venerdì per sentire i sorteggi di Coppa a scuola, la tessera dell’Inter numero 007, 65 Euro per un biglietto di terzo anello verde, la soddisfazione infinita di vedere una volta nella vita sull’album Panini dopo la pagina dell’Inter non quella della Juve nel 2006/07, le attese, le lacrime e le gioie, la passione e le notti insonni pensando al giorno dopo, 24 ore vissute in funzione di 90 minuti, Wisla Cracovia –Inter alle 13,45 di Coppa Uefa un giovedì di autunno, “Preferisci andare a Euro Disney o a vedere la finale con lo Schalke 04 a Milano?” “A me de Topolino nun me ne frega niente…”, il Circo Massimo in festa nel 2006, la mia tesi su Hillsborough e l’orgoglio di metterla sotto il Memorial ad Anfield, potrei non finire più…ma QUESTO E’ IL NOSTRO GIOCO.

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Maggio 1991