Luxor

Quattro giorni fa, il 2 novembre, è stato il compleanno di Luxor. Ha compiuto 43 anni e mi sembra veramente una vita fa quando giocavo insieme a lui ed era un giovane, molto più giovane di quello che sono io ora.

Luxor è un pupazzo dei “Cavalieri dello Zodiaco” che i miei genitori trovarono durante una passeggiata in Val Gardena un pomeriggio d’estate di oltre venti anni fa. Qualche bambino, percorrendo lo stesso sentiero, poco prima, lo aveva perso, mentre loro ci erano inciampati sopra e lo avevano riportato indietro regalandomelo. La caratteristica di Luxor era la sua dimensione, era infatti un pupazzo gigante, alto almeno 30 cm, più del doppio di tutti gli altri della collezione. Una cosa che non avevo mai visto in Italia, ma che forse, altrove come in Germania o in Austria, terre da cui provenivano molte famiglie che affollavano la Val Gardena, esisteva.

Luxor era azzurro e con i capelli viola, ma soprattutto era senza armatura, i miei lo trovarono spoglio, fosse stato anche dotato di tutto il resto sarebbe stato un colpo esagerato, invece no. Un finto problema in fondo, sia chiaro, perché Luxor andò a rimpolpare la mia batteria di pupazzi del Wrestling, dei “Cavalieri dello Zodiaco” oltre al grande Jim, talentuoso fenomeno degli “Sbullonati”.

A quei tempi il Wrestling andava forte e io ne ero un discreto fan, ma quelli erano anche i tempi del grande Hulk Hogan e non certamente la pagliacciata che provarono a rimettere in piedi intorno i primi anni Duemila.

Il problema è che dopo un po’ i combattimenti sul ring originale del Wrestling iniziarono ad andarmi stretti e così con tutti i pupazzi che avevo decisi di farli giocare a calcio. Se penso a uno dei primi momenti di svolta epocale della mia vita, questo appartiene certamente a tale categoria.

Iniziai così ogni sabato pomeriggio -almeno il sabato pomeriggio- a giocare partite infinite sul tappeto della mia camera. Una pallina, 22 giocatori in campo, due porte e io che parlavo e facevo giocare questi pupazzi creando un mondo di fantasia raro. In tutto questo però, la mia squadra era sempre l’Aston Villa, una scelta che dava un tocco ancor più British al sabato pomeriggio già molto di suo da Premier League. Non so perché scelsi i Villans, forse perché poco tempo prima, nel 1991 in Coppa Uefa, ci batterono 2-0 a Birmingham e sembravano correre come assatanati. Al ritorno però andò in scena una di quelle notti da Inter e ribaltammo tutto con una delle nostre storiche imprese, un successo che ci spianò poi la strada verso quella coppa.

La partita del sabato pomeriggio diventò un appuntamento fisso e i miei giocatori scendevano in campo puntualmente, a Natale del 1994 ricevetti un tappeto verde disegnato come un campo da calcio, uno dei regali più belli di sempre, che abbinato al Subbuteo e alle porte vere in miniatura che potevo usare, mi regalarono la sensazione di essere veramente allo stadio. A tutto questo, andava aggiunta la mia già discreta passione e pazzia per il tifo e le curve, intorno a questo tappeto-stadio infatti c’erano fogli disegnati con bandiere e striscioni per rendere l’atmosfera ancor più realistica.

In questo meraviglioso mondo parallelo, Luxor era uno degli uomini cardine. Lui era capitano della squadra, era olandese ed era nato ad Amsterdam il 2 novembre. Non so perché scelsi quella data, forse per un bislacco senso di malinconia che accompagna questo giorno, di certo la nazionalità era stata scelta per cavalcare l’onda dell’entusiasmo dell’arrivo di Bergkamp e Jonk.

Ricordo la sera che Dennis Bergkamp firmò per l’Inter. Era tarda primavera ed eravamo a cena da mia nonna, la notizia me la diede mio papà e non penso di essere mai stato tanto felice nel ricevere una notizia del genere. A volte si vuole bene alle persone anche per cose apparentemente banali, io ad esempio so che voglio bene a mio papà anche per la gioia che mi regalò quella sera.

Luxor appunto era un giovane campione, enorme in campo, non solo per la stazza extra-large ma perché avevo deciso che era un capitano vero, uno di quelli che vinceva le partite da solo.

Io passavo i miei pomeriggi a fare le telecronache, e ovviamente, e qui arrivo al punto anche se so di averla presa larga ma sono consapevole che era necessario, decisi quale lavoro avrei voluto fare. Ero piccolo ma avevo scelto, e lo avevo fatto raccontando nella maniera più spontanea del mondo le gesta di pupazzi di diversa estrazione che dovevano giocare partite surreali di Premier vincendo quasi sempre.

Quella naturalezza nel fare quella cosa non mi ha mai abbandonato e crescendo ha fatto sì che io non potessi fare altro che quello.

E quindi, ogni volta che qualcuno prova ad allontanarmi, a portarmi anche idealmente lontano da quella strada io mi incazzo. Mi trasformo, cambio completamente perché so quello che devo difendere, so ciò che rappresenta per me e che non devo permettere a nessuno di mettersi in mezzo fra me e questa cosa, se non al massimo il sottoscritto.

Non lo permettevo prima, figuriamoci ora, soprattutto dopo anni di studio, sacrifici e fatica.

Per cui, non vi frapponete, non mi intralciate la strada, non mi rompete i coglioni.

Non sento storie, anche perché non posso deludere Luxor.

20131031