Bentornato a Toronto, Matteo. Bentornato!

Di notizie inattese e sorprendenti in senso negativo al 28 di ottobre ne ho le palle piene. Certo, nulla in confronto a tre anni fa, però il fastidio e qualche dubbio mediamente grosso sul futuro mi rimane. Di certo l’impatto con l’ufficio nella saga di “Toronto atto II” poteva andare meglio. E pensare che avevo risolto il problema della casa all’ultimo istante alla grande, che il viaggio in aereo era andato bene anche grazie a un documentario sul buon Ginola e a una bella commedia romantica all’italiana con un fenomenale Neri Marcoré nel ruolo del matto (anche se a me è piaciuta la pazzia di Carola, che cerca il ragazzo morto che di nome fa casualmente Matteo).

Vabbé insomma, nemmeno malaccio era cominciata, poi bum! Sì in pratica ti dicono che vogliono fare di te ben altro o almeno trasformarti mezza giornata dal lunedì al giovedì in un montatore e benissimo non ci sono rimasto.

È strano essere tornato qui, mi sembra tutto normale, è strana appunto questa normalità. Il ritrovarmi a fare delle azioni che mi pare di aver compiuto solo la mattina prima ma la realtà non è proprio così. Intanto in questa ridda di situazioni che si incastrano e si incrociano in un modo talmente perfetto da sembrare assurde, e parlo di dinamiche, date, ricorrenze, eventi, mi è rivenuto in mente che anche il primo giorno del secondo atto dublinese non fu per niente positivo.

Penso pure che Halloween a me continua a non piacere, che nella mia vita succedono cose strane e particolarmente cicliche, e che per un pari con la Roma firmerei subito.

Domani è venerdì, il primo weekend canadese si avvicina, ieri ha piovuto come non avevo mai visto in sei mesi e la prossima settimana mi ricongiungo con la rossocrociata, un evento che mi rende perfino felice. Da Istanbul a Toronto, 22 mesi dopo.

Che cazzo di storia…

Chiudete le valigie, si torna a Toronto

Mi sono comprato un braccialetto oggi, io che non indosso mai nulla di tutto ciò, catenine, bracciali, cianfrusaglie varie. L’ho preso a Borgo Pio, mentre me ne andavo per l’ultima volta, mentre mi lasciavo un sacco di cose alle spalle. È rosso, ma quando si bagna assume un colore diverso, diventa granata e dietro a questa tonalità si nasconde un mondo, ma un mondo di sentimenti.

Tempo fa avevo deciso di prenderlo all’ultimo giro di ruota e ha un valore ben preciso: mi ricorderà questi mesi, la fatica di questa parentesi, lo sforzo fatto così come i pensieri che mi hanno accompagnato settimana dopo settimana. Mi ricorderà molto ma sarà un promemoria, perché si porta dietro una promessa, quasi un grido di battaglia. E così, quando vedrete spuntare dal polsino della mia camicia, sul bancone dello studio, questo bracciale di pelle rossa, sappiate che rappresenta tutta questa serie di cose.

Pur essendo la viglia di un’altra partenza è stata una giornata lavorativa, come tutte le altre, con un sconto di un paio di ore. È stata la volta dei saluti e non ho voluto escludere nessuno da questo tour. Come il mio pizzicarolo di Via della Lungara che mi ha nutrito a panini per mesi, ho voluto ripercorrere quella strada per andare da lui perché in quel percorso compiuto quotidianamente ho seminato migliaia di pensieri, supposizioni, convinzioni e speranze. L’ho salutato, è stato felice, ho preso una ciabatta con il salame Milano. Mi mancherà, lui e tutto il resto, il rito di questa azione quotidiana.

Ho salutato i miei amici cameraman che ci hanno accompagnato in questa maratona del Sinodo, ho salutato Eleonora e infine la famiglia del CNS che mi ha ospitato ed adottato per questi tre mesi abbondanti. Sono stati infinitamente gentili e disponibili e aver potuto “spiare” il loro lavoro e vivere a così stretto contatto con professionisti di tale rango e stato impagabile. Prima di lasciare l’edificio sono andato a salutare Flavio, il portiere. Mi ha detto che ci vogliono le palle per fare quello che faccio io. Non si aspettava questa mia partenza ed il mio breve racconto gli ha chiarito una serie di cose che lo hanno spinto a ripetere nuovamente il concetto: “Hai le palle e ti meriti il meglio, ci vediamo presto”.

Ci vogliono le palle, è vero, sicuro. Forse più di ogni altra cosa in queste circostanze, ma poi bisogna saperci abbinare la testa e il cuore. Ogni volta che penso a questo mi viene in mente la frase di Gabriele il pomeriggio della mia laurea magistrale, la mia frase preferita in questi 28 anni.

Quel cuore che servirà da domani nuovamente, ma quello, secondo la sua frase, è la mia forza e viaggia con me perché fortunatamente non me lo ha dato nessun posto. Forse è davvero così questo cuore, perché ha intimamente il colore del mio nuovo braccialetto quando si bagna.

E quel colore, per leggenda e tradizione è condannato a lottare. Non conosce alternativa. Può perdersi, vincere, sbagliare e fallire ma per forza di cose, per l’essenza della sua natura, della mia natura, è destinato a battagliare.

Da domani, nuovamente. Come sempre, forse un po’ di più.

È il momento di ripartire. Chiudete le valigie, si torna a Toronto. 

Ho ancora la forza che serve a camminare,

picchiare ancora contro e non lasciarmi stare

ho ancora quella forza che ti serve

quando dici: “Si comincia!”

 

Ho ancora la forza di guardarmi attorno

mischiando le parole con due o tre vizi al giorno,

di farmi trovar lì da chi mi vuole

sempre nella mia camicia.

 

Abito sempre qui da me,

fra chi c’è sempre stato e chi non sai se c’è

al mondo sono andato,

dal mondo son tornato sempre vivo.

Andiamo

Non sono pronto e quindi significa che lo sono. Sembra un gioco di parole ma non lo è. Non ricordo infatti di essere mai stato pronto per una partenza, ma stavolta mi sto superando visto che non ho ancora un posto dove andare a dormire martedì sera, un dettaglio non proprio irrilevante ma che comunque dice qualcosa. Intanto sottolinea quanto poco tempo abbia avuto ultimamente a causa del Sinodo, ma soprattutto evidenzia le difficoltà di trovare qualcosa da qui.

Non sono pronto anche perché non ho avuto mentalmente del tempo per prepararmi. Non c’è stato. Si chiude tutto e si riparte, così, forse in maniera un po’ approssimativa ma noi siamo i fenomeni di questa disciplina. Si chiude un’altra fase di questo anno folle ed infinito, intenso ed estraniante.

I miei 100 giorni sono agli sgoccioli, è ora di tornare a Toronto. Ho fatto quello che dovevo, ho imparato altre decine di cose, il banco di prova che in maniera quasi autonoma mi ero creato è stato superato e quindi è il momento di ricominciare e partire. La missione è finita, posso riconsegnare le chiavi dell’ufficio, togliere il disturbo e salutare tutti.

Questo è quello che è successo, adesso bisogna vedere quello che capiterà. Le sensazioni sono negative per una ragione sola: sono “arrivato”. Mi aspetta un’altra lunga salita, tutto l’anno è stato una salita, e la quantità di energie mentali che ho speso ha dell’inverosimile. So che il serbatoio è vuoto, lo capisco dai pensieri che faccio, lo intuisco dall’approccio che ho.

Continuo a pensare ad una cosa, continuo a pensare che paradossalmente potrebbe essere l’unica fonte di energie extra. Inizio a faticare notevolmente, ma non avere avuto un giorno di vacanza in un anno del genere pesa. Non avere avuto un giorno per non pensare a quello che dovevo dire o scrivere è un aspetto che sommato ad altre decine di fattori inizia a fiaccarmi.

Eppure c’è un ulteriore scorcio, una salita che mi riporterà a Roma per Natale, quando apparentemente sarà il momento di prendere una pausa vera da tutto.

Fino a lì, mi aspetta ancora una maratona da correre ovviamente sotto zero ed il ritorno implicherà inevitabilmente tante difficoltà da affrontare e non solo dal punto di vista meteorologico.

A luglio me ne sono andato con uno spirito, ora torno con un morale diverso. Ma ho fatto un patto. E per quanto sarà dura e difficile, forse molto di più di quanto mi immaginassi, ho il dovere morale verso me stesso di tenere fede a ciò che mi sono promesso e io non posso proprio tradirmi.

Non sono pronto. Quindi sono pronto.

Andiamo.

 

Il Mondiale del Sinodo

Per anni mi sono chiesto cosa significasse raccontare i Mondiali, gli Europei o le Olimpiadi, quegli eventi lunghi e attesi che durano diverse settimane e si snodano giorno per giorno. Il Sinodo di quest’anno per quanto non abbia nulla di sportivo, ovviamente, mi ha dato una idea chiara di come sia lavorare per eventi speciali. È stata una lunga maratona che a breve finirà, e mentre ci tiriamo avanti con fatica e stanchezza (stavolta vera e propria) mi ricordo che devo fare le valigie e ripartire. Tre settimana lunghe e intense in cui abbiamo lavorato senza sosta, in cui ci siamo scordati del tutto di quello che c’era fuori e intorno a noi. Interviste, appuntamenti, meeting, corse contro il tempo. Ecco, seguire impegni del genere implica ritmi così, in cui pranzi alle tre, se va bene, e annulli di fondo la tua vita sociale, o anche proprio tutto quello che non si svolge intorno alle mura vaticane.

Mi ricorderò di tante cose e sarà una esperienza che mi tornerà in mente spesso in futuro. Tanti volti, tante parole, qualche risata malgrado tutto. Una vita da branco scandita dalla pausa caffè delle 10:30 e dalle sessioni mattutine e pomeridiane.

Il mio idolo rimarrà il grande Arcivescovo Salvador Pineiro, ma non dimenticherò l’incontro con il Cardinal Bagnasco, l’udienza con il Papa, l’aula Paolo VI, il buffet alle 11:00, la caccia a qualcuno da intervistare ed il clima multiculturale.

Sapevo che ottobre non sarebbe stato un mese da considerare fino in fondo, sapevo che mi avrebbe risucchiato via da tutto ed è andata proprio così. Ora c’è tempo solo per mettere il punto a questa lunga parabola durata 25 giorni e poi si ripartirà. Ma questa è veramente un’altra storia, complicata e particolarmente difficile, un discorso che merita di essere affrontato a parte.