Ad un passo dalla retrocessione

La strana e in parte imprevista retrocessione che mi appresto a vivere affonda radici lontane ma è la classica situazione del famoso ascensore, su e giù, senza sosta, un po’ bene e un po’ male, ma niente equilibrio e nessuna costanza.

 

Ma che stai a di’ Mattè, ma de che stai a parla’? Non te seguo.

Hai ragione Andrè, ma ora passo a spiegarti.

 

In questa metafora adoperata tempo fa per spiegare uno status, o meglio, un andamento, alla Bionda, utilizzai proprio questo parallelismo sportivo. Era il 16 dicembre e le dissi che il Catto si sarebbe salvato mentre io sarei retrocesso. Quasi quattro mesi dopo, il nostro beneamato di Fiuggi è ovviamente salvo, e io a nove giornate dalla fine sta marciando verso la serie cadetta, staccato e non di poco dal quart’ultimo posto.

 

Me pare una cazzata Mattè, ma vai avanti. Voglio vedere dove arrivi.

Grazie Andrè, proseguo.

 

Sì, perché dopo i successi e titoli del quinquennio 2007-2012 non so esattamente cosa sia successo, o forse sì, ma non mi interessa troppo andarlo a rivangare. Diciamo che l’ultimo campionato che ho giocato ad alto livello è stato il 2011/12, da lì in poi è iniziata una spirale negativa, un dissesto economico e tecnico che ha lentamente e in modo inesorabile creato questa condizione.

A partire dall’ottobre 2012, da quel campionato, la cronistoria è la seguente:

Dopo il drammatico avvio di stagione e la disperata rimonta nel girone di ritorno grazie anche a degli investitori irlandesi subentrati prontamente, andai in B al termine dei playout di giugno. L’estate seguente fu così una fase di totale riorganizzazione culminata con un finale di mercato incredibile, con tanto di botti a sorpresa. Da fine agosto a metà ottobre furono infatti due mesi che lasciavano presagire il meglio, incredibilmente e inaspettatamente. Dopo i patemi dell’anno precedente, sembrava la strada giusta per un rilancio e il ritorno in A, con tanto di vetta della classifica all’ottava di campionato, ma con i primi freddi e l’entusiasmo inziale che si andava a esaurire, presto arrivarono le sconfitte e una serie di sofferenze che decretarono la permanenza in B. Senza appello. Con un girone di ritorno avaro di tutto e fedele specchio del finale del 2013.

Poi? La serie B appunto, ancora un anno ed un nuovo campionato nel 2014, senza troppe speranze, e senza alcuna illusione di risalita fino alla fiammata del mercato di gennaio, ai canadesi che arrivano all’improvviso e ribaltano tutto. Nonostante le difficolta e i problemi, la svolta fu un girone di ritorno notevole e una promozione ripresa per i capelli attraverso i playoff.

L’anno che sembrava poter rilanciare in qualche modo una idea di stabilità e di ripartenza a lunga gittata – qualcuno paventava addirittura sogni europei – si è trasformato invece clamorosamente nell’anno di un’altra retrocessione. Ecco qui l’ascensore, su, giù, poi su e ora di nuovo giù.

C’è qualcosa di profondamente triste in questa nuova discesa verso la serie cadetta, la sensazione è che rispetto alle altre porterà conseguenze maggiori. La percezione è quella di un qualcosa di più vasto che si sta consumando. Di anni buttati di fondo, buttati perché se retrocedi di nuovo significa che quello che c’è stato nel mezzo, alla fine della fiera, è stato inutile.

Il purgatorio della Serie B non è un fulmine a ciel sereno, era lì, in lontananza, e secondo me si vedeva a occhio nudo. Come quelle nuvole estive che portano la pioggia, le noti da lontano e sai quello che sta per succedere.

Si retrocede, e aggrapparmi alla matematica, ultima speranza prima della condanna aritmetica, mi fa molto ridere. È un senso di beffa e paradosso, attaccarmi ad una delle cose che ho odiato maggiormente in vita mia. C’è una parte di me che non si è rassegnata all’idea, credo sia normale. Quella più emotiva e di fede, una parte onestamente molto piccola però che a breve dovrà piegarsi all’esito del campionato. Ci pensavo oggi pomeriggio mentre ero al supermercato, in fila alla cassa e con la punta dell’ombrello picchiettavo un bordo del cestino rosso con la roba dentro. Mi ero incantato in questo gesto e con lo sguardo fisso nel vuoto ripetevo: “Che cazzo di fine”.

La differenza fra questa retrocessione e l’altra è indubbiamente il modo in cui è maturata, così come le speranze che si annidavano prima che la stagione iniziasse. È stata una via crucis più che un campionato. Mancano poche partite, i punti ci sono ma non sono troppo pochi e troppo deve succedere, indubbiamente non tutto è nelle nostre mani, anzi, forse per niente.

Servirebbero due/tre miracoli di dimensioni abnormi, ma il problema è che non ci crede più nessuno e l’aria al campo d’allenamento è piuttosto pesante, con i tifosi che anziché contestare hanno rinunciato anche ad arrabbiarsi, un gesto finale di resa incondizionata.

Si va in B, si andrà in B, e stavolta l’ascensore non penso che risalga subito.

 

Capito ora André?

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