In mezzo a quella gente lì

Per tanti ho sentito discorsi e letto storie, analisi di sociologi, opinioni di giornalisti e considerazioni di gente qualunque. Negli ultimi tempi mi sono riuscito a dare una risposta convincente, o almeno una spiegazione migliore su un tema ben preciso.

Sono nato a fine anni Ottanta e cresciuto negli anni Novanta, quando si faceva veramente a botte allo stadio, e ci scappava il morto ogni tanto. Quando insomma la violenza era vera e presente, non certamente come oggi o negli ultimi anni.

Lo stadio era uno sfogatoio, in cui c’erano meravigliosi interpreti sul rettangolo verde, il pubblico gremiva gli spalti e poi un po’ di altre persone facevano casino puntualmente. Per anni sono cresciuto sentendo ciclicamente ipotesi sul perché succedesse qualcosa del genere, scavando su motivi sociologici, disagi e disperazione.

Recentemente mi sono dato indirettamente una risposta, trovando un qualcosa di autoreferenziale. Se non te ne frega nulla di niente e hai poco, se sei un emarginato dalla società, senza opportunità, un abbandonato dalla Stato, andare a fare casino allo stadio, territorio franco per antonomasia, è l’idea migliore che ti possa venire, e ci sta assolutamente.

Il luogo infatti è una perfetta cassa di risonanza a disposizione, il teatro in cui ottenere i migliori riflettori per un po’, poco tempo, certo, magari qualche minuto al telegiornale della sera e della notte, ma pur sempre uno spazio per mostrarsi e dire: “Oh, ci siamo. Ci siamo anche noi. E volevamo ricordarvelo così”.

È indubbiamente tutto ingiustificabile, ma lo diventa un filino di meno se si guarda la cosa dall’altra prospettiva, un concetto che si ricollega in qualche senso alla celebre frase di Bertolt Brecht: “Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati”.

Il punto è che in fondo ognuno di noi ad un certo momento deve firmare la propria presenza, ricordare in qualche modo di essere presente anche se sembra che tutti gli altri si siano dimenticati. E non conta poi se sei emarginato, rifiutato, non rispettato, e respinto nella tua vita di tutti i giorni, conta più che altro che ti senti così.

E riflettendo su tutto questo, pensavo che io, in fondo, è solo ed esclusivamente perché sto quaggiù, altrimenti, e senza alcuna ombra di dubbio, starei in mezzo a quella gente lì, a fare anche un po’ di casino, e onestamente, non me ne vergogno nel raccontarlo.

È solo una semplice conseguenza di tutta una serie di cose che si legano fra loro e si alimentano a vicenda. La spiegazione è questa.

Non la migliore Pasqua

Tutto è stato tranne che un piacevole break pasquale per ovvi motivi. Impossibile godersi giornate così quando la mattina del secondo giorno, mentre ti svegli e controlli il telefono, tutto viene letteralmente squassato da una notizia drammatica che avresti voluto leggere il più tardi possibile, fra tanti mesi e non il giorno del Good Friday, esattamente come un anno fa, quando il primo riposino pomeridiano canadese, dopo tre mesi di soggiorno, fu spazzato via dall’inizio del dramma consumatosi definitivamente pochi giorni fa.

Lo dicevo oggi a David, la vita è crudele per un motivo in fondo: una bella notizia, una grande notizia, ha dei margini di peggioramento, una notizia brutta, drammatica, è invece irrecuperabile. La potenza e il valore assoluto degli estremi è sproporzionato, e ingiustamente pende dalla parte sbagliata, per questo alla fine ti viene da dire che la vita sia ingiusta e maligna. Credo solo che la nascita di un figlio sia una notizia bella, bella in modo definitivo e senza appello. Tutto il resto ha troppi margini di manovra, di mutamento e quindi di deviarsi in qualcosa anche di negativo.

Essere lontani significa non esserci. Nel bene e nel male. Ma se nel primo caso l’emozione limpida e forte colmerà magari la tua assenza, nel secondo non c’è soluzione. Vorrei essere a Roma, ora, così come fra alcune settimane per Andrea, ma non posso. Essere lontani significa tanti sacrifici, privazioni pratiche ma anche emotive, così come il non poter condividere certi momenti con le persone a cui sei legato affettivamente.

Al mio fidato amico, stasera raccontavo e spiegavo un concetto che da giorni mi rimbalza in testa. Andandomene da qui so per certo, già da ora, che mi rimarrà un profondo senso di amaro in bocca. Di incompiuto, di “avrei voluto, ma non mi è stato possibile”. Mi manca tutta una sfera composta da tante cose diverse, non ho tutto quello che una persona della mia età, mediamente, dovrebbe avere, soprattutto se in esilio dall’altra parte del mondo e del tutto scollegato dal proprio universo, in particolare a livello affettivo. Non ho tutta quella parte relazionale e questo crea un evidente scompenso, perché il tutto si riduce a lavorare, e se le cose nel tuo ufficio magari non funzionano come dovrebbero o come vorresti, il quadro, inevitabilmente, prende un contorno profondamente scuro e negativo.

Mi sarebbe piaciuto godermi questo posto di più, avrei voluto colmare alcune lacune ma pur volendo non ho mai avuto la possibilità più di tanto, mi rimarrà temo questo rammarico, il fatto di non aver sperimentato fino in fondo, e come avrebbe meritato, una esperienza di tale portata.

Pur essendo piuttosto severo con me stesso, so che in questo caso non posso imputarmi più di tanto. Più hai in tasca e più puoi alleggerirti la vita e renderla meno pesante, più puoi spendere e più puoi divertirti. Non è una regola fissa, ma in contesti e situazioni del genere lo diventa. Mi dispiace che sia andata così ed è un peccato, lo so, perché sono consapevole che malgrado tutto, attenuanti e dati di fatto, il rimpianto mi rimarrà.

Tutta una parte emozionale, di divertimento e piacere, è stata totalmente annullata e se si somma a tutto il resto, di cui bisogna fare a meno, non è proprio facile. Sono sacrifici, è vero. Sarebbe bello sapere che verranno ripagati un giorno e io ho la netta sensazione, da tempo ormai, che così non sarà.

Dopo quasi mezzo litro di Jack Daniels e Cola penso di essere stato fin troppo chiaro nello scrivere un post così.

Viva il Catto, sempre. 

Ipse dixit: Alfredo parte II

Direi che è passato un po’ di tempo e quindi è il momento di un secondo post, di un secondo resoconto, un altro ipse dixit del nostro avventuriero preferito.

Altre perle, nuove frasi proferite in momenti che rimarranno nella nostra memoria in eterno. Fondamentale per questo post è stato infatti lo scorso Ferragosto in Puglia, la sua terra, ma anche un po’ la mia, tre di queste dodici frasi sono tratte da quei giorni. Che Duomo signori!

 

“Ma che paese siamo diventati?”: Ecco qui subito la prima perla di agosto 2015. Diverse volte l’ha tirata fuori, quella che a me torna in mente subito è pochi minuti dopo la semi-aggressione di Ferragosto. E sì, perché mentre lui cercava di fare alcuni panini in macchina e io ero fuori appoggiato sullo sportello per lasciargli lo spazio sul mio sedile a mo’ di tavolino, due signori della zona sono arrivati a reclamare per strani motivi, ragioni ancora non del tutto chiarite dalla magistratura, quel posto-auto, evidentemente strategico. La resistenza di Alfredo nello spostarsi, causa preparazione panini, a un punto ha esasperato il signore locale che con vigore ha cercato di cacciare via il ragazzo di Frascati. Il silenzio per l’episodio piuttosto sconcertante e fuori luogo fu spezzato dopo qualche centinaio di metri da questa sua frase “Ma che paese siamo diventati?” Fra il serio e il divertito, una domanda retorica, una ammissione di colpa e un sottolineare la triste fine del nostro paese pronto a fare a pugni ormai per un posto macchina lungo la strada.

 

“Che paese fantastico!”: Non è una contraddizione con l’esclamazione precedente, no, è un qualcosa di diverso. Sì, perché poi ti ritrovi nella calura d’estate, al paese, intorno ad una tavolata, con la pizza che esce dal forno, i parenti, gli amici, il vino e la birra, il dialetto, il mare laggiù a fare da sfondo, il suono delle risate, e beh, queste cose succedono solo da noi, in quel paese fantastico, e allora, come fai a non dirlo?

 

“Ma guarda te dove cazzo siamo venuti a costruire…”: La carrellata pugliese la chiudiamo così, con una sacrosanta verità. L’inventiva degli italiani, la capacità di andare oltre e di fantasticare anche l’impossibile prima di realizzarlo. Passi alle Tremiti, cammini per Peschici, guardi il mare da punti impensabili e ti viene spontaneo dire questa frase. Giusta, vera. Italiana.

 

“Ma il Catto è quello che è”: Non poteva ovviamente mancare uno dei nostri beniamini, uno dei bersagli preferiti del nostro amico. Alternando momenti di critica ad attimi di totale esaltazione riguardo il velocipede fiuggino, questa frase è un grande classico. Lascia quel senso di indefinito, una frase solo per esperti, per chi conosce il Catto, per chi sa coglierne il senso più profondo. Il Gallo è quella roba lì insomma, per cui non vale la pena talvolta pendersela.

 

“Il Catto è etereo”: Eccoci qua, al momento di critica severa segue l’esaltazione delle doti del ragazzo del Basso Lazio. Proprio lui, a detta di Alfredo è etereo, e quindi me lo immagino fluttuare in spazi indefiniti, nel cielo, come la più bella delle creature spirituali, quasi incorporeo, “Dalle magioni eteree Sgorga una fonte” diceva il  Manzoni, riferendosi indubbiamente al Catto.

 

“Che Catto signori, che Catto!”: Etereo, ma non solo. Quando il Catto regala emozioni a non finire, partenza inattese, cammini imprevisti e colpi da maestro, l’esaltazione fra di noi non si misura e dire questa frase è il minimo. Nulla di originale, ma è la migliore e la più calzante per richiamare tutti all’attenzione. Con un Catto così ci si deve spellare le mani dagli applausi.

 

“Ricordatevi che ha fatto saltare un matrimonio. Che tigna che ha il Ciofi!”: Nelle sue menzioni non manco nemmeno io e questa e una delle mie preferite, non la mia preferita in assoluto, ma una che mi fa sorridere e che trovo particolarmente emblematica. Sì perché per sottolineare il mio livello di tigna (testardaggine, ostinazione, pervicacia per chi vive fuori dal GRA) ha tirato fuori un esempio ovviamente fin troppo grande ma allo stesso tempo vero. Più che una sottolineatura è una sorta di monito, un avvertimento. Non la mettete sul livello della tigna con questo perché se si fissa è capace di tutto, anche di far saltare un matrimonio.

 

“Ma quello è un fantoccio…”: Ecco il colpo di genio. La stoccata, non un insulto, ma un commento secco, senza troppe interpretazioni. Tu gli fai un nome, gli menzioni il soggetto in questione e lui la chiude così, da fuoriclasse. Diversi sono i fantocci che abbiamo visto in questi anni, alcuni anche solo la scorsa estate, uno su cui voglio soffermarmi è l’amico di Claudia, quello che lavora a Dubai, quello che fa il bello, ci provava con lei, ma un po’ così. “Ma quello è un fantoccio”, e se chiudo gli occhi me lo immagino mentre cammina verso San Rocco con la T-shirt viola dell’Adidas e lo definisce in questo modo, guardando per terra e con le mani in tasca.

 

“Beh il pubblico lascia lo stadio insoddisfatto. C’è del rammarico. Un pareggio, vincevano e poi pari subito nel finale”: Una cazzata, ma che a me fa molto ridere e che a suo modo è stata un mini tormentone. Estate, 22.30 superate da un pezzo, nella scalinata che porta alla piazza della Chiesa di San Rocco sale della gente, persone un po’ più avanti con l’età, quelle che a Frascati per principio, anche d’estate, si portano il maglioncino di cotone, perché non si sa mai. Loro se ne vanno e noi arriviamo, tutto molto normale considerando età e ritmi, in questo incontro e passaggio di consegne, scrutiamo le loro facce mentre risalgono le scale e intravediamo un po’ di disappunto, la serata è andata, ci si avvia verso la macchina e le facce hanno un qualcosa che non richiama esattamente all’entusiasmo. E quindi, parte la metafora, il pubblico lascia lo stadio con l’amaro in bocca per il risultato maturato nel finale, beffona e 1-1 al triplice fischio. Questa cazzata è stata portata avanti ad oltranza, e ogni volta che incrociavamo gente che lasciava San Rocco, si fantasticava sulla serata e quindi sull’andamento di quest’ultima riletta in chiave sportiva.

 

Rispetto alla scorsa volta, voglio aggiungere una novità, tre frasi estrapolate dalla nostra chat comune, tutte sul Catto, tre perle di fantasia e cazzeggio di alta qualità uscite all’improvviso, senza motivo, per questo ancora più divertenti.

 

“Ma pensa se eravamo nati che ne so, in Svizzera…Gita sul lago in barca con il Gatto che continuava a guardare l’ora solo per far vedere a tutti il suo Rolex”.

 

“Che fomento il Catto che rischia di cadere in un burrone e si salva grazie alla catenina del portafoglio”. (10-03-2016)

 

“Bottiglia di Chivas in mano, drummino tra i denti, s’aggira già in pantofole nelle aree comuni del dormitorio…” (11-03-2016)

 

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Niente di più

Ti fa un effetto strano quando parli di qualcosa che poteva succedere a te e invece è capitato drammaticamente ad altri. Quando insomma, avviene qualcosa che ti tocca da vicino e pensi che lì potevi esserci te ma invece c’erano altre persone, ragazzi come te, in giro come te.

Poteva succedermi ad aprile del 2013 ad esempio, quando andammo con gli altri studenti insieme alle Cliff of Moher, e invece è capitato a sette ragazze italiane ieri in Spagna, casi della vita, solo casi della vita. Non c’è altro da dire, se non che tu sei fortunato e loro sono state maledettamente sfortunate. Tutto qui. Il resto non conta, cosa altro vuoi aggiungere in momenti così? Quando magari hai un amico in Spagna a spasso e su quel pullman, per uno scherzo del destino, poteva esserci lui.

Lì capisci quanto sia veramente tutto incontrollabile, quanto tutto non dipenda da te. Tanti giovani sono in giro per l’Europa a fare una grande esperienza, a diventare i futuri adulti del vecchio continente, molti torneranno a casa e penseranno a quello che hanno vissuto e non vedranno l’ora di ripartire per un’altra avventura, quanti magari sono appena partiti e quanti torneranno a breve. Tutti questi, avranno nel loro cuore l’esperienza Erasmus, a differenza di queste giovani ragazze che da ieri non ci sono più.

Sembra tutto molto crudele, e lo è assolutamente. A cosa vuoi credere in momenti del genere? Quale spiegazione ti vuoi dare a un dramma di questo tipo?

Nessuna, non esiste niente se non il dolore. Il dramma delle famiglie, l’ingiustizia del destino verso queste ragazze e i tuoi pensieri che ti accompagnano. Pensi quindi a te, a quando eri come loro studente in Europa, anche fuori dal progetto Erasmus, una etichetta diversa ma i contenuti e il valore dell’esperienza erano gli stessi. Uguale la sostanza, diverso solo il contenitore.

Eppure sai perfettamente cosa significhi essere lì, con altri coetanei a scambiarti idee e sogni, speranze e progetti futuri con una lingua comune pronunciata in tanti modi diversi.

Poteva capitare a me o a chiunque altro, ma io della gita alle Cliff of Moher ho uno splendido ricordo ed una meravigliosa fotografia, la mia preferita dell’Irlanda, mentre alzo le braccia e guardo l’orizzonte davanti a me, il cielo azzurro e l’Atlantico che si mescolano ai piedi di uno strapiombo.

Io ho avuto la fortuna di vivere questi ricordi, loro no.

Ma è solo fortuna e destino, un cazzo di destino.

Niente di più.

Dublino 2013