La mia estate – “Parola d’ordine: retrocessione”

La mia estate inizia un giovedì pomeriggio di aprile, precisamente il 7 aprile, data già presente nel mio immaginario per una vecchia storia dell’università, una surreale conversazione di anni fa fra me, David e il Presidente il quale ci salutò dandoci appuntamento proprio al 7 aprile successivo, data che puntualmente ogni volta ritiriamo fuori.

È ovvio che per “la mia estate” intenda qualcosa di non strettamente legato al calendario e nemmeno al meteo, ma a qualcosa di più personale senza scomodare esistenzialismi vari. Tutto nasce in modo piuttosto accidentale, e si racchiude in un rifiuto, quello che arriva dalla mia “Compagna di banco” che dice di no ad un bicchiere di vino da condividere dopo il lavoro.

 

La storia della mia estate inizia lì, e questa è la storia che proverò a raccontare.

 

Lascio la redazione, cammino verso casa mentre inizia a piovere all’improvviso, fortunatamente il percorso non è lungo e la pioggia è leggera. Varco la porta e mi siedo sul letto, mi addormento nel giro di cinque minuti. Non sono stanco, ma sento una fatica inspiegabile, una cascata di non so cosa mi è caduta addosso, ho un buco allo stomaco e tutto questo si rivela in una stanchezza strana. Mi addormento. Mi risveglio verso l’ora di cena stranito dalla quantità di ore che ho dormito in una parte della giornata non propriamente adibita a quel tipo di attività. Inizio a elaborare quello che è successo qualche ora prima e so bene, fin da subito, che c’è molto di più, molto sta venendo a galla, qualcosa di più antico e sopito ma mai sparito. So perfettamente che quello che è successo certifica la mia retrocessione, un parallelismo che nelle settimane precedenti avevo spesso citato, probabilmente sapevo che qualcosa stava per succedere. Il pomeriggio del 7 aprile è come il gol che arriva da un altro campo e azzera le tue minime speranze di salvezza. Mi sento esattamente così e inizio a ragionare su questo fatto. Sono molto meno lucido del solito, un dettaglio che per forza di cose significa tanto. Considerando l’orario, scrivo al “Ragazzo di Hong Kong”, al quale racconto il fatto, attaccandolo anche ad un certo punto, addossandogli delle responsabilità, parole dette tante volte ma che mai si sono rivelate reali.

Da quel momento in poi stacco tutto in senso pratico e non solo. Disinstallo Whatsapp che mi permette di isolarmi e mi trincero in un silenzio lungo che interrompo con una email soltanto, indirizzata alla Bionda. In quei giorni inizio a prendere coscienza di tante piccole sfumature e diverse realtà. Di base però, non ho voglia di ascoltare nessuno, perché preferisco evitare chiacchiere superflue e frasi retoriche. Entro in una acuta fase di egoismo, inteso come occuparmi proprio solo ed esclusivamente di me stesso. La modalità però mi piace fin da subito.

Venerdì 8 aprile, il giorno dopo, mentre sono al bagno della redazione, un mio collega francese, all’improvviso e senza un motivo valido, in italiano mi dice: “Andiamo al bar”. Rispondo sì senza pensarci, alle 5 salutiamo tutti e ci dirigiamo verso Adelaide e Duncan, in un posto in cui il venerdì fino alle 22.00 ogni cosa da bere costa 2.50 dollari. Uno dei protagonisti di questa storia è anche lui, il “Ragazzo di Versailles” con il quale mi dirigo verso il posto che sarà luogo centrale di questa estate, ma io sono ignaro ovviamente di tutto.

Nel frattempo, l’azione più sensata che mi ritrovo a fare è comprare il biglietto per andare a Roma a maggio. Sono incastrato da una serie di cavilli che mi obbligano ad usare le mie ferie entro il 31 maggio e dopo qualche ora passata a perlustrare su Volagratis diverse destinazioni statunitensi e centro-americane, decido di comprare il biglietto per tornare a casa 9 giorni. La data è il 5 maggio, coincidenza che certamente non mi esalta ma il prezzo è troppo vantaggioso e così lo prendo. Quattro mesi dopo torno a Roma e l’idea si rivelerà più che azzeccata.

Domenica 17 aprile intanto  a Toronto inizia di fatto la primavera, è una splendida giornata di sole, la prima veramente calda che ci spinge ad un brunch per pranzo e a distenderci su un parco davanti casa mia prima di concludere quel week-end con un funerale che riguarda un po’ tutti.

Inizio nel frattempo a giocare a calcetto, la prima partita è a 8, ed è l’ultima di un torneo. Mi diverto molto, riassaporo dopo anni il gusto di infilarmi gli scarpini e tirare due calci ad un pallone, farlo poi così lontano da casa ha un qualcosa di esotico che mi attira. Un mio collega che organizza questi tornei mi chiede se voglio prendere parte a quello successivo che comincia a fine mese, accetto senza esitazioni ed entro a far parte della squadra per un torneo di calcetto di dieci partite che finirà ai primi di luglio. La formula di questa lega prevede però la presenza anche di una donna in campo, una cosa molto canadese. La ragazza in questione, ironia della sorte, sarà quasi sempre la mia “Compagna di banco”, sempre presente da tempo a queste partite.

Martedì 26 aprile c’è l’esordio, perdiamo subito e non gioco nemmeno troppo bene. Durante la gara e dopo, mentre torniamo a casa, la mia “Compagna di banco” dice una serie di frasi strane. Ambigue o comunque insolite per lei. Dovendo fare entrambi lo stesso percorso verso casa, ad un punto mi chiede in modo del tutto inavvertito, prendendo spunto da una conversazione molto generica, di un mio eventuale interesse per una stagista che lavora da noi da qualche mese. Nego tutto, infatti non ho alcun motivo di raccontarle l’assurdo pomeriggio di fine febbraio quando ci sono uscito e lei la sera stessa doveva andare ad incontrare per la prima volta i suoi nuovi suoceri. Sorvolo con grande maestria e andiamo avanti, ma la domanda improvvisa mi spiazza per diverse ragioni e mi fa pensare per la prima volta a qualcosa di diverso, non solo a me, poiché racconterò il fatto ad altre due persone che arriveranno alla mia stessa conclusione. Tuttavia, arrivati praticamente all’incrocio davanti casa sua, ci imbattiamo in una persona di nostra conoscenza, più sua che mia a dire il vero. Due battute e via. Ci salutiamo, lei entra nel suo portone io proseguo per la mia destinazione. In realtà ho appena assistito ad una sliding door, non lo so, non me lo immagino, ma un mese dopo lo capirò in modo casuale e rimarrò molto sorpreso, quasi esterrefatto.

Il giorno dopo esco intanto con una ragazza italiana conosciuta sulla community Internations, quelle realtà virtuali utili a mettere in contatto italiani espatriati. È una serata piacevole, un unicum per certi versi, realizzo come sia bello poter parlare con una persona italiana all’estero. Ci aggiriamo per Little Italy e dopo una pizza, torniamo a casa. Penso che la rivedrò, ci diamo appuntamento per quando tornerò da Roma. Non la rivedrò mai più invece, ma la sentirò un’altra volta perché mi chiederà un aiuto per un suo amico.

La sera prima di partire per Roma, è un mercoledì e la Serie A di basket arriva all’epilogo finale. C’è poco da decidere per le posizioni alte della classifica, tutto invece è da stabilire per la retrocessione e la Virtus dopo un campionato scellerato ne è drammaticamente coinvolta. La domenica prima ho visto la partita in casa contro Torino, prima battaglia per la sopravvivenza, stravinta ma non sufficiente per essere salvi. Tutto si decide a Reggio Emilia in una impresa che appare titanica. La storia è ciclica e mi torna in mente quando nel 1993 la Fortitudo si salvò clamorosamente a Reggio guidata da Alibegovic, in una partita epica. Mi auguro che possa accadere qualcosa di analogo. Non posso seguire la partita perché buona parte della sfida coincide con il consueto meeting del mercoledì alle 3. Lascio la mia postazione con la Virtus davanti nel punteggio di poco. Finita la riunione, mi alzo per ultimo, so che nel giro di pochi secondi aprirò la pagina dei risultati della Lega Serie A e sarà come una roulette russa con la sensazione però che i colpi a vuoto saranno molti meno di quelli che ti fanno fuori. È così, Reggio Emilia vince, la Virtus per la prima volta in 89 anni di gloriosa storia precipita sul campo in seconda divisione. La tristezza e il groppo in gola mi pervadono, parto il giorno per Roma con un peso sull’anima di cui avrei fatto a meno e che mi riporta al terribile biennio cestistico 2003-2005.

La settimana e poco più a casa scivola via quasi senza averne memoria. Incontro subito Andrea ed Aurora, la sua bambina nata il 9 aprile, trascorro più tempo possibile con Alfredo che è la mia priorità suprema dopo il dramma da poco avvenuto. Insieme andiamo anche al “Siviglia” di Fiuggi a trovare David, ritiriamo addirittura la pergamena della magistrale che mette veramente un punto finale e pratico a quel pezzo della mia vita e festeggio in famiglia il compleanno di mio padre l’8 maggio. Torno a vivere la strana ed antica sensazione di rivedere una partita dell’Inter dal divano di casa, poco dopo però mi ritrovo a tirare la zip della valigia per ripartire.

Mi aspetta Toronto ancora una volta ed una lunga estate senza pause, una interminabile corsa che finirà solo a Natale. Una maratona che però mai avrei pensato potesse farmi scoperchiare finalmente dei punti critici bene in vista dentro di me.