La playlist del 2016

Scorrendo la lista del mio I-pod, in maniera anche abbastanza casuale, ho ricostruito il mio 2016 in musica, le canzoni che lo hanno scandito mese dopo mese. Liste del genere solitamente sono talmente randomiche che è difficile trovare un filo logico, il mio va forse oltre ogni limite perché mescola davvero di tutto.

Quando stati d’animo e casualità si fondono spesso danno vita a qualcosa di estremamente bizzarro, creature che di fondo possono essere solo capite dal diretto interessato il quale nel caso specifico ricorda il mese di gennaio, e quindi l’avvio del 2016, con “Vaffanculo” di Marco Masini.

Il motivo è piuttosto semplice, perché mentre ero a casa, subito dopo la mezzanotte, il cantautore toscano salì nuovamente sul palco del concertone della RAI per il 31 dicembre e si esibì nel suo celebre pezzo. Per quanti erano in quel preciso momento a spasso o già sotto gli effetti di mix alcolici, sappiate che la RAI ha aperto il suo anno televisivo con questo inno generazionale, la prima canzone che ho ascoltato nel 2016 e quella che mi ha poi accompagnato per diverso tempo, soprattutto nel suo verso “Me ne andrò fra il rumore dei fischi, sarò io a liberarvi di me”.

Febbraio coincide con “La prima cosa bella” di Nicola Di Bari, pezzo datato 1970. In realtà mi entra in testa da una via secondaria, da un coro della Fossa che malgrado i colori che inneggia mi piace nella sua essenza. Mi prende a cantarla talmente tanto che mentre sono in una specie di bar sulle rive del Lago di Galilea, con il wi-fi mi connetto per copiarmi il testo integrale che intonerò a seguire in lungo e in largo per tutta la Terra Santa.

Marzo scorre senza grandi sussulti, passa senza che io sia in grado di abbinare questo mese a qualche melodia, cosa che ricapita puntualmente ad aprile, quando la serie di Sky 1992 mi piace in modo sufficiente da fissarmi con “Liberi Liberi” di Lorella Cuccarini, sigla di Buona Domenica di quella stagione televisiva. La scarico e la comincio a sentire, il fatto che si affianchi a “Liberi Liberi” di Vasco Rossi, altra canzone per me molto evocativa, crea sul display del mio I-pod un abbinamento fin troppo fantasioso.

Maggio vede il mio ritorno a Roma e suona con due canzoni, la prima è legata al mio avvicinamento all’aeroporto di Toronto. Cammino con il mio trolley a Bloor station per andare a prendere l’altra metro e parte “Alle 20” degli Audio 2, un pezzone degli Anni Novanta, divenuta ancor più celebre con il film “I Laureati” di Pieraccioni.

Parte a caso questa canzone e mi esalto, mi esalto talmente tanto che potrei iniziare a correre verso l’aeroporto. Sapere che fra pochi giorni la risentirò nello stesso posto (stavolta volutamente) e facendo la stessa azione è qualcosa che mi incendia letteralmente.

A questo pezzo italiano, abbino “Fast Car” di Tracy Chapman intesa però come la versione remixata che per tutto maggio mi perseguita, tanto in Italia quanto a Toronto. È di fondo la colonna sonora che segna il passaggio fra una stagione e l’altra e fa da apripista ai primi caldi.

Giugno fa rima con Europeo e anche “Happy” di Luca Carboni che molto probabilmente è la canzone che ho ascoltato e visto più volte in questo 2016. È anche la sigla di Sky, ma per me che vivo qui, questo collegamento è del tutto irrilevante. “Happy” è gran parte della mia estate, è la sigla mattutina mentre cammino verso la redazione per almeno 5 settimane.

Dall’attualità di giugno si passa ad una canzone del passato che mi rispedisce al 2003 con “Murder on the dance floor” la quale ritorna alla ribalta in modo del tutto casuale, esattamente come il collegamento che la mia mente genera fra la cantante e la “Dama Nera”. Passano in rassegna nel periodo estivo altre canzoni che meritano di essere menzionate come “Giorno di sole” dei 360°, vecchio ricordo d’infanzia, “Come Vorrei” di Vasco Rossi e “Klingande” di Jubel, probabilmente la seconda melodia che ho maggiormente sentito nel 2016.

Passano i mesi, l’estate si eclissa lentamente, ma le canzoni che mi hanno accompagnato in questi ultimi mesi sono state diverse: da “Un mondo migliore” sempre di Vasco, a “Bologna è una regola” di Luca Carboni fino a “Made in Italy” di Ligabue.

Nell’anno che volge al termine c’è stato spazio anche per il Jukebox condiviso con il Catto qui a Toronto, due settimane di molta musica italiana delle ultime decadi; mentre per un paio di valide ragioni questo ultimo segmento di 2016 è stato caratterizzato da “Duele el corazon” una di quelle cose che hanno il sapore di estate ma che sento a dicembre, d’altra parte classifiche e abbinamenti del genere non hanno mai logica.

La mia estate – I referendum su se stessi

Il 31 luglio chiude il mese ma soprattutto manda in archivio l’intensa settimana della GMG, la più lunga e difficile a livello lavorativo del 2016 con tanto di sabato annesso. Sei giorni su sette a raccontare in onda tutta quello che stava succedendo in Polonia con le sei ore di fuso-orario a non facilitare il lavoro. Eppure, mentre l’ultimo notiziario è stato impacchettato e tecnicamente delivered, vengo contattato dalla “Ragazza di Richemont” che mi comunica di essere in città nel pomeriggio. Il messaggio non nasconde l’intenzione di incontrarci e così le prometto che le farò sapere come andranno le cose durante le ore successive. Tutto fortunatamente fila liscio e quindi esco da casa e ci mettiamo d’accordo su dove vederci, io, lei e la Goddaughter che è arrivata da una settimana. Mentre mi preparo per uscire però, ricevo una risposta da “Sonja Ibrahimovic”. Le avevo scritto infatti in mattinata cercando di indirizzare una precedente conversazione in una direzione più consistente.

Sono pronto per andare e vedo la notifica del messaggio ma decido di non aprirlo. È una scelta chiara con una motivazione precisa anche se me la giustifico a modo mio: “Non voglio sape’ i risultati dagli altri campi, adesso giochiamo sta partita”. Nella stupidità della frase, brillante metafora, risiede però una verità più grande e la capacità di isolare i fatti ed evitare che situazioni parallele possano accavallarsi e occupare in modo sbagliato la mente.

La notifica rimane tale, non apro il messaggio e mi lancio verso il molo con la bici. Parcheggio e poi mi dirigo verso il bar. Passiamo un’ora piacevole, con la Goddaughter perennemente in silenzio, forse imbarazzata, io intanto mi bevo la mia Sangria e poi ci incamminiamo verso la stazione. Il treno le attende, ma mentre attraversiamo la strada, guardo la ragazza da Richemont da dietro e penso: “Va bene tutto, ma certo che l’asticella l’ho tirata giù abbastanza, forse troppo. Io, quello che ama la bellezza e il gusto estetico…” Mi dico questo, mi viene non so perché in mente mio padre, che mi guarda forse con sguardo ammonitorio e ci salutiamo.

Ho la sensazione che possa essere anche l’ultima volta che ci incrociamo, ma non la totale certezza. Torno a casa e so che devo leggere il messaggio di “Sonia Ibrahimovic”, un po’ come guardare il Televideo a pagina 202 per leggere i risultati delle altre partite. Non mi aspetto granché ed infatti la risposta non regala grandi sorprese, anzi lei è molto brava a sviare la questione, in fondo c’è un no elegante e la cosa mi tocca davvero pochissimo. Mi sfiora appena, come successo pochi giorni prima per la “Dama Nera”. Di fatto è un 2-0 senza troppi giri di parole ed è una delle cose migliori che mi possano accadere in quel preciso frangente.

Il concetto “Dentro-Fuori rapido” è stato applicato, le gestione del no inizia ad essere diversa, scivola in maniera leggerissima, quasi impercettibile e la nuova dimensione mi spiazza. Mi sorprende perché ha davvero un qualcosa di speciale. Un sapore praticamente sconosciuto.

Il pensiero diventa presto “Vabbe, pazienza, venerdì è un’altra partita…” ed è il principio su cui si comincia a basare il mio approccio, un qualcosa che non mi è mai appartenuto ma che inizio a praticare ottenendo inaspettatamente una serenità completamente nuova.

I referendum su se stessi, così ribattezzati dal fine psicologo di Hong Kong cominciano a trovare meno spazio. Sì perché entro finalmente nell’ordine di idee che ogni situazione non può essere più vissuta in un determinato modo, e nemmeno considerare come tutto un voto di qualcun altro su se stessi. Finisce quella idea, ma questo succede perché altri punti sono stati definitivamente fissati e tutto ciò è una semplice conseguenza.

Siamo a un punto di svolta che si mixa bene con quanto di buono pensavo già prima, la capacità di leggere e capire alcune cose con anticipo. Dal weekend successivo, da venerdì pomeriggio 6 agosto, avrò conferme importanti in tal senso non abboccando ai giochetti da ragazzina, della simpatica “Ragazza di Marsiglia”…

La mia estate – “Vedi Catto quanto è facile?”

Ci sono un altro paio di cose che devono essere menzionate per chiudere il discorso relativo a luglio. Non è solo il mese delle figure citate nel post precedente perché assume una particolare centralità anche grazie ad un altro paio di fatti. Il primo, apparentemente superficiale, è invece molto importante.

Sono sempre stato un grande camminatore, uno di quelli in grado di coprire distanze oggettivamente molto grandi anche in ambito cittadino. Passeggiare, anche da solo, mi è sempre piaciuto, penso di essere un buon compagno di viaggio pure per questa ragione: cammino, vado, non mi lamento e se posso a volte evito anche di prendere i mezzi, probabilmente perché sono abituato a pensare che non funzionino mai troppo bene.

Anche a Toronto, soprattutto da quando vivo in centro, mi muovo solo a piedi e la cosa mi piace tantissimo. Eppure, dopo una passeggiata che si rivela un po’ troppo lunga, ossia 4,8 km per raggiungere il “Ragazzo d Versailles” in spiaggia, decido di comprarmi la bicicletta. L’idea mi aveva accarezzato diverse volte grazie alla bella stagione e alle tante persone che qui si muovono pedalando, ma alla fine avevo sempre lasciato stare. La scarpinata di metà luglio però mi convince definitivamente che una bici, anche la più economica, potrebbe risolvermi qualche problema e facilitarmi un po’ di cose.

Accantono l’idea dell’usato e alla fine al classico mega-store con 112 dollari, tasse incluse, mi porto a casa una bella mountain bike che pecca soltanto per i suoi colori, ossia un po’ troppo rosso su una base praticamente tutta nera.

L’acquisto mi esalta oltremodo e mi riporta indietro negli anni, all’infanzia, e ai giri in bici per il quartiere. Inizio a perlustrare le vie con la ciclabile, ma soprattutto volo verso il lago con una facilità impressionante, stesso discorso per il Crocodile il venerdì o per tutti gli altri impegni, escluso il lavoro.

La spesa di fatto la ammortizzo subito, non prendo i mezzi nemmeno per sbaglio, ma soprattutto risparmio tempo, tanto tempo, e sono ovunque nel giro di 15-20 minuti.

Con la mia spalla iniziamo a dominare l’asfalto con le nostre due ruote, io torno invece a ingaggiare duelli in mezzo alla strada portando la bici con la stessa arroganza del classico conducente di un motorino nel traffico di Roma.

Sbraito, fischio, passo in mezzo alle macchine e mi piazzo sempre davanti a tutti in attesa del verde al semaforo. Mi sento a mio agio e intanto riscopro il piacere e la liberta della bicicletta anche grazie alle tante ciclabili che si snodano per tutto il centro, aspetto affiancato anche da una cultura stradale diversa e una particolare attenzione degli automobilisti verso il ciclista di turno.

Mentre questo acquisto fa decollare definitivamente l’estate come mai avrei pensato, riesco finalmente ad apprendere l’ultimo dettaglio che mi mancava nella ricostruzione della vicenda relativa alla mia “Compagna di banco” e alla sua love story.

Tornando da una partita, un martedì pomeriggio di luglio, proprio come avevamo fatto quella volta a fine aprile, quella famosa volta, le chiedo come era nata questa sua relazione. La pura realtà è che voglio togliermi questa curiosità e glielo chiedo.

La risposta è bizzarra, ma di fondo è anche l’unica plausibile nella stranezza del fatto. Le ricordo l’episodio di aprile e di come avevamo incontrato questo ragazzo, ma soprattutto il loro modo di salutarsi piuttosto freddo e non così sciolto. Lei allora mi confessa che il giorno dopo a quell’incontro lui le aveva scritto e da lì in poi avevano iniziato a parlare, fino al punto di vedersi per la prima volta per conoscendosi da un paio di anni.

Tutto inizia così e si sviluppa rapidamente con grande entusiasmo e reciproca attrazione. Capisco eventualmente la sua di lui verso lei, meno quella della mia “Compagna di banco” nei confronti del personaggio, ma questo è un classico.

Ci salutiamo, e mentre faccio il pezzo di strada mancante per andare a casa penso due cose. La prima è la seguente: “Vedi Catto quanto è facile? Cioè, due si conoscono, a volte sono usciti insieme in un gruppo più allargato, poi si incrociano per caso un martedì pomeriggio in mezzo alla strada, uno comincia a scriversi e poi è tutta una normale conseguenza. Una cosa semplicissima”.

La seconda invece è diversa e mi riporta al concetto di sliding door. Sì, perché se è vero che il 7 aprile io la invito, lei dice di no, entro in un baratro emotivo e tutto sta storia che sto scrivendo inizia lì, allo stesso tempo sono convinto che a un punto, poco dopo, qualcosa stava cambiando. Credo questo e ne sono abbastanza convinto ripensando anche a quella conversazione avvenuta pochi minuti del suo incontro all’incrocio.

Per un po’ mi domando cosa sarebbe potuto succedere se fossimo passati per la strada normale anziché deviare il percorso perché lei doveva comprarsi qualcosa per cena, un qualcosa che poi nemmeno trovò. Non lo so, forse niente, forse sì.

Oggi magari starei qui a scrivere una cosa diversa, o magari nulla, eppure io so bene che è meglio così, nel senso che lei un regalo enorme me lo ha già fatto, rifiutando un cazzo di bicchiere di vino e nemmeno lo sa.

Forse non lo saprà mai, io invece l’ho scoperto settimana dopo settimana nel corso dell’estate e ancora oggi sono pienamente consapevole che la storia ha preso la piega migliore anche se ad aprile, naturalmente, non ero dello stesso avviso.

Penso più o meno tutto questo mentre sono ormai a casa in attesa dell’ascensore e mi viene in mente una poesia di Rainer Maria Rilke. Precisamente questa qui…

 

 

Sii paziente verso tutto ciò
che è irrisolto nel tuo cuore
e cerca di amare le domande, che sono simili a
stanze chiuse a chiave e a libri scritti
in una lingua straniera.
Non cercare ora le risposte che possono esserti date
poiché non saresti capace di convivere con esse.
E il punto è vivere ogni cosa. Vivere le domande ora.
Forse ti sarà dato, senza che tu te ne accorga,
di vivere fino al lontano
giorno in cui avrai la risposta.

La mia estate – “Dentro o fuori. Rapidi”

Se dovessi sintetizzare il mese di luglio penso che potei usare 3 nomi ed un concetto che consiste in un primo cambio abbastanza epocale per me, un modo di fare sviluppato in tempi anche piuttosto rapidi e che ha dato un’altra dimensione alla mia estate.

Prima di tutto questo però, finisce l’Europeo e mi ritrovo nella strana situazione di dover decidere se voglio veder l’atto conclusivo con i francesi o con un portoghese. Opto per il mio amico di Viseu anche perché poi so che non sarei felice di ritrovarmi nei festeggiamenti transalpini.

La mia scelta però non mi agevola, perché la “Ragazza di Richemont” mi chiede di raggiungerla in un bar del centro per vedere la finale insieme. Ho già dato la mia parola, ed in più sono stato invitato a casa a pranzo per la partita da due persone alle quali sono particolarmente legato, per cui devo dirle di no, ma non mi dispiace, aggiungo anche che mi unirò a lei a fine gara, verosimilmente per i festeggiamenti.

Il calcio è magnifico anche perché regala storie come questa, il Portogallo infatti fa l’impresa, cancella la delusione del 2004 e vince un titolo ampiamente immeritato. Tutto questo inevitabilmente non fa il mio gioco e so che la persona che andrò ad incontrare non sarà proprio ben predisposta ma è un altro segno evidente di come debbano andare le cose.

Insieme a lei e c’è anche una sua amica, passiamo un’ora in un sport-bar del centro e poi ci dirigiamo verso Union Station dove lei deve prendere il treno per tornare a Burglinton, quello che avrei dovuto fare io alcune settimane prima. Mentre siamo su una panchina in sala d’attesa mi dice che nel giro di due settimana verrà a trovarla la cugina, o meglio the Goddaughter, una ragazzina di 15 anni che passerà da lei tre settimane e sarà in Canada fino a metà agosto. Capisco in un attimo che è il terzo indizio che sbarra la strada, perché un impedimento del genere complica veramente tutto. Prende il treno, ci salutiamo e so bene, mentre rincaso, che la situazione è compromessa ormai al 99%.  “Il ferro va battuto finché è caldo” dico al “Ragazzo di Versailles”, pur essendo consapevole che invece è iniziata una fase di raffreddamento sulla quale sarà difficile intervenire. Nel frattempo però, nelle settimane di assenza della mia spalla, ho continuato a frequentare il Crocodile e lì, per la prima volta si è palesata nel gruppo una nuova ragazza mai vista in precedenza. Scoprirò più avanti che nell’unica sua presenza al venerdì, io ero a Roma. È bella, anzi, molto bella, un gradino sopra tutte le altre che vediamo ripetutamente. Mi annoto il nome mentalmente e pochi giorni dopo al rientrante “Ragazzo di Versailles” chiedo informazioni a tal proposito. Diventa subito “Sonia Ibrahimovic”, giocando sull’origine del suo cognome slaveggiante anche se è di Lille e nei Balcani non ci ha mai messo piede.

Sembra essere in rotta di collisione con il ragazzo, in realtà poi saprò che si è appena lasciata, una concomitanza apparentemente utile. Inizia ad essere più presente al bar e questo ci dà modo di parlare un po’ di più. Diventa un motivo di interesse per quanto mi riguarda, ma capisco dopo un paio di volte che qualcosa non quadra. Ancora oggi infatti credo di essere bravissimo nella lettura di alcune situazioni, nel percepire in anticipo o rapidamente alcune dinamiche, venerdì scorso è stato un esempio lampante di questa mia capacità.

Il problema, e da anni me lo imputa il “Ragazzo di Hong Kong”, è che non ho lo stesso spunto nel captare le situazioni positive. È un limite, lo so, ma intanto mi tengo l’abilità che ho e gli ho promesso che prima o poi svilupperò anche il restante 50%.

Tuttavia, al mio referente asiatico, un sabato sera mentre sto per andare a una festa nei pressi di Pape Station gli dico che ho intenzione di accelerare la manovra con Sonia Ibrahimovic, garantendogli un “dentro o fuori rapido”, ma qui devo aprire una parentesi.

Fossi stato un giovane inglese di fine Ottocento sicuramente avrei fatto parte della Società Fabiana. Ora non tutti vi sarete laureati due volte in Storia della Gran Bretagna e quindi questa frase la devo spiegare, semplicemente perché custodisce una dimensione mia personale importante.

Wikipedia che sa più cose di tutti noi messi insieme, la definisce così:

“Il Fabianesimo (detto anche Fabianismo), è un movimento politico e sociale britannico di ispirazione socialdemocratica, nato alla fine del XIX secolo e facente capo alla Phabian Society, associazione che fu istituita a Londra nel 1884 e che si proponeva come scopo istituzionale l’elevazione delle classi lavoratrici, per renderle idonee ad assumere il controllo dei mezzi di produzione. Prese tale nome in quanto si avvalse sempre di una tattica gradualistica e temporeggiatrice che ricordava, sotto alcuni aspetti, la politica militare di Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore, che nella lotta contro Annibale e i suoi cartaginesi si avvalse di una strategia attendista di lento logoramento, che permetterà a Scipione l’Africano di battere il nemico nella battaglia decisiva, nonostante le molte sconfitte subite”.

Ecco, io non sono certo Quinto Fabio Massimo, ma ho sempre avuto questo enorme difetto di temporeggiare, aspettare, tergiversare, attendere, guardare, capire, razionalizzare, riflettere, analizzare, pensare, senza poi essere un vincitore come lui. L’aspetto inspiegabile è che questa attitudine l’ho sempre avuta solo ed esclusivamente in un ambito, quello relazionale, visto che in tutto il resto sono decisionista, intraprendente e non aspetto granché.

Questo modo di essere in verità è sempre stato un limite, un problema enorme. In primis per il tempo perso concretamente, e poi perché quando si attende e si aspetta a lungo, si idealizza, si creano pensieri e sovrastrutture sbagliate, ci si immerge in gineprai del tutto privi di senso e di aiuto. Il concetto del “dentro – fuori” in tempi rapidi diventa una sorta di conquista di assoluto valore, un cambio di atteggiamento, un passo che mi accingo a fare nuovamente e stavolta ancora con maggior enfasi del caso della “Ragazza di Richemont”, con “Sonia Ibrahimovic”.

Prima di questo però, venerdì 22 luglio, irrompe uno dei personaggi che si rivelerà importante soprattutto successivamente. Quando la serata al bar è ormai decollata, spunta la “Dama Nera”, amica di diverse persone lì presenti ma che io non ho mai visto prima. Ho le spalle al muro sotto al televisore che trasmette il baseball e lei viene da me. Ci presentiamo, quando esplicito la mia provenienza “Rome, Italy” ottengo come sempre una felice reazione e lei mi comincia a raccontare la sua lontana origine legata al mio paese.

La “Dama Nera” ci sa fare. Questo è quello che penso mentre mi parla di Carbonara ed Eros Ramazzotti. Ha un passo diverso dalle altre, sia da quelle che la circondano che da quelle viste passare precedentemente sul palcoscenico. Ha un fascino diverso, un modo che ammalia e si percepisce che lo sa bene, ne è pienamente consapevole. I 31 anni che sta per compiere le conferiscono un’aria e uno charme difficile da spiegare. Mentre vado al bagno un attimo, a voce alta continuo a ripetermi: “Eh questa se schiera, eh come se schiera…” poco dopo infatti, da donna consumata, inizia a giocare, e a provocarmi parlandomi di “Sonia Ibrahimovic”.

Avrò bevuto 3 o 4 doppi Cuba Libre ma sono sufficientemente lucido per capire e difendermi in modo adeguato, sfuggendo alle trappole che comincia a piazzarmi ad ogni frase. Una delle quali è più o meno: “Io lo so che ti piace lei, se vuoi posso aiutarti…”

Capisco quanto sia demoniaca nel frangente specifico, ma la spiazzo, so bene che sta giocando una tattica ed io non le presto mai il fianco. Lei provoca e io non mi scompongo. Le chiedo come faccia a sapere certe cose, oltretutto errate, e lei ribatte che si nota, altra frase buttata con lo scopo di far saltare qualcosa, le dico di no e si va avanti così per un pezzo.

“Matteo you can not handle me” mi dice. La fisso e le scoppio praticamente a ridere in faccia. Cerca di incartarmi con le parole e la cosa è divertente, fin quando in italiano esclamo: “Ma che ne sai de che ho dovuto maneggià io…” accompagnata dalla gestualità tipica italiana.

Scendiamo di sotto a ballare e mentre la guardo, mi prende gli occhiali da sopra la testa, si diverte un po’, poi con la scusa di uscire fuori per fumare, sparisce e se ne va. Fantastica. Per me ha già vinto tutto.

Riordino intanto le idee e aggiorno la mia classifica personale nella quale “La Ragazza di Richemont” scivola in fondo, in modo inevitabile, io nel frattempo faccio una cosa rara, ossia aggiungo la “Dama Nera” su Facebook, così come avevo aggiunto “Sonia Ibrahimovic”, le uniche due persone a cui ho mandato una richiesta. Un dettaglio che però qualcosa significa.

Non agirò su entrambi i tavoli, ma all’improvviso sono spuntati due personaggi dal peso specifico notevole che mi spingeranno a giocare il “dentro-fuori” rapido. Eppure la scoperta più importante, non sarà questo approccio, e nemmeno l’esito successivo, ma la gestione del dopo, del post.

Probabilmente la vera vittoria personale dell’estate del 2016.