Colombia 2017 – Cartagena

Mentre continuo ad essere vestito come a Roma a inizio novembre, dentro di me cresce sempre più la voglia di andare a Cartagena. Al sole, al mare, al caldo. Vedo nei quattro giorni che ci attendono nel nord della Colombia come la vera vacanza. La vacanza dentro il viaggio, se vogliamo dare una definizione. Il tragitto in pullman di ritorno da Zipaquira diventa il primo avvicinamento verso Cartagena. Facciamo tappa a casa della Ragazza del Venezuela, ceniamo, e poi proviamo a dormire un paio di ore. Alle 2 suona la sveglia, alle 2.45 siamo fuori e poco dopo con l’ennesimo uber raggiungiamo l’aeroporto. Un’ora di volo abbondante e siamo a Cartagena, con una notte insonne ma anche con una bella ondata di caldo che ci accoglie già alle 7.30 di mattina. Il check-in alle 15 ci impone di cambiarci e di fare tappa subito in spiaggia che dista 5 minuti a piedi dal nostro hotel.

In riva al mare, vivo la prima scoperta su Cartagena che smentisce quello che avevo letto. Le spiagge sono belle e l’acqua è limpida e calda, poco casino, tanto spazio e tutto il necessario –  compreso ombrellone e sedie a 10000 pesos- per godersi il mare in maniera più che degna.

Trascorriamo una bella mattinata in pieno stile balneare, con tanto di prima abbronzatura, e poi finalmente facciamo il check-in. La sera ci imbattiamo nella strada principale della città che di fatto inizia dalla curva dietro il nostro hotel. Camminiamo e ci sentiamo un po’ a Miami, ma soprattutto a casa. Sì, perché per via dei palazzoni, dei marchi dei negozi e per gli stranieri, sembra una città nord-americana ed un contesto di conseguenza a entrambi familiare, di certo molto più che Bogotà.

La sera si abbatte un diluvio mentre ceniamo con il livello di umidità che si triplica. Il giorno dopo è ancora mare, e godo letteralmente in questa nuova condizione. Ciabatte, costume e spiaggia a due passi: vorrei fare questa vita per almeno un mese, penso a intervalli regolari. La serata termina invece nella splendida cittadina muragliata, il cuore di Cartagena: caratteristica, ben tenuta, un posto veramente bello dove si respira una atmosfera di vacanza oltre ad un palese spirito latino.

Giovedì diventa la giornata dedicata alla spiaggia di Barù, quella dalla sabbia bianca e il mare che sembra una piscina. È così in effetti, se non fosse che la spiaggia è una tonnara e i tour organizzati –quasi obbligatori per arrivare – riempiono la riva in modo esagerato. L’acqua è favolosa, il resto meno. Così come gli scooter acquatici in affitto che facendo avanti e indietro sporcano il mare e portano un odore di benzina che sembra di aver fatto sosta all’autogrill.

Cinque ore di mare, più quasi quattro complessive di viaggio, Barù era però una tappa obbligatoria ma il giudizio non può essere del tutto positivo, di certo, diverse cose andrebbero riviste e condivido il mio pensiero apertamente: se fosse gestita dai tedeschi sarebbe uno dei posti più belli del mondo.

Rientriamo a Cartagena e mi concedo un po’ di pasta con il sugo Barilla. Non soffro la fame ma nemmeno riesco ad apprezzare per ovvi motivi la cucina locale, in particolare la frutta tropicale, che a detta della Ragazza del Venezuela è “demasiado rica”.

In un modo o nell’altro, anche a Cartagena piove ogni giorno. L’acquazzone non lo risparmia mai, l’ultimo giorno infatti il maltempo ci vieta la spiaggia e ci costringe ad andare in giro un po’ così, senza grandi mete, se non il Castello di San Felipe prima di recarci all’aeroporto, altro posto senza nulla da offrire se non una meravigliosa vista su Cartagena.

Proprio sulla strada verso l’aeroporto penso che avrei tolto volentieri un giorno a Bogotà per passarne uno in più in riva al mare, ma ancora di più ho capito quanto mi piaccia, o meglio, mi manchi, una vacanza del genere, una settimana di mare e basta. Senza viaggioni e fusi orari, ma sbragato sulla spiaggia a fare poco e niente, al massimo dentro e fuori con l’acqua.

Il volo di ritorno inizia male poiché VivaColombia gioca sporco e ci fa pagare un supplemento per non avere stampato il check-in online. La suddetta vergognosa compagnia è finora l’unica al mondo con cui ho viaggiato che non manda una email con la boarding-pass, che ti obbliga a stampare la carta di imbarco e se non si può fare, ti fa ordinare un servizio aggiuntivo di check-in on line in aeroporto, altrimenti, paghi 30 mila pesos per ciascuna persona e lo fanno loro al desk. Noi non riusciamo a stampare la carta d’imbarco all’andata e paghiamo il servizio in aeroporto, al ritorno succede di peggio, ossia che pur avendo una stampante a disposizione, non possiamo accedere alla pagina vera della carta d’imbarco. Stampo tutto il possibile, ma non basta. Sono una compagnia del cazzo e lo dimostrano in questa situazione. Pago così altri 60 mila pesos dopo aver spiegato tutto in inglese e spagnolo, ma niente, loro intascano, io mi incazzo e ci metto il volo intero di ritorno per sbollire la rabbia, intesa come fastidio per la non comprensione verso un cliente e lo spudorato modo di portarsi a casa qualche denaro in più.

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