30

Mi sono anche domandato ad un punto se non era il caso di scrivere comunque qualcosa su questo compleanno, la verità è che ho avuto pochissimo tempo e soprattutto non avevo moltissimo da dire. Più che altro da aggiungere, perché in post precedenti avevo già espresso le mie sensazioni, ed il modo in cui approcciavo a questo sei marzo diverso dagli altri.

Alla fine non ho scritto nulla e non ho il rimpianto, ho avuto una piccola ma spontanea festicciola (sì proprio festicciola direi) in ufficio nel pomeriggio di lunedì, e una pizza mangiata a casa la sera con la Ragazza del Venezuela.

Non avevo una voglia spasmodica di celebrare, fossi stato a Roma me la sarei goduta di più, ma qui inevitabilmente tutto è passato un po’ in sordina e ci sta.

Ho ricevuto gli auguri che mi attendevo, ho parlato con chi dovevo malgrado impegni e fuso orario, ho ricevuto una bella cravatta ed una bottiglia di vino cileno, oltre due bei regali visti solo via Skype, insomma, ho avuto comunque il piacere del regalo il giorno del compleanno.

Sono stati 30 anni belli ho ripetuto a diversi persone, 30 anni da 30 per usare una metafora universitaria. Tre decenni resi belli da chi continua ad accompagnarmi, da chi c’è sempre o da chi per motivi quasi fisiologici mi sono perso per strada.

Non avrei potuto chiedere molto di più: il destino, il Signore, la vita, insomma, chi vi pare, sono stati benevoli con il sottoscritto. Tutte le cose che desideravo o immaginavo da bambino sono successe e questo dice molto, spiega il mio voto altissimo a questi 30 anni.

Non si apre nessuna fase ora, continuerà la vita come prima, con le stesse responsabilità ed i medesimi impegni. Non è questo passaggio simbolico che cambierà qualcosa, saranno gli eventi dei prossimi mesi, ad esempio, ad incidere sul futuro prossimo.

Intanto un’altra settimana è andata, un altro mese di freddo e rischio neve non ce lo toglie nessuno, ma il peggio è passato, o comunque il grosso è alle spalle, magari la terza Pasqua qui me la farò con temperature umane.

Grazie per gli auguri, un caro abbraccio.

30

17 novembre 2015: la storia continua

Gennaio. Ho 6 anni.

Esco prima io, poi mia nonna chiude la porta di casa. Fa freddo, mi copro per bene, il rischio di ammalarmi in questo periodo per me è troppo elevato per non prestare attenzione a ogni minimo dettaglio. Nonostante questo, lei sostiene che imbacuccarmi tutto, o vestirmi come un palombaro non abbia senso, anzi è forse più rischioso. Forse ha ragione lei. Intanto mi tiene per mano, cammino sui sassi del cortile e andiamo verso scuola. Giriamo subito a destra, e poi tutta una salita fino all’ingresso. L’edificio è l’ultimo giù in fondo, per arrivarci dobbiamo passare in mezzo al campo da basket e poi costeggiare quello da calcio, è grande, di terra e ci si gioca in undici. Per me è come uno stadio. Ho la riga da una parte malgrado i capelli non stiano in quel verso ma a casa si ostinano a metterceli. A loro va bene così, a me cambia poco. Si entra a scuola, la prima elementare è sempre un anno speciale e io ho il grembiule blu con il colletto bianco più bello di tutti.

Febbraio. Ho 9 anni.

Chiudo la porta di casa per recarmi in palestra. Dopo un anno di pausa ho ricominciato ad andarci, vado alla Junior 88, i giorni dispari alle 16 sono lì, il giovedì facciamo tempo pieno a scuola e alle 17 ho catechismo. Il martedì invece mi riposo e guardo i ragazzi della 3C in replica su Italia Uno intorno le 18. La raccolta delle figurine va bene, a giugno ci saranno anche gli Europei, quelli del 1992 non li ricordo troppo, mente i mondiali americani di due anni fa li ho stampati drammaticamente nella mia anima. Andremo al mare ancora a Torvajanica, per il settimo anno di fila questa estate, per la prima volta sarà solo per due settimane, le ultime due giugno.

D’altra parte, la terza elementare è importante e non si possono più saltare gli ultimi giorni di scuola.

Marzo. Ho 13 anni.

Chiudo la porta di casa per uscire con i miei compagni di scuola, vedrò Andrea, l’appuntamento è al solito posto alla solita ora. Fra poche settimane andremo in gita all’Isola d’Elba, la prima gita fuori di casa, due notti tutti insieme. Chissà cosa succederà. A me piace Veronica che però è fidanzata con Emiliano. Ovviamente sarei molto meglio io, ma questo lo confido a pochi pur essendone particolarmente convinto. È stato da poco il mio compleanno. Tutto sembra andare per il verso giusto. Gioco a calcio, indosso il mio numero 6, l’unico guaio è che Vieri continua a stirarsi alla coscia.

Aprile. Ho 15 anni.

Chiudo la porta di casa per andare a scuola. Il liceo non mi piace, il primo anno è quasi finito ma dopo diversi mesi continua a non piacermi nulla. Sono un corpo estraneo a tutto questo nuovo mondo onestamente per niente esaltante. Spero finisca presto, il secondo anno sarà meglio. Almeno spero. Poche volte in vita mia, forse mai, mi sono sentito così alienato in un luogo in cui vado oltretutto ogni giorno. Mi fa tutto abbastanza cagare, ma non vedo alternative per migliorare questa sensazione, questo fastidio che mi abita dentro.

Forse vinciamo lo scudetto. Almeno quello. L’ultima giornata giochiamo a Roma con la Lazio, vincerlo a casa mia sarebbe magnifico. La data è il 5 maggio.

Maggio. Ho 19 anni.

Chiudo la porta di casa mentre rientro da scuola. Manca poco, il momento della maturità è quasi arrivato ma l’appuntamento mi tocca molto poco. Sono sereno, almeno per questo discorso. Il mondiale ed Elena della 3°A mi coinvolgono di più. Il resto sono chiacchiere. Porto la macchina, vado in giro, mi sento molto più padrone di quanto dovrei. Sento che si sta per chiudere una fase della mia vita, un periodo tutt’altro che entusiasmante, una nuova parentesi mi attende e sto per cambiare vita veramente. Dopo tanti anni.

Giugno. Ho 21 anni.

Chiudo la porta per andare a Tor Vergata. Non devo fare nulla ma dopo che Fermata verbalizzerà il suo esame andremo con il suo ragazzo e la coinquilina all’Hydromania. Lui mi sta sui coglioni, lei mi piace e malgrado questo impedimento mi sono infilato in un tunnel che non so dove mi porterà. Forse da nessuna parte. Sicuramente da nessuna parte.  Il secondo anno d’università è quasi finito. Il prossimo anno accademico dovrà essere quello della svolta. Inevitabilmente.

Luglio. Ho 23 anni.

Chiudo la porta di casa e salgo in macchina. Sto andando alla festa di laurea della Bionda. Sono campione di tutto da alcune settimane e l’effetto ancora non mi è passato. È un anno diverso, speciale. L’ho capito, l’ho sentito passo dopo passo nell’aria e in fondo lo percepisci quando il corso degli eventi ti sta spingendo, quando il vento soffia dalla tua parte. La Bionda mi terrà il gioco, Antonio anche, nonostante questo mi catechizza da bravo (e vero) amico e mi dice appena arrivato: “Regà ma che cazzo state a ffa?”. Quello che ci sentiamo, penso.

Dormiremo insieme stanotte, tutto il resto non conta. Lo penso anche quando ci chiudiamo la porta alle spalle e le due sono da poco passate.

Agosto. Ho 24 anni.

Chiudo la porta di un ufficio di un palazzone a vetri su Viale Regina Margherita. Sono andato a ritirare il visto per la Cina. Fra un mese sarò dall’altra parte del mondo e riabbraccerò Gabriele dopo sei mesi. Mi chiamano dall’ufficio eventi mentre cerco di guadagnare uno spazio umano sull’autobus. A breve ricomincerò a studiare, lo farò dopo Ferragosto, all’indomani dell’abbuffata che ci attende nel centro di Spoleto. Studio per l’ultimo esame, ossia Storia della Gran Bretagna, ma il testo mi servirà anche per la tesi, il carro da parata per la passerella finale a Tor Vergata è pronto. L’estate è stata piuttosto e inaspettatamente turbolenta, ma le cose si stanno ricomponendo. Fortunatamente.

Settembre. Ho 25 anni.

Chiudo la porta di casa mentre mio papà chiama l’ascensore. Siamo tornati da Parigi da poco ma stiamo ripartendo per Budapest. Poi ci sarà da trovare qualcosa. Lo stage è finito ad agosto, ma sono stranamente fiducioso e ottimista. Di certo ho avuto la conferma di quello che voglio fare nella vita come mestiere e per quello mi adopererò. Sembra tutto andare nel verso giusto. Sembra. Sì perché quando varcheremo la soglia di casa 4 giorni dopo e ci chiuderemo la porta alle spalle di nuovo, sarà l’inizio della fine, o comunque inizierà tutta un’altra storia. Peggiore.

Ottobre. Ho 26 anni.

Chiudo il portone di legno della redazione e mi incammino verso Appian Way, da lì poi prenderò la LUAS per Ranelagh e scenderò a Dundrum. Vado da Giorgia a cena. Sto facendo questo stage, è una bella cosa certo, ma ho la sensazione che troppe situazione grandi tutte insieme non sia ancora pronto a gestirle in maniera adatta. Lo penso perché ne ho avuto già la riprova. Ormai però sono a Dublino, ancora una volta dopo alcuni mesi e tanto è cambiato dall’ultima volta che avevo lasciato Ballymoss Road. È dura, molto dura, ma arriverò fino in fondo. Me lo dico prima che l’altoparlante della LUAS mi avverte che è ora di scendere.

Novembre. Ho 28 anni.

Mi chiudo la porta di un’altra redazione alle spalle, ma questa sta a Toronto e non in Irlanda. Ho registrato e montato il programma per oggi. È 17 novembre e questo blog festeggia i suoi 8 anni. Ha raccontato molte delle storie citate sopra, tutto il possibile nei limiti della decenza e della privacy di questo scorcio di vita, dal 2007 a oggi. Forse viene dall’anno più ricco dal punto di vista dei fatti e dei temi, forse, penso, ha smarrito qualche vibrazione ma rimane sempre vivo, irrinunciabile e libero, banca dati infinita e scrigno di ricordi.

17 novembre 2015, la storia continua… 

Liberamente ispirato ad un post di Alberto Sorge

Auguri Uomo

Mi dirigo verso l’Aula Verde ma tu mi precedi, apri la porta e fai passare prima Laura, la tua compagna di liceo, mi fai cenno di andare, entro, ti ringrazio e scendo i gradini. Per caso, ci ritroviamo seduti sulla stessa fila, in mezzo a noi c’è ancora Laura, siamo di sotto, a pochi passi dalla cattedra, aspettiamo la lezione di geografia. Davanti a noi c’è un personaggio pantagruelico che viene da Nemi, al suo fianco un ragazzo che tiene ineducatamente un cappellino chiaro con la bandiera dell’Italia. Collo abbronzato, sguardo fisso da predestinato, piglio di chi la sa lunga. Anche lui è un paesano, non di Nemi, ma è di Fiuggi.

Involontariamente si inizia a parlare, tutti insieme, è il nostro primo giorno di università. È il 2 ottobre 2006. Dopo la lezione delle 11 di letteratura italiana, siamo stipati ora nell’aula accanto. Si solidarizza facilmente, tutti nella stessa barca, fra preoccupazioni, disorientamento ed eccitazione. Stranamente ci tratteniamo, perché entrambi, io l’ho pensato e tu avrai fatto lo stesso, vorremmo dare un buffetto di striscio al collo di quel ragazzo davanti a noi, gridandogli: “A Cattooo!”, ci verrebbe spontaneo forse, pur non avendolo mai visto. In pochi minuti, mentre attendiamo il professore, scopriamo di scrivere per lo stesso giornale, di essere entrambi interisti e di avere la medesima aspirazione professionale. Eppure, così tanti punti in comune dovrebbero portare a un feeling immediato, ma non succede. Anzi, nei giorni successivi, ci si vede poco. Io sono il soldato che segue tutto quello che deve, tu il fantasista, l’artista, un dandy borgese, un frascatano inebriato dalla bellezza dell’università e dalla novità di fare un po’ come si vuole, senza obblighi e giustificazioni.

Quando ci incontriamo fra le pause spesso è l’ora di pranzo, fra prati e sole, io me ne vado a casa a mangiare, perché la vicinanza me lo permette e gli orari anche, e mentre tu insisti affinché io rimanga lì, io quasi stizzito, invece, vi saluto.

L’anno vola fra sussulti, incontri occasionali, i primi personaggi, la partita di calcetto a Via Ciamarra a metà marzo e qualche battuta. Passa l’estate, inizia un altro anno, parti per l’Erasmus, ci saluti prima del mio esame di storia moderna modulo A, torni dopo mesi e sbuchi ad ottobre, prima di una delle lezioni di storia contemporanea, in Aula Rossa. Lì, comincia qualcosa. Veramente. Iniziamo a percorrere tanta strada, fra parentesi brasiliane ci si scopre, ci si trova. Il contesto aiuta, il tempo anche. È tutta una escalation, un crescere, uno stringere rapporti, uno scambio intervallato da momenti goliardici e risate. Tanti scorci, le emozioni cominciano a diventare una presenza fissa, lo sfondo perfetto, e insieme ne viviamo parecchie, ma soprattutto ne condividiamo molte. Inutile sceglierne qualcuna, sarebbe un dispetto per le altre, il privilegio è stato averle assaporate: una corsa, una coppa, un piatto cucinato a sei mani, un lettone.

Giorni fa mi sono appuntato mentalmente questa lettera. L’ho scritta dopo che mi hai dato uno spunto, un messaggio su Whatsapp, chiedendomi un suggerimento su un articolo. Per un attimo mi sono fermato, mi sono guardato intorno e ho pensato: “Sto in una redazione di una tv a Toronto, lui mi scrive da San Paolo e mi chiede un’opinione per un doppio pezzo per due delle testate più importanti italiane…ma quel giorno, quel primo giorno, seduti dietro al Gallo, ai lati di Laura, ce lo saremmo mai immaginati?

Nella meraviglia di questo pensiero, ho deciso di scrivere questo augurio speciale, condiviso, libero e aperto. Partendo da ieri ma inevitabilmente proiettato a oggi, al compleanno e a tutto quello che verrà dopo. Eppure, sorrido nel pensare a questo, pur essendo “todo corazon” come dice l’inappuntabile Fabi, voglio che sia un augurio ironico e scanzonato, quelle vesti che ci appartengono e ci sono particolarmente familiari.

Sì, perché magari fra sei mesi io venderò castagne a Piazza di Spagna e magari tu insegnerai italiano a qualche giovanotto brasiliano per una manciata di reais, ma chissà, magari fra qualche anno, come dicevamo giorni fa, potremmo essere in un ristorante del centro a pasteggiare con vino rosso dicendo che in fondo:  “Quel vice-capo redattore là, è un po’ una testa di cazzo”.

Vedremo, lo scopriremo, io intanto vorrei mostrarti un nuovo contapassi e suggerirti delle ottime scarpe da corsa, perché la strada è lunga ma è davanti noi e bisogna solo lasciar andare le gambe.

Ma oggi è il 3 marzo, il tuo giorno e dinnanzi a te me quito la gorra, señor.

Auguri Uomo.

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Associazioni mentali per i compleanni

Sarà una cosa da persone fuori di testa, forse sì, non lo nego, però ho voluto fare questo gioco, questo elenco, e partendo dal 1995 ho messo vicino ad ogni compleanno ciò che mi ricordo, delle istantanee, delle associazioni mentali immediate riguardo ad ogni festa. Vi garantisco che non ho cercato nulla e non ho usato nessun ausilio, ne foto e nemmeno post vecchi. Passano gli anni ma ancora ho una grande memoria, sintomo che il rincoglionimento non è ancora giunto. Meno male.

 

1995 – Neve, Sappada, la febbre all’inizio della settimana bianca, gli amici di famiglia, l’arrivo il 4 marzo, il brodo a pranzo, i parastinchi della Umbro di Alan Shearer.

1996 – Gran Canaria, tavolata da tredici, una macchina della Burrago e il completino del Real Madrid con il 10 di Laudrup pagato 67000 Lire da mia nonna. Gran Canaria ma anche gran festa.

1997 – Gli auguri via radio su Subasio, Auguropoli, un super gol di Batistuta a Oporto contro il Benfica in Coppa Coppe, l’apparecchio per i denti.

1998 – Il concerto delle Spice Girls al PalaEur, la fila e l’attesa. Un pezzo di storia a cui ho assistito. Il completino blu della Robe di Kappa, la tuta gialla con le righe blu dell’Adidas, il completo di Euro ‘96 della Nazionale, le scarpe della Reebok.

1999 – La tuta della Nazionale, l’agriturismo “I Nobili”, il cavallo, il mago, la stanchezza del pomeriggio prima.

2000 – Non ricordo niente. Non so perché.

2001 – La felpa della Pickwick, cena, Liliana, i compiti.

2002 – Il bowling, gli amici, il pomeriggio. Simone in ritardo lasciato a L.go Beltramelli. L’orologio arancione della Swatch.

2003 – Il compleanno a casa con gli amici di famiglia, Lori, NBA Live 2003 come regalo oltre a quei fantastici pantaloncini dell’Adidas che uso ancora.

2004 – Cena con i compagni di classe, pizzeria, Andrea in giacca, io lanciato in aria tipo Lino Banfi nel film “L’allenatore nel pallone”. Lunedì sera.

2005 – I diciotto anni. Super festa, super cena, il catering, Adriano su rigore al 91’, giacca e cravatta, la torta con le candeline nerazzurre, i profitterol, gli occhiali della Nike, la macchina fotografica, l’orologio della Kienzle, Elisa, il posto a capo tavola.

2006 – La festa a sorpresa, gli amici di scuola, un sacco di brividi, ma tanti tanti. Falcone con la tuta della Roma, sul motorino con Gianmarco, la partita del torneo scolastico il pomeriggio, Mimmo che mi fa gli auguri con il megafono a Piazza Bologna, la maglia della Ternana di Simone, Milena e l’Aulin, Alessandro e la sua recita.

2007 – Champions League, Andrea, Michele, Valencia, la maglia nera, riga da una parte, 0-0, pugni, Burdisso, rissa, amarezza.

2008 – Antonio, autobus, sottopasso, felpa rossa della Marlboro, cena a casa con i parenti.

2009 – Habituè, Fermata, 120 euro di conto, “La festa è mia e pago io per tutti”, il karaoke, “Che tesoro che sei”, la Bionda, il Genovese, lo squillo, il gilet di David, la pizza a casa mia, l’asciugamano della Lamborghini, lezione di Storia della Gran Bretagna con Romano dalle 16 alle 18.

2010 – Non mi ricordo e non so perché, eppure era l’Annus Mirabilis, forse ero troppo concentrato sul ritorno di Stamford Bridge del 16 marzo.

2011 – Gabriele, Angeletti Supremacy, Avalon, domenica, pranzo a casa con i parenti in veranda, tanto sole. Rimonta sul Genoa, super Eto’o.

2012 – San Pietro, Burger King, l’India, Papà, il piumino, tempo variabile, la pizza, il Casale.

2013 – Dublino, Cristina, Giulia, Franca, il parmigiano reggiano, cena a 4, malinconia, gli auguri di Alfredo, pasta al sugo, io che lavo i piatti, Cristina che sacrifica la sua candela per farmi soffiare su qualcosa…

2014 – Corsa, cinema, Mamma e Papà, la Wiener Schnitzel, gli auguri con Whatsapp.