23.45 “Ma tu sei andato in lattato?”

Corri amore,

corri non aver paura…

Il mio problema di base è che sono un tipo tendente al fomento e di conseguenza sono un elemento facile da coinvolgere quando c’è qualcosa che di fondo mi piace. Questa è la debita premessa perché è evidente che con David siamo finiti in un dirupo dal quale difficilmente emergeremo sani e salvi: le corse. Sì, dopo quella di 5 km connessa alla Maratona di Roma, oggi, a distanza di tre settimane, abbiamo voluto replicare nell’Appia Run seppur su distanze diverse. Fin quando nostro Signore ce lo permetterà, e prima che Il Gallo si trasferisca in Angola a insegnare italiano agli stranieri, tireremo avanti così, fra uno sprint e un allungo commentando i deficitari punti ristoro.

La gara: David si è voluto giustamente cimentare nella 13 km essendo molto più allenato del sottoscritto, io ho voluto tentare ancora la 5 km per migliorare il tempo non straordinario del 23 marzo. Ci siamo così divisi intorno alle 9,20 e il Velocipede di Fiuggi ha iniziato la sua personale sfida contro il tempo. Sette minuti più tardi è stato il mio momento e memore del fastidiosissimo imbottigliamento nella corsa precedente ho occupato le prime file per iniziare bene e non perdere tempo soprattutto nel primo km.

Parto e guardo Delvecchio alla mia destra, il cronometro inizia a girare, il cielo tiene e la minaccia pioggia sembra sventata. Al primo semaforo prendo una giovincella come punto di riferimento, c’è subito la prima salita e mi mescolo nel gruppo. Prima di Porta Ardeatina supero la ragazza che non brilla a livello estetico, allungo e affronto una seconda salita che onestamente mi irrita. Arriva il discesone e recupero un po’, sulla Colombo ne supero un paio, guardo il time e sono in linea, sotto il ponte volo e poi mi imbatto in una nuova salita, le posizioni sono ormai quelle, ho staccato diverse persone e fino alla fine posso solo superare. Prendo un’altra ragazza come riferimento, cammina che è un piacere, sbaglio nel prendere l’acqua al rifornimento perché non ho sete e mi distraggo, lancio la bottiglietta sul lato della strada e sorpasso la mia lepre.

Stanno per scoccare i venti minuti, imbocco Viale Giotto in una Roma che dorme ancora, finestre chiuse e serrande tirate giù, passo bene un paio di curve e vedo il discesone finale. Sento l’altoparlante, capisco che siamo verso la conclusione, mi lancio aumentando la velocità, il tempo è buono e infilo il capellone, poi due pupazzi che mi avevano passato a metà gara. Vedo l’ingresso dello stadio, accelero ancora e so che posso chiudere comodamente sotto i 24 minuti, taglio il finish, blocco il cronometro e vedo 23.45: tempone.

Riconsegno il chip, prendo il mio sacchetto ristoro, mi scolo il Powerade, assaggio il plumcake, stretching e mi metto ad aspettare David che arriva dopo un po’, lo vedo e gli grido dietro per incitarlo, anche lui taglia il traguardo dopo un’ora e sei, altro grande risultato. Ci riposiamo, commentiamo la corsa, discutiamo dell’approssimazione su alcune cose, Il Gallo mi pare entusiasta del pezzo percorso dentro il Parco della Caffarella e ci godiamo un po’ di sole.

Ho migliorato sensibilmente il tempo di tre settimane fa facendo due minuti e quaranta in meno, abbondantemente sotto i 5 primi al km, un piccolo successo personale a dimostrazione che l’allenamento serve sempre e che se devo migliorarmi ci provo sul serio.

David è platealmente deluso per non aver potuto incrociare Rosaria Renna, cerco di rincuorarlo ma non è sufficiente, arriva però un capelluto corridore esperto, forse un trainer, che parla ad altri due delle corsa e chiede ai suoi interlocutori se sono andati in lattato durante la maratona. Diventa il protagonista di giornata per il suo tecnicismo buttato lì, talmente tirato fuori all’improvviso che lo deve spiegare riproponendo la domanda di nuovo e sostituendo “Lattato” con “Acido Lattico”. Si prende la scena senza dubbio, regalandoci un tormentone che ci porteremo dietro a lungo.

Anche questa è andata, ora la prossima tappa è la Single Run di fine maggio, e lì, vedremo che verrà fuori…

 appia run

(Nella foto potete facilmente notare chi è il corridore e chi lo spettatore)

26.25 (A Catto, ma che ne sai tu…)

Ti ricordi quella strada, eravamo io e te,

e la gente che correva, e gridava insieme a noi.

Certo che sognarsi di essere su una sedia a rotelle indossando delle discutibili Clarks azzurre non è il modo migliore per avvicinarsi a una maratona, soprattutto se la cosa ti inquieta e ti fa svegliare alle 2,43 e non prendi più sonno perché ti domandi il motivo per cui nella frase “A casa” c’è il raddoppiamento fono-sintattico e in “La casa” no.

Vabbè, alzarsi alle 6,45 di una domenica mattina con la pioggia fuori e sapere di dover andare a correre è un segno evidente di forti disturbi o di una palese pazzia, quella sensazione che ti fa dire “Ma chi me lo fa fare?”. E invece no, prima delle 8 raccatti il tuo amico Gallo alla metro e ti avvii verso Via Cavour insieme a tanti altri invasati. Piove, tira vento, troppa gente, a un punto diluvia e ti metti sotto un tendone del ristorante “da Massenzio” che ti protegge da una doccia universale. Si parla, si sdrammatizza, si invoca a gran voce il sole e alle 9 bum! Inizia la maratona, quella seria, quella di 42 km. Poco dopo ti incammini, schiacciato fra un popolo di corridori, amatori e perditempo. Mezz’ora di ritardo e poi si parte, il Sindaco dà il via anche alla stracittadina e a questi 5 km in allegria mentre il meteo concede in tempo una pausa, quasi miracolosa.

Si comincia, in realtà si cammina, almeno per il primo kilometro chiuso in 6.36, un tempo ridicolo, imbottigliati nel gruppone con persone che pensano a foto e a salutare alcune telecamere. Il Gallo sbuffa e bestemmia, io gli do ragione, nel frattempo si perde il cane per strada, all’altezza del Teatro Marcello continuiamo a lamentarci, a dribblare gente, a fare lo slalom costantemente per evitare quelli che l’hanno presa un po’ alla leggera e ci ostacolano prima di infastidirci qualche metro più avanti.

David allunga un po’, gli sto dietro, usciamo dal serpentone umano, ci buttiamo sul marciapiede, i sanpietrini intanto brillano di acqua e il rischio di andare lunghi è concreto, un pericolo in più. Costeggiamo il Circo Massimo, prendiamo il largo, c’è più spazio dopo il secondo km e andiamo anche se ogni tanto dobbiamo frenarci, ripartire e schivare personaggi inopportuni. Su Viale Aventino riesco anche a pensare all’ultima volta che ero passato lì, in compagnia, a fare il turista a settembre: caldo, afa, pantaloni corti.

Prima di rigirare per involarci verso il Circo Massimo, il mio compare aumenta il suo vantaggio, io accorcio, mando affanculo uno che fa una manovra folle e rischio di tamponarlo pericolosamente, supero tre ragazze in gran forma e confido a David che spero di rivederle il 31 maggio ai 5 km della Single Run. Gli ucraini imbandierati strillano invocando la libertà per il loro paese, io supero diverse persone e mi imbatto nella salita finale su Via del Circo Massimo. Accuso la pendenza, il cronometro mi dice che non manca tanto, il tempo è buono, scollino e mi lascio andare nell’ultima discesa, vedo il traguardo, accelero, guadagno qualche secondo e taglio il finish con un buon 26.25 (buono visto le 7 corse in tre settimane), mentre David mi ha preceduto con un minuto di vantaggio e mi attende. Cinque alto, punto ristoro per l’acqua, un po’ di stretching e subito due battute sul caos, troppe persone, troppi ostacoli, bello correre per Roma ma scomodo farlo con miliardi di cristiani tra le scatole.

Giretto per gli stand e poi via verso la metro di Circo Massimo: è andata, la pioggia ci ha graziati, forse ci ammaleremo uguale o forse no, chissà, alle 11,00 ci salutiamo e ognuno si imbarca verso casa, la prossima tappa è la corsa sull’Appia il 13 aprile, poi la Single Run sabato 31 maggio, il nome di quest’ultima dice tutto, ma come ha chiosato il Catto “Ormai c’è rimasto solo da correre…”

 

P.S. Ho contattato La Bionda appena tornato a casa per farmi spiegare il discorso notturno sul raddoppiamento fono-sintattico, la riposta è che tutto dipende dal monosillabo A che è cogeminante, a differenza dell’articolo LA. Quante ne sa.

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Un video per te

Premessa: è un “regalo”, un omaggio ad una persona, solo ed esclusivamente per questa persona. Quindi, se vi pare nostalgico, malinconico, triste, pesante, esageratamente rivolto al passato, sappiate che siete fuori strada. A noi piace così, noi capiremo il suo valore perché dentro in fondo c’è quell’ironia e quella capacità di sdrammatizzare che tante volte è stata fondamentale.

In realtà tu non lo sai, ma venerdì scorso mentre camminavamo da soli davanti l’aula rossa e ti ho messo una mano sulla spalla dicendo “Eh, i migliori anni della nostra vita…” avevo già in mente tutto e avevo già iniziato a creare questo video raccogliendo buona parte del materiale. Naturalmente è per te, ma anche per noi visto che racconta questi anni. Impossibile mettere dentro tutto, troppo complicato infilare ogni cosa. Una cernita è stata di fatto obbligatoria, magari alcune belle foto sono rimaste fuori ma quelle più simboliche ci sono. Che siano stati i migliori anni lo sappiamo, e direi anche che è piuttosto evidente, insomma quei brividi sarà difficili poterli ritrovare altrove.

Be, sicuramente due risate te le strapperà, però se poi mi ti immalinconisci anche po’ sono contento uguale, non è l’obiettivo però ci sta. Mi raccomando, lo devi vedere più volte di quello mio della magistrale.

Buona visione Dà.

 

“Ma era n’altra cosa, altri brividi, un altro fomento, un altro clima, altri tempi, bei tempi…ma de che stamo a parlà su…”

 

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“Chi tifa David Spera, non perde mai”

 

“Non oso immaginare cosa sarebbe la vita senza Il Catto”. Questa è una delle considerazioni che faccio più volte, e mi domando come sia riuscito a vivere dal 6 marzo 1987 fino al 2 ottobre del 2006.

Intorno al nostro amico, personaggio funambolico e inarrivabile, si è creata negli anni una sorta di letteratura di cui io sono stato uno dei precursori, mentre Alfredo ne è diventato uno dei maggiori esponenti. Una religione, un dogma, un ideale da difendere, il simbolo di una Fiuggi che ormai non c’è più, David Spera (non sbagliatevi mai a chiamarlo Davide) è un sacco di cose. E poi, tifiamo tutti per lui, solo per lui, qualunque cosa faccia, perché l’affetto va al di là degli egoismi: se penso che in 9 mesi siamo stati per due terzi lontani a migliaia di kilometri mi domando come abbia fatto a sopravvivere.

Un’istituzione, uno dei grandi personaggi della facoltà, non è un caso se io e lui siamo all’interno della clip dell’Università di Tor Vergata. A differenza degli altri io ho avuto la fortuna ed il privilegio di viverlo da amico, collega e compagno di viaggio, il contesto in cui si esalta maggiormente.

Sarà che condividiamo tante cose: gli studi, gli interessi e quel senso di ironia e autoironia che negli anni ci ha contraddistinto, insomma una serie di fattori che rendono tutto più facile e alimentano i rapporti. Proprio l’autoironia è un pregio che gli deve essere riconosciuto, un sintomo di intelligenza e quella capacità di sdrammatizzare anche momenti davvero tragici.

“Chi tifa David Spera non perde mai” è una frase coniata nell’agosto del 2010 tornando in treno da Milano, un altro tormentone che negli anni ha resistito ma che ha un reale senso di verità. E per questo, la sua scelta dublinese vissuta tra difficoltà, alti e bassi, rappresenta al meglio la sua tenacia e la voglia di insistere e crederci.

Fabi dice che io ed Alfredo ci comportiamo da bulli nei confronti del nostro amico fiuggino, ma fa tutto parte di un grande gioco, della capacità di prenderci in giro reciprocamente, di recitare dei ruoli prefissati. Se il Fabi-Pensiero è vero, aggiungiamo anche che noi per il Catto saremmo pronti a prenderci pure una zaccagnata, una coltellata, come disse senza mezzi termini in passato Alfredo.

Il balzo del Catto, il fatto che beva litri di acqua durante la notte, il Lettone, il raddoppiamento fonosintattico della C intervocalica (sto alzando il livello eh), lo smalto, i versi, il suo blog, il suo essere patriota ma di sinistra (un Orwell dei tempi nostri), la curiosità, il lavarsi i denti appena rientrato in casa con ancora il cappotto addosso, la borsa della Marina Militare, il parlare usando anche solo brivido-fomento-mi schiero, e la rara caratteristica di non tirarsi ma indietro.

Tutto ciò appartiene a quest’ultimo eroe dei nostri tempi, quello che alle 5 del mattino, di un sabato sera prima della grigliata a Monteporzio, era in giro per Fiuggi a fare qualcosa che non sapremo mai.

Lui è il nostro idolo. Senza di te saremmo tutti un po’ più poveri.

Bentornato Gallo…Ueeeeeee!!!

 

David: “E questi…questi, questi, questi so’ brividi eh…”.

(Frase delle frasi, dicembre 2008)

 

 

 

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(Verona, ottobre 2009. Secondo David, la nostra foto migliore. Secondo me, una delle meno peggio).