Agosti

Lo avrò detto e scritto già tante volte ma a me Ferragosto ha sempre generato un certo stato di fastidio, perché di fondo è il primo termine limite dell’estate. Un avvertimento, un messaggio che si infila fra le abbuffate, i gavettoni, la spiaggia e la Gazzetta dello Sport che il giorno dopo non trovi in edicola. Il 15 agosto ti ricorda soprattutto una cosa: un mese dopo sarai di nuovo a scuola. Per me è ancora così. Lo è stato per 13 lunghi anni, per cui penso che ne debbano passare almeno 14 per togliermi di dosso questa sensazione. Ora sono a quota 11, ma forse il fatto che sto in redazione anziché intorno ad un tavolo con 38 gradi all’ombra aiuta a non pensare a questa antica sensazione.

Non mi è mai piaciuta come celebrazione anche se è profondamente italiana, uno spartiacque estivo del nostro paese, il 15 agosto è incardinato nella nostra cultura come poche altre cose ma nonostante tutto a me non ha mai attirato più di tanto.

Agosto oltretutto non è il mio mese preferito. Sarà perché è l’ultimo del trittico estivo, perché giugno e luglio hanno un fascino diverso, l’unica cosa che salva questo mese è l’inizio del nuovo campionato.

Giorni fa, indossando una maglia granata con una scritta davanti a caratteri cubitali “Liverpool”, mi è tornato in mente l’agosto del 2008 quando mi aggiravo da solo per la città del Merseyside, soprattutto i giorni dopo il ritorno da Manchester.

Erano veramente altri tempi: il mio primo viaggio in solitaria in un posto che avrebbe poi segnato gli anni successivi, in particolare la tesi magistrale. Mathew street, Albert Dock, la carbonara da Uncle Sam, Hanover street, Sports Direct, il brivido di entrare ad Anfield, la pioggia di Manchester, il treno verso Altrincham, lo spagnolo incontrato a Liverpool e pochi giorni dopo a Manchester, Arndale, io che vado alla biblioteca pubblica per vedere se Fermata aveva risposto alla mia email. Tante immagini e frammenti che oggi, forse ancor di più, custodisco con un senso quasi di tenerezza.

Un anno dopo agosto mi vedeva immerso nel lavoro della tesi, fra giornali, analisi linguistiche, la mia famosa estate a Wigan Pier per usare una citazione orwelliana che mi piaceva tanto. Una estate a casa, ore di lavoro di fondo buttate, l’inizio della Tesissea, ma anche tante cose fatte con i miei amici, nella calura romana, uno dei passaggi di grande unione della Cerchia. Ricordo la finale di Supercoppa persa con la Lazio a Pechino, la prima delusione di una stagione che poi sarebbe stata impensabile.

Nel 2010, appunto, ero in giro a riscuotere gli interessi della stagione impensabile appena citata. Ero a Roma, in attesa di andare prima a Milano il weekend successivo a Ferragosto, e quello dopo ancora a Montecarlo. Recentemente ripensavo a quanto in quel momento specifico mi sentissi totale padrone della Terra, in ciabatte sul Monte Olimpo a spassarmela.

Nel 2011 il mio lavoro di tesi per la magistrale iniziò ad agosto proprio perché coincideva con l’ultimo esame di settembre. Ricordo il pranzo di Ferragosto a Spoleto dove incontrai il Capriottide per le strade del centro storico ed il viaggio di ritorno in macchina con mio zio all’inseguimento del “Sorce”, ancora oggi, se ci ripenso potrei ridere senza pause.

E il 2012? Terminai il mio stage a Roma Uno la prima settimana di agosto e provai a godermi un po’ di mare e Olimpiadi, in attesa del doppio viaggio settembrino con destinazione Parigi e poi Budapest.

Nel 2013 ricordo il vuoto totale, con l’Irlanda alle spalle e poche idee sul dopo. Fu così che intervenne la Provvidenza il giorno dopo Ferragosto. Mentre ero a Trastevere a mangiare una pizza con mio padre, controllai dal suo telefono la mia email e trovai un commento sul blog che mi era arrivato dalla Svizzera. In quel momento non sapevo minimamente che tutto stava prendendo una direzione nuova e imprevista. Ero ignaro di come in quell’istante la mia vita stava uscendo da un binario per incanalarsi in un altro. Se ci penso, è quasi spaventoso. A fine mese feci la valigia per Lugano, sei settimane dopo una un po’ più grande per Dublino, e se oggi scrivo da qui, alla fine, è perché ho ricevuto quel messaggio e perché decisi di varcare la frontiera italo-elvetica due settimane dopo.

Del 2014 ho un ricordo piuttosto vago, dovrei andare a rileggere qualcosa nel blog. Non fu un grande agosto, non fu nulla proprio in generale, l’anno più sbiadito che io ricordi.

Durante l’ultimo agosto invece, mi aggiravo fra le mura vaticane, provando una mattina di inizio agosto un senso di nausea che ricordo perfettamente ancora oggi mentre giravo all’angolo di Via Monza. Uno dei momenti più emblematici del 2015, senza dubbio. Ferragosto invece lo passai in Puglia con Alfredo, scappando dalla spiaggia come due ladri per un improvviso tsunami, dopo aver rischiato oltretutto una rissa per un parcheggio perché il ragazzo di Frascati, quando ci si mette, è uno preciso e i panini vuole farli bene, soprattutto se il tavolo di lavoro è il sedile del passeggero in macchina.

 

Questo invece? Sto qui a Toronto, non è festa, è lunedì, fa caldo ma non come gli ultimi giorni in cui il clima è stato di un umido mai sperimentato a queste latitudini. Un’altra settimana comincia, Ferragosto non mi tange minimamente, non mi manca nulla di questo giornata, lavoro, ho un po’ di cose da fare e poi domenica ricomincia il campionato, ma soprattutto il prossimo agosto, per forza di cose, già sappiamo che sarà di alto livello.

Ferragosto 2014

Per tredici anni – quelli della scuola – ho vissuto Ferragosto con una notevole dose d’ansia, sapevo che dopo il 15 iniziava di fatto il conto alla rovescia all’inizio della scuola, l’estate imboccava il rettilineo finale, la prima di campionato era ad un passo e bisognava andare in giro a comprare quaderni e penne. Nel periodo universitario Ferragosto ha sempre coinciso con il limite della vacanze, dal giorno dopo, di solito, riprendevo in mano appunti e testi per l’esame del primo appello di settembre. Tutto questo, in maniera piuttosto chiara, spiega il mio rapporto conflittuale con questa ricorrenza, diciamo che non ci siamo mai amati profondamente io e il 15 agosto perché ha sempre scatenato in me un fastidio palese.

Negli ultimi l’ho celebrato a fasi alterne, nel 2010 andai a Fregene con Gabriele, Giacomo e compagnia, il viaggio d’andata in treno e quello di ritorno in pullman si trasformarono in qualcosa al limite dell’assurdo, soprattutto l’incontro con la ragazza orientale che mi tirò in mezzo a un pasticcio clamoroso. L’anno dopo, fu la volta della gita a Spoleto, pranzammo nella cittadina umbra, incontrai il “Capriottide” a due passi dal ristorante ma ricordo quel 15 agosto con particolare beatitudine, penso sia stato uno dei momenti di maggior entusiasmo degli ultimi anni per una dozzina di motivi. Nel 2012 rimasi a Roma da solo, lo scorso anno sono andato a pranzo da mia nonna, l’indomani di Italia – Argentina, quella serata storica marchiata a fuoco dal fantasmagorico incontro nei bagni dello stadio con “Fettina”.

Quest’anno, come nel 2011, ci siamo spostati quasi tutti a Bolsena, in riva al lago, a due passi dal campeggio per il tipico pranzo di Ferragosto caratterizzato dal mio cinghiale al Barolo. Niente bagno, una passeggiata per le vie del paese e nel tardo pomeriggio rientro a Roma come tanti miei concittadini, quelli che in occasioni del genere vanno tendenzialmente o in Umbria o nell’alto Lazio a sperimentare qualche ristorante tipico suggerito da amici durante l’anno.

Avanti e indietro in giornata, poco traffico, quattro ore abbondanti di viaggio complessive trascorse a chiacchierare con mio zio ed un pensiero fisso: non so perché, ma a me il casello di Orte esalta in una maniera indecifrabile. Da sempre.

Archiviato Ferragosto, tutta l’attenzione del mondo ora si rivolge ovviamente alla prossima settimana, a mercoledì 20 e alla partenza per Spalato e il tour nei Balcani. È tempo di dare nuovamente colore a questo 2014 e il modo migliore è quello di immergersi in una roba del genere.

images670GSIH9

Cinque cose prima di Ferragosto

Mentre il calendario precipita rapido verso Ferragosto, devo fissare da qualche parte alcuni appunti.

  • Dopo tanto tempo, finalmente, siamo riusciti a deflorare anche lo Zoomarine di Torvaianica riproponendo più o meno una giornata simile a quella di inizio giugno a Valmontone. Peccato però che stavolta l’impareggiabile Gallo non abbia potuto partecipare alla giornata a bordo piscina, fra scivoli, attrazioni, pappagalli e delfini. Anche in questo caso eravamo circondati da napoletani, e ancora una volta non capisco il perché tutte le volte noi dobbiamo andare a Napoli quando avremmo dei parchi divertimento a portata di mano…Senza dubbio, l’attrazione più entusiasmante (almeno per me e Antonio), è stata quella degli scivoli sui gommoni da fare insieme, un qualcosa che abbiamo ripetuto 5 volte, 3 delle quali consecutivamente. Tutto bello, tanta gente, giornata calda, peccato solo per lo spettacolo dei delfini, considerando che sono degli animali che notoriamente io non riesco a sopportare, ma questa è una storia lunga…
  • Al campeggio ci siamo andati, la roulotte è stata sistemata, la veranda-tenda anche. Tornando da solo da Bolsena ho dovuto prendere il treno a Orvieto e nel cercare un posto sul vagone, ho voluto (come sempre) rimediarne uno vicino a qualche ragazza, semplicemente perché come afferma Fabio Volo in un suo libro, è meglio condividere l’aria con le donne che con gli uomini. La ragazza davanti a me era sola e leggeva un libro dal titolo criptico in una lingua misteriosa. A un punto, quando mancava ormai poco alla stazione, lei si è svegliata e le ho chiesto per curiosità di dove fosse per capire più che altro la lingua. Quando ha risposto Turchia, Istanbul, ovviamente è iniziata una conversazione interrotta solo dall’altoparlante che annunciava: “Siamo in arrivo alla stazione di Roma Tiburtina”, la mia fermata, ma non la sua. 
  • Come scritto già nell’ultimo post, sono tornato a giocare a basket con Vincenzo giorni fa e arrivati in parrocchia abbiamo dovuto condividere l’unico canestro con due bambini. Dopo qualche tiro di riscaldamento, i due nanerottoli ci hanno sfidato apertamente chiedendoci se volevamo fare un due contro due. Considerando che io aspettavo solo quello, nel senso che volevo una partitina al volo, al di là dell’età dei presenti, abbiamo accettato subito. Per quanto la sfida non fosse impossibile per età, esperienza e altezza (soprattutto altezza…), abbiamo vinto entrambe le partite, la seconda con uno scarto minimo anche perché abbiamo giocato a ritmi piuttosto bassi, ma quello che per me rimarrà il momento più importante del pomeriggio è il mio “movimento-zappa”. Sicuramente non tutti sanno di cosa sto parlando, pertanto lo spiego. Dicasi “movimento-zappa”, quello in cui parti in palleggio verso sinistra (nel lato meno atteso dal difensore) e ad un punto convergi tutto verso destra, spostando il pallone da sinistra a destra rigorosamente con la mano destra. Quel movimento (deve essere molto rapido) obbliga il braccio a fare una specie di uncino, una “zappa” appunto, e beffa l’avversario spalancandoti lo spazio verso il canestro sulla tua mano forte (quella con cui tiri abitualmente).Se non l’avete capito per bene, il video arriva in vostro soccorso, al minuto 4.10, correva l’anno 2000, Losanna, finale di Saporta: http://www.youtube.com/watch?v=pBQqQdq_yuw Io per anni ho cercato di imitare questo gesto perché era uno dei marchi di fabbrica di Danilovic, il fatto che mi sia venuto all’improvviso, quasi d’istinto, e che abbia portato anche ad un canestro mi ha riempito di gioia in un modo inspiegabile. Il suo essere automatico come gesto mi ha quasi emozionato. Ho voluto scrivere sta cosa perché fra anni sarò felice di rileggere queste righe e di ricordarmi che mi era venuto bene il “movimento-zappa”.
  • Per par condicio però, visto che di Catto ce n’è uno e tutti gli altri son nessuno, vi metto anche il link del blog di David Speranzi. Così, per pubblicità. davidspera9.myblog.it

Dialogo della settimana

 

Vincenzo: Pagherei per sapere cosa pensavo quando avevo l’età di questi ragazzini, o quando avevo 14 anni, tu te lo ricordi a che pensavi?

 

Matteo: Sì Vincè, esattamente alle stesse cazzate di oggi. Le stesse identiche.

Un Ferragosto tradizionale

Seppur al termine di questa festività e quasi in ritardo, buon ferragosto a tutti. Dopo diversi anni, anche per me, il 15 di agosto ha ripreso dei tratti piuttosto caratteristici, ossia il pranzo al ristorante magari fuori città. Stamattina intorno alle 10 mio zio Aldo mi ha prelevato a casa e ci siamo diretti in Umbria, a Spoleto, paese a 25 km da Foligno luogo d’origine di mia nonna. Qui ci siamo ricongiunti con i miei genitori che erano partiti già ieri pomeriggio e con il resto della famiglia. Pranzo nel centro storico del paese dove all’improvviso ho incontrato un nutrito gruppi di amici dell’università i quali erano nell’entroterra umbro a mia insaputa. Saluti e auguri, poi ci siamo diretti verso i rispettivi ristoranti. Antipasto, tagliatelle al sugo d’oca, salsicce e patate al forno, caffè e amaro, in poche parole un classico pranzo all’italiana, casareccio e di buon gusto che ci ha permesso di alzarci alle 15 passate più che soddisfatti. Dopo una breve passeggiata per il centro storico di Spoleto siamo ripartiti con destinazione Foligno per un rapido saluto ai tanti parenti sparsi che vivono là. Alle 17.30 io e mio zio siamo risaliti in macchina per il viaggio inverso con un obiettivo in testa: evitare al casello la corsia con il pagamento automatico (come all’andata), quello dove non c’è il casellante, quello in cui succede sempre qualcosa e si crea il caos puntualmente. Giunti alla barriera di Roma Nord dove una bella coda ci attendeva, siamo riusciti a pescare la tabella con la manetta (come dice mio zio) sopra, ossia il casello con tanto di personale. Quando un signore di mezza età ha tentato la furbata di cambiare corsia all’ultimo, adducendo motivi sconnessi e ci è passato davanti, abbiamo deciso di seguirlo appena imboccata l’autostrada. Mio zio ha scommesso che sarebbe uscito al nostro svincolo convinto che l’atteggiamento da “busciardo paraculo” potesse appartenere solo a gente proveniente da Roma sud-est. Dopo diversi km il signorotto di mezza età ribattezzato Sorce, con la sua Y bianca proseguiva sulla nostra stessa strada ma ha girato all’uscita 14 lasciandoci un po’ di amaro in bocca e facendoci perdere la nostra virtuale scommessa. Alle 19.30 eravamo a casa al termine di un ferragosto tipicamente all’italiana, domani si torna a studiare e si viaggia veloci e convinti verso la prima scadenza, sabato 20 quando il primo libro dovrà essere a tutti i costi terminato.