Sola non la lascio mai

L’ultima volta la ricordo bene: 3 novembre, un sabato di autunno che stava per concludere una delle settimane più brutte della mia vita. Per 90 minuti mi dimenticai di tutto ed intorno alle 23 ero contento, e se c’era una cosa al mondo che poteva risollevarmi era veramente solo quella: battere la juve, nel suo nuovo stadio per primi, e farlo in rimonta con una partita incredibile in cui Tagliaventus fece di tutto per farcela perdere.

L’ultima volta a Milano invece era aprile 2010, l’ultima curva prima del rettilineo che ci fece entrare nella leggenda. Li ero contento, per tanti motivi, e lei c’era ancora. Se ne sarebbe andata due anni dopo, prima di quell’altra vittoria appena citata.

Ne è passato di tempo e prima o poi il numero giusto sulla ruota esce ed io ero convinto che potesse essere proprio oggi. Ancora di più dopo l’imbarazzante giovedì europeo. L’Inter è così, la sua soave follia consiste in questo, in quel modo unico di saper sorprendere sempre e comunque. Ieri mi è tornato il novembre 2003 quando in sette giorni vincemmo 6-0 con la Reggina, perdemmo in casa 5-1 contro l’Arsenal e poi schiantammo la juve a Torino senza mezza squadra per 3-1. Sentivo delle analogie con quella settimana, ma soprattutto sapevo che sarebbe stata ben altra storia rispetto a giovedì.

Meritata, giusta e conquistata nel modo più bello. Giocando meglio, correndo tanto, lottando e non mollando anche dopo l’ingiusto svantaggio. La squadra sta crescendo, nel possesso e nel creare occasioni da gol. Ha concesso poco oggi a una juve stanca, sbadata, a tratti quasi svogliata, forse un po’ troppa presuntuosa. Tutti hanno giocato una grande partita, inimmaginabile quella di Icardi che ha infiammato San Siro, tornato per una sera ai fasti di qualche anno fa per pubblico ed entusiasmo trascinante.

Bello, tutto molto bello per dirla alla Pizzul, come la presenza di alcuni eroi leggendari in tribuna, Gabigol che si è goduto lo spettacolo, Materazzi che alza la sua maglia al centro del campo mentre i tifosi juventini lo bersagliano. Bella la coreografia realizzata dai bambini all’ultima festa della Nord, ma soprattutto il gusto di vincere in rimonta ribaltando tutto in pochi minuti e annullando subito il vantaggio prima di finire in un burrone emotivo.

Che possa essere l’inizio di un nuovo viaggio ce lo auguriamo tutti, la qualità c’è, la voglia speriamo, serve tempo, inevitabilmente, e di tempo non ce ne è, ma vittorie come queste cambiano certe prospettive e devono essere sfruttate per fiducia e consapevolezza, due ingredienti necessari ma che si ottengono solo con giornate così.

Una magnifica domenica di fine estate che ci fa ben sperare, concediamoci qualche bel pensiero per un po’ di ore, c’eravamo quasi dimenticati del sapore di batterli, godiamocelo per un po’ adesso, anche perché è gustoso come poche cose al mondo.  

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31 agosto 1997

Ieri pomeriggio mentre ero intento a scrivere un articolo sulla imminente canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta, mi è tornata in mente la sua morte avvenuta il 5 settembre del 1997.

Ricordo molto bene quella settimana, ed il fatto che oggi sia 31 agosto mi riporta alla memoria questa data di 19 anni fa. Era una domenica di fine estate e ci svegliammo con il dramma avvenuto la notte prima a Parigi con la morte di Lady Diana. Ricordo questo senso di sgomento e di profonda tristezza per la tragica fine di un personaggio così popolare ed amato.

Quella domenica andai a Torvaianica con i miei genitori, posto che per la prima volta dopo sette anni di fila non ci aveva visti presenti a giugno con la casa affittata a Via Rumenia. Poco dopo essere arrivati in spiaggia, con mio padre andammo a comprare il giornale alla solita edicola ed in seguito allungammo un attimo la camminata per raggiungere Celori e comprare qualcosa per il pranzo. Non credo che il Messaggero titolasse qualcosa sulla morte di Diana, il dramma era avvenuto troppo tardi e il giornale era già in stampa presumo. Rimane il fatto che quella domenica di fine agosto la ricordo così: calda e triste, ma di una tristezza che per quanto non mi toccasse nel profondo, potevo constatare in giro. Anche a 10 anni un bambino riesce a percepire quando qualcosa di grande sta succedendo, o quanto meno quando c’è un evento insolito che catalizza l’attenzione in modo diverso.

La parte finale di quella domenica mi rimase impressa per tutt’altro però. Tornammo a casa mentre la prima giornata di Serie A era in corso e l’Inter, con Ronaldo all’esordio, era sotto a San Siro per 1-0 contro il Brescia per un gol di Darione Hubner. Un minuto prima di passare in svantaggio era entrato al posto di Ganz un giovane uruguaiano che nel giro di pochi minuti ribaltò tutto in maniera clamorosa con due autentiche bombe di sinistro. Di quel piede mancino ce ne saremmo innamorati poi in modo incurabile per il decennio successivo, e in quel pomeriggio dall’atmosfera cupa, scoprii il “Chino” Recoba e le sue uniche capacità balistiche, talmente grandi che offuscarono l’esordio di Ronaldo.

Madre Teresa passò a miglior vita il 5 settembre, pochi giorni dopo Diana, e il mondo nuovamente fu colpito dalla morte di un personaggio tanto grande ed importante. Non ricordo infatti altre settimane in cui due figure così note ed apprezzate se ne andarono in rapida successione.

Il giorno dopo la morte di Madre Teresa ci furono i funerali di Lady D e ho chiaramente stampata nella mia memoria bene la canzone di Elton John “Candle in the wind” riadattata per la Principessa di Galles nella sua straziante melodia.

A me il 31 agosto ha sempre messo profonda tristezza. Una sorta di update delle sensazioni già raccontate in precedenza per Ferragosto, ma nella mia mente di bambino credo che quel 31 agosto del 1997 abbia indubbiamente aiutato molto a creare in me questo senso di malinconia.

Da Berna a Birmingham

Da Berna a Birmingham. La traiettoria è questa, inizia il 10 maggio del 1989 e termina il 19 maggio del 1999. Dieci anni, in mezzo un dominio mai visto prima, un impero calcistico difficile da poter replicare, quasi impossibile da superare.

Dalla Svizzera al centro dell’Inghilterra, due finali di Coppa delle Coppe, in campo la Sampdoria di Boskov e la Lazio di Eriksson. La storia inizia con una sconfitta però e finisce con un successo, l’ultimo timbro italiano sul decennio di gloria del nostro calcio dominante.

Gli Anni 80 stanno per finire, l’Europeo di Germania è alle spalle e la nostra Nazionale non ha brillato, sullo sfondo però c’è già la Coppa del Mondo che ospiteremo, nel frattempo le italiane continuano a faticare nelle competizioni europee. L’ultimo successo è datato 1985, la Coppa Campioni della Juventus nella maledetta notte dell’Heysel.

L’ultima stagione degli anni Ottanta segna però un cambio di marcia, una svolta che ribalta il panorama calcistico continentale. Il Milan di Berlusconi ha vinto lo scudetto nel 1988 strappandolo al Napoli di Maradona, dopo il tricolore il presidente rossonero punta dritto all’Europa. Gullit e Van Basten trascinano il Milan alla Coppa Campioni contro la Steaua Bucarest travolta al Camp Nou per 4-0. La macchina perfetta messa a punto da Sacchi inizia a spaventare l’Europa che è ancora orfana delle inglesi, fuori dopo la drammatica notte di Bruxelles. Senza le squadre di oltremanica che avevano vinto a ripetizione a cavallo degli Anni 70 e 80, mancano rivali importanti, ma il vuoto non è stato monopolizzato da nessuna nazione fino al 1989 appunto.

Il Milan sale in cima all’Europa, la settimana prima il Napoli si aggiudica la Coppa Uefa contro lo Stoccarda; il 10 maggio a Berna invece la Samp viene battuta dal Barcellona. Tre italiane in finale in ciascuna competizione, un episodio che capiterà ancora, l’en plein sfuma solo per il mancato successo doriano, ma è solo questione di tempo.

La stagione che conduce a Italia ‘90 è un altro dominio totale: il Milan rivince la Coppa Campioni (ancora oggi è l’ultima squadra ad averne vinte due fila) contro il Benfica, la Samp ai supplementari supera l’Anderlecht in una partita che sembra stregata e vendica la sconfitta dell’anno prima, mentre la Juve batte in una finale tutta italiana la Fiorentina in Uefa.

Il monologo italiano si interrompe ai Mondiali con i rigori in semifinale contro l’Argentina, ma la supremazia italiana non si ferma, si arresta, solo per un po’.

Nel 1990-91 un’altra finale di Uefa è tutta tricolore: l’Inter batte la Roma, ma ai quarti su 8 squadre 4 sono italiane considerando anche l’Atalanta ed il Bologna. In Coppa Coppe la Juve esce in semifinale contro il Barça che perderà la finale contro il Manchester United, mentre il Milan non riesce a calare il tris ed esce ai quarti nella controversa notte dei lampioni di Marsiglia.

Il territorio preferito delle italiane sembra essere la Coppa Uefa, nel 1992 infatti un’altra squadra di Serie A, la sesta diversa in 4 edizioni, raggiunge l’atto conclusivo. Il Torino perde la coppa senza essere sconfitto. Finisce 2-2 contro l’Ajax al Delle Alpi e 0-0 in Olanda, con la corsa granata che si infrange su tre legni. Il Genoa è l’altra sorpresa della competizione ed abdica soltanto in semifinale, sempre contro i lancieri.

In Champions League, questa è intanto la nuova denominazione della Coppa Campioni, c’è la Sampdoria alla sua prima partecipazione in questa competizione. La marcia della squadra di Boskov è praticamente perfetta, e senza alcun timore reverenziale i blucerchiati avanzano fino alla finale di Wembley. I sogni di Vialli e Mancini però naufragano ancora una volta per mano del Barcellona, come tre anni prima. Ai supplementari un siluro su punizione di Koeman regala la prima Coppa Campioni ai blaugrana. In Coppa Coppe la Roma va a casa ai quarti contro il Monaco, la campagna europea italiana si chiude con due finali e zero successi per la prima volta dopo tre stagioni consecutive.

È un caso, perché il 1992-93 ristabilisce nuovamente il dominio italiano: il Milan torna in finale di Champions, stavolta però il Marsiglia vince e lo fa sul campo con Bolì, la Juve conquista la Coppa Uefa, il Parma vive il suo miracolo di provinciale e stende l’Anversa in finale di Coppa Coppe a Wembley. Tre finali, due successi, ma è solo il prologo della stagione successiva, quella che porta oltretutto ai Mondiali di USA ‘94.

Come quattro anni prima le italiane danno il loro meglio e arrivano in fondo a ogni competizione. Il Milan alza la Champions contro il Barcellona schiantato 4-0, l’Inter batte il Salisburgo in Coppa Uefa dopo aver superato il Cagliari in semifinale, il Parma arriva ancora all’atto conclusivo della Coppa Coppe ma viene beffato dall’Arsenal 1-0.

Il calcio italiano è al suo apice, per qualità e continuità, il Mondiale si trasforma in un’avventura ricca di imprevisti e colpi di scena. Baggio trascina gli azzurri in finale ma ancora una volta i rigori negano alla Nazionale il successo.

Archiviata l’avventura americana, i club italiani riprendono a dominare, il Milan va in finale di Champions per la terza volta di fila ma viene giustiziato dall’Ajax del futuro rossonero Kluivert, la Samp esce in semifinale di Coppa Coppe ai rigori contro l’Arsenal, mentre ancora una volta la Coppa Uefa regala un derby tutto italiano con Juventus-Parma, autentiche protagoniste di quella stagione. Vincono i gialloblu, alla terza finale europea di fila.

La stagione 1995-96 diventa inaspettatamente uno spartiacque del pallone continentale, il 15 dicembre del ’95 infatti con la sentenza Bosman la Corte di Giustizia delle Comunità Europee stabilisce la libertà dei calciatori professionisti aventi cittadinanza dell’Unione europea di trasferirsi gratuitamente a un altro club alla scadenza del contratto con l’attuale squadra. La decisione stravolge il mondo del calcio poiché una delle conseguenze della sentenza stessa è anche l’abolizione del tetto al numero di calciatori stranieri nel caso specifico in cui questo aspetto discriminasse dei cittadini dell’Unione Europea.

Mentre inizia questa fase di transizione giuridico-sportiva, nel 1996 in Champions League il Milan lascia il passo alla Juve che torna a giocare la massima competizione e vince subito, il Parma esce ai quarti di Coppa Coppe contro il PSG che alzerà in seguito il trofeo, in Coppa Uefa, per la prima volta dopo sette edizioni, nessuna italiana si gioca il titolo, con Milan e Roma che salutano anzitempo ai quarti.

È solo un passaggio a vuoto però, perché l’anno dopo l’Inter va in finale e perde in casa ai rigori contro lo Schalke 04. La Juve difende la sua Champions e cade contro il Borussia Dortmund nell’epilogo di Monaco di Baviera, mentre la Fiorentina va fuori contro il Barcellona di Ronaldo in semifinale di Coppa delle Coppe.

Le italiane continuano a recitare il ruolo di protagoniste ma la supremazia inizia ad essere meno totale, nel 1997-98 però c’è l’ennesimo duello tricolore in finale di Uefa con l’Inter del “Fenomeno” che vince la sua terza coppa in 8 edizioni battendo 3-0 a Parigi la Lazio. La Juve raggiunge nuovamente la finale di Champions, la terza consecutiva, ma scivola contro il Real; in Coppa Coppe invece, l’incredibile favola del Vicenza di Guidolin termina in semifinale a Londra dopo aver fatto tremare realmente l’Ital-Chlesea.

Il 1998-99 è la stagione che conclude questa parabola decennale, è il punto finale. Il Parma vince la Coppa Uefa a Mosca, la Lazio alza il suo primo titolo europeo contro il Maiorca a Birmingham, mentre Juve e Inter vanno a casa entrambe per mano dello United che nel mese di maggio conquisterà uno storico treble.

È la seconda edizione della Champions League con due squadre per ciascuno dei campionati  principali, ma è anche l’ultima edizione della Coppa Coppe. Il calcio europeo cambia formato, e quello italiano perde colpi. La Serie A continua a rimanere il campionato di riferimento, ma la spinta propulsiva cala, in maniera quasi naturale. La Nazionale sfiora il successo a Euro 2000 mentre l’Under 21 porta a casa il titolo di categoria, il quarto in 8 anni che si va aggiungere a quelli del 1992, ‘94 e ‘96, tanto per rimarcare la superiorità del pallone nostrano sotto ogni livello nella decade dei Novanta.

Il calcio prende un’altra strada, tornano a essere protagoniste le due grandi di Spagna, le inglesi si riaffacciano in Europa, il continente vive una fase di grande cambiamento politico ed economico con l’ingresso della moneta unica il primo gennaio del 2002.

Perdiamo lentamente terreno in Europa, solo il Milan all’inizio del nuovo millennio riesce ad avere un minimo di continuità con tre finali di Champions in 5 edizioni. Quella del 2003 contro la Juve, dopo aver eliminato l’Inter nel primo storico Euroderby, sembra un ritorno al passato ma è solo un episodio. Il gioco cambia, i soldi in ballo iniziano ad arrivare da nuovi contesti e da diverse latitudini, il calcio si avvia a essere quello dei top team, della Champions che divora tutto e degli sceicchi.

L’Europa League, la vecchia e ambita Coppa Uefa, solo per i club italiani diventa un peso, in Champions l’Inter nel 2010 compie un exploit incredibile ma rimane un caso isolato fino alla Juve del 2015 che sorprendentemente arriva in fondo prima di crollare davanti al Barcellona.

 

È il calcio di oggi, che ci vede spettatori e quasi mai protagonisti. Con la Nazionale al suo minimo storico dal punto di vista qualitativo, gli stadi vuoti e non solo per il timore della violenza o per le strutture fatiscenti. L’Italia del pallone è relegata dietro ad altri tre paesi, ha perso dal 2010-11 un posto in Champions e non ha più una potenza economica tale da poter competere con i capitali di altri club. Nel frattempo si sta aprendo a nuovi investitori: americani, indonesiani, cinesi, che non sembrano però avere la stessa capacità di Barca o Real per non parlare dei petrodollari degli sceicchi.

Rimane il ricordo, quello sì, di un’era già lontana ma che non può essere sperduta nella memoria. Gli Anni 90 sono stati il punto massimo del nostro movimento, e questi dati finali lo sintetizzano in modo chiaro:

In 11 stagioni, con 33 finali da disputare, le italiane sono presenti in 24 occasioni. Sono 14 i trofei vinti, 4 invece le finali tutte italiane e sempre in Coppa Uefa. Il 1990 è l’anno in cui tutte e tre le competizioni vengono vinte da una squadra italiana, mentre sono quattro le stagioni in cui portiamo almeno un club in finale di ogni coppa (1989, 1990, 1993, 1994).

Le italiane giocano 7 finali di Champions consecutive fra il 1992 ed il 1998, e altrettante di Coppa Uefa fra il 1989 ed il 1995. Per 4 anni di fila riusciamo addirittura a portare sistematicamente una italiana sia in finale di Champions League che in Coppa Uefa (1992-1995) ma soprattutto in 11 anni ben 10 diverse squadre italiane vanno in finale, ed altre 4 raggiungono una semifinale (Bologna, Cagliari, Genoa e Vicenza).

Non bisogna aggiungere altro, è il decennio dell’Italia, la decade dello strapotere del pallone tricolore sui campi di tutta Europa. 

Come la sera del 22 maggio

Il pranzo a casa di mia nonna, il sole di quel sabato e il fresco della metro che mi portava a Termini. La stazione, il saluto con Alfredo e la Gazzetta sotto braccio. Spalle alla direzione del treno, la greca davanti a noi, ore di silenzio intervallate da pochissime parole, per via della tensione e della trance agonistica che possono vivere solo i tifosi. “Mago Mou pensaci tu” titolava la rosea, Alfredo che continuava a fingere di darmi un pugno e ripetere Pem! Fino a quando gli ho detto che aveva rotto i coglioni poco prima di Bologna, sì Bologna. Il treno nel frattempo aveva caricato tifosi in giro per l’Italia e diretti a Piazza Duomo, l’epicentro di 100 mila cuori in attesa.

La stazione centrale a pochi minuti e Alfredo che parlava in spagnolo con i peruviani che avevano la maglia con la croce del centenario e gli ricorda però che il “Rojo e Blanco” sono i colori del Bayern. Milano appunto. Caldo, caldissimo. Il trolley lasciato in hotel, alcuni messaggi che iniziavano ad arrivare sul mio cellulare. In bocca al lupo, sentiti, ne ricordo due soprattutto.

La fermata del Duomo chiusa e la lunga camminata per raggiungere la piazza passando davanti la Scala e dentro la Galleria. Poi un mare umano. Niente cena, niente acqua, sospesi in una dimensione ultra terrena quasi. Si comincia, ma alle 21,22 viene giù tutto, guardo il Duomo, ma non parlo di Alfredo che sta alla mia destra, e mi domando per un attimo, in un secondo di lucidità, come è possibile che sia rimasto in piedi. Ha tremato la città, io ho sentito un dolore in pieno petto mentre gridavo come un ossesso e continuavo a spingere il Duomo, sì stavolta Alfredo.

Alle  22,24 ancora. Un vulcano tappato per 45 anni esplode di nuovo. Sappiamo che è fatta, ma non vogliamo crederci.

Poi però succede. E siamo nella storia e ci abbracciamo tutti insieme. Non ho idea di quello che stia succedendo, continuo a dire “l’abbiamo vinta”, un po’ lo grido, un po’ lo penso, a volte lo sussurro, altre lo ripeto a me stesso, al telefono lo strillo invece, aggiungendo anche che l’abbiamo riportata a casa. Forse piango pure, penso a mia nonna e a quello che le ho detto poche ore prima, mi vengono in mente migliaia di immagini e tante persone che vorrei stringere. Sono sfinito tanto quanto contento, e questo significa allora che sono distrutto. Sono completamente fuori controllo ed è una sensazione bellissima. Sembra che l’ho vinta io questa coppa, ma forse è un po’ così.

La missione è compiuta, l’impresa è stata fatta. Primi e unici ad esserci riusciti. Andiamo a San Siro, sta succedendo di tutto, quando sono le 2.30 e siamo sul piazzale sotto la Curva Nord,  al grido “Vaffanculo Piquè”, ci guardiamo e ci abbracciamo con Alfredo.

Stiamo iniziando a capire quello che è capitato, e con un tono normale, ma ancora in estasi, ci diciamo in contemporanea che ce l’abbiamo fatta. Ora andiamo dentro e aspettiamo che ce la facciano vedere però. Succede mentre sta per albeggiare, è una immagine che va oltre qualunque sceneggiatura, siamo in 50 mila e non vogliamo più andare a dormire, non vogliamo che questo 22 maggio finisca.

Saltiamo e cantiamo, esco un attimo a prendere un panino con la salamella, è il più buono che abbia mai mangiato, almeno così pare. Vedo per un attimo San Siro illuminato da fuori, è una cartolina che grida e celebra, penso che valeva la pena aspettare così tanti anni per una emozione del genere.

Quando Cambiasso me la alza a pochi metri realizzo seriamente che è tutto vero e so che quando andrò nuovamente a dormire, prima o poi capiterà, lo farò non solo da campione d’Europa ma senza un sogno cullato una vita, e sarà una strana sensazione.

Diventiamo grandi il giorno in cui capiamo che i sogni di quando eravamo bambini sono irrealizzabili, a volte però avviene il contrario, a volte, invece, diventano realtà.

Come la sera del 22 maggio 2010.