Quella rabbia

“La rabbia è non solo inevitabile, è necessaria. La sua assenza indica indifferenza, la più disastrosa delle mancanze umane.”

(Arthur Ponsoby)

 

Per gioco, per follia, per puro piacere della scrittura e del rimembrare, mi sono fatto trascinare dentro un tunnel narrativo da Gabriele e ovviamente ora non ne esco più. Raccontare pezzi della nostra vita partendo da una canzone e quindi da un ricordo musicale: questa è la traccia da seguire. L’abbinamento, meravigliosamente perfetto, ha generato un viaggio nel passato profondo, una rivisitazione di certi momenti che stiamo reciprocamente raccontando all’altro svelando retroscena ed episodi che pur conoscendoci da tanto tempo non sapevamo.

Questo espediente letterario, canzone-ricordo, naturalmente sta aprendo spesso delle conversazioni e dei confronti che partono da un tema e poi sfociano in qualcos’altro, ma tutto è estremamente avvincente.

In questi racconti e nelle diverse riflessioni, ci siamo ritrovati a parlare di tanti punti che abbiamo in comune, mentre altri sono apparentemente simili ma spesso con percorsi e fonti diverse.

E così, chiacchierando è uscito fuori il tema della determinazione, della motivazione e di quella voglia di riuscire. Quella spinta. Aspetto condiviso ma che nasce per entrambi da strade ben diverse.

Questo è un punto su cui ho pensato molto a Toronto e sono arrivato ad una certezza dettata da tante riflessioni. Nel mio caso questa voglia di farcela, di riuscire, la spinta quasi compulsiva di raggiungere l’obiettivo deriva dalla rabbia, da una rabbia accumulata in anni, una sensazione che fa parte di me.

Questa rabbia è figlia dal rifiuto, dall’essere rifiutato, dall’essere storicamente rifiutato sotto due punti di vista. Per quanto possa sembrare esagerato e sbagliato agli altri, so che non è così, so benissimo che tutto nasce da lì. Proviene da anni di porte in faccia, di no, di “Non si può fare” da anni di speranze svuotate, di attese. Nasce da frasi di chi ti dice di cambiare strada, di chi non ti dà nessuna chance, di chi non ti vuole aiutare mai. Da questo pessimismo nel quale precipiti, nel quale vogliono che tu finisca. Una rabbia carica di riscatto, di fame, di voler dimostrare, di provarci fino in fondo e affermarsi dopo che dal primo marzo 2012 tutti ti hanno detto solo no. Questo è il rifiuto del lavoro, quello che ha creato il 50% di questo sentimento, una massa che sta lì in fondo alla gola, sopra allo stomaco, che sento dentro, che percepisco tuttora e non mi abbandona.

L’altra parte è figlia dell’essere sempre stato rifiutato dal gentil sesso, essere rigettato, mai accettato, messo in disparte. Rifiutato e quando è stato possibile addirittura rinnegato. Tutto questo ha scatenato quel senso di essere un cane sciolto, il mai amato, il mai prescelto, quello sbagliato. Sensazioni che oggi mi fanno vedere le cose con occhi diversi, con quelli di chi non s’aspetta mai nulla. Di chi sta su quel lato per motivi chiari o forse no, ma che vive una rabbia del respinto che deve stare fuori dalla festa. Da sempre.

Questa rabbia fa parte di me, mi appartiene, ci convivo e so che mi scorterà ovunque. Magari diminuirà, magari potrà diluirsi ma la voce di essere rifiutato, del reietto e del ripudiato non la puoi ammazzare. È dentro di me che fischia e urla.

Ultimamente questa sacca interna ho imparato a sfruttarla, quella rabbia lavorativa l’ho iniziata a sfruttare come stimolo, come voglia. Come spinta a lottare, è la fatica e la gavetta che mi rendono così determinato, a non darmi pace e a migliorarmi, a essere competitivo solo ed esclusivamente con me stesso.

Quella rabbia almeno, seppur in minima percentuale, la sto incanalando in energia positiva ma tutto il resto rimarrà dentro di me.

Qualora dovesse sparire o azzerarsi tutta questa rabbia, quel giorno, avrò raggiunto forse la mia più grande conquista personale.

Un colpo all’anima

Sarà Roma, sarà luglio, sarà il costante riferimento a Ligabue ogni giorno, sarà che non è stata forse una grandissima idea accendere il mio vecchio Nokia 5800 e leggere gli sms solo di un mittente, sarà che fa caldo, sarà che questa canzone profuma d’estate, di 2010 e di un concerto proprio di Ligabue, sarà che è l’unico testo che riassume alla perfezione tutta una serie di domande che mi sono posto migliaia di volte, sarà che le piaceva, sarà che mi hanno detto che dovrei avercela e essere arrabbiato, sarà che stamattina mi sono alzato con un’altra canzone in testa e ne ho usato il primo verso in uno strano incrocio, sarà che era tempo che volevo postare questo testo, vabbè dai, saranno tante cose insomma, mica posso stare qui a spiegare tutto.

Sì, leggetelo bene però il testo. Sono le mie domande.

 

Tutte queste luci 
tutte queste voci
tutti questi amici
tu dove sei?
 
Tutto questo tempo
pieno di frammenti
e di qualche incontro
e tu non ci sei…
 
Tutte queste radio
piene di canzoni
che hanno dentro un nome
ecco chi sei!
 
Non ti sai nascondere per bene…
 
Quante volte sei passata
quante volte passerai
e ogni volta è sempre un colpo all’anima
 
Tutto questo posto
forse troppo visto
deve avere un guasto
tu non ci sei
tutte quelle case
piene di qualcuno
e fra quei qualcuno
tu con chi sei?
 
Tutte queste onde
pronte a scomparire
resta solo il mare
quanto ci sei
 
Non ti sai nascondere davvero…
 
Quante volte sei passata
quante volte passerai
e ogni volta è sempre un colpo all’anima
quante volte sei mancata
quante volte mancherei
un colpo al cerchio ed un colpo all’anima
Quante volte sei passata
quante volte passerai
e ogni volta è un colpo sordo all’anima
Quante volte sei mancata
quante volte mancherai
un colpo al cerchio ed un colpo all’anima
all’anima

 

 

Powder on the words

 

I’ve learned to memorize better
The days we say “it does not matter”
But now the powder hides the final of the words
We spend too much time hoping
To find again the will to hope
But now the powder hides the final of the words
Will roses blossom through the cinder
The teachers will be pupils again
If just the weather takes the powder off the words
…and all the secrets I have always blessed
I swear I try to pledge myself to not forget
But now the powder hides the final of the words
…the powder hides the final of words
…what does it matter…
Cause all in all it’s just a pile of words!
You move the water
Like a floater
As a fish that swims around
Under the weather
Find the shelter
Like a bunny into the hat
…I’m a ship that runs aground! …
Wait for the purifier rain
I’m on the snail’s trail…
The weight?
The blame?
Have you heard?
…never heard?

 

(A Toys Orchestra)

 

Il contorno

Forse qualcuno di voi si aspettava un post sul primo giorno dopo aver letto quello di ieri, magari a nessuno fregava nulla, alla fine ho deciso di scriverne uno raccontando tutto il contorno di questa giornata.

Intanto, mi sono laureato campione del mondo di tempi per la 34esima volta in vita mia. Avevo appuntamento alle 9.30 e alle 9.28 ero davanti la reception. La cosa complicata, ciò che vale il titolo di campione del mondo, è la capacità di pianificare un viaggio (non trovo altre parole) mai fatto prima dovendo prendere oltretutto ogni tipo di mezzo.

Sono uscito da casa alle 7.45 e nell’ordine ho preso: la macchina, un autobus, una metro, un treno. Mancava la nave e l’aereo e poi avevo esaurito i mezzi inventati dall’uomo per spostarsi. Malgrado questo ce l’ho fatta e ho raggiunto l’obiettivo dopo essere stato vittima anche di un disguido tecnico. Alla prima fermata del treno, ossia a Ostiense, ho visto scendere tutti mentre io sono rimasto al mio posto fin quando un controllore mi ha detto che il treno era bloccato e dovevamo prenderne un altro. Sono sceso, ho seguito il flusso, ho imprecato un po’ e poi mi sono accodato. A quel punto ho domandato a un tizio se questo cambio era normale o un caso particolare. Il punto è che il tizio in questione era il classico romano che ti risponde cazzeggiando anche se gli fai una domanda seria. Ecco il dialogo:

 

          “Ma che cosa è successo scusi?”

          “Niente, il treno ha bucato, anzi, me sa che ha finito la benza”

          “Ma quindi il cambio non è una cosa normale?”

          “No, oggi è successo questo, domani ritarda, dopodomani scioperano…”

 

Ecco, ho beccato il tipico romano che anche nei momenti complicati si fa scivolare tutto addosso, ironizza e non prende sul serio nemmeno un interlocutore sconosciuto che gli fa una domanda con un pizzico di angoscia.

Comunque sia, alla fine sono arrivato in tempo e molto soddisfatto.

Queste sono state invece le prime 5 canzoni che sono partite dal mio Ipod durante la traversata.

Why don’t you go to get a job (Offspring). È la mia canzone dell’ultimo periodo e non perché parla di lavoro ma perché la lego a un coro e mi trasmette entusiasmo.

Price tag (Jessie J). Mi fa tornare in mente le Olimpiadi di Londra e il viaggio a Parigi, mi ricorda che fino a 2 mesi ero felice, ottimista e carico.

Il meglio deve ancora venire (Ligabue). Mi è tornata in mente una conversazione all’Ufficio Eventi in cui la Dimaria diceva questa frase rivolgendosi a noi part-time ed io risposi che non era così, almeno per me. L’annus mirabilis ti capita una volta nella vita.

Dream On (N. Gallagher). Questa l’ho sentita perché c’è un verso che non so per quale ragione mi piace: “Watching the wheels that go round and round”

In the end (Linkin Park). Questa canzone mi ha sempre trasmesso una grande energia. Oggi era necessaria.

Alle 6.10, dopo 8 ore e mezza di lavoro ho ripreso il treno per tornare a casa dalla Muratella. Mentre ero lì che guardavo il vuoto, ho avuto un attacco di depressione e di sfomento esagerato. Mi sono domandato che cosa stava facendo lì, il senso di tutto ciò. La risposta è stata molto semplice, anzi mi sono risposto con una domanda: “Ma quando hai un vuoto dentro così grande, ma che senso vuoi trovare?”.