Lo stage a Roma

Avete ragione, mi sono un po’ perso. Ovviamente chi di dovere sa già tutto da un po’, da qualche settimana, non di più, ma era giusto anche raccontare tutto qui sul blog ora che la situazione è definita.

Allora, sabato 11 luglio torno a Roma, sbarcherò al Leonardo Da Vinci la mattina del 12 rispettando di fatto il mio biglietto iniziale. Dal giorno successivo inizierà il mio stage a Roma. Mi fa ridere questa cosa, naturalmente è una battuta, ma per una volta ci si può ironizzare con leggerezza. È bizzarra l’idea di tornare a casa per un periodo medio, ossia tre mesi e lavorare da li, facendo praticamente le stesse cose che faccio qui.

Non avrò vacanze perché non ne ho maturate in questi sei mesi e quindi sarà tutta una tirata, fino alla fine, con obiettivo Natale, ma va bene così, anche perché non c’è alternativa. Tutto ruota intorno al fatto che a settembre dopo 20 anni abbondanti mi opererò a una ernia che mi appartiene profondamente come l’unghia della mano destra storta e il pomo d’Adamo (o gozzo, chiamatelo come vi pare) piuttosto pronunciato. Qualche fastidio in questi mesi me lo ha dato e visto che poi mi toccherà tornerà qui per un tempo indefinito è opportuno risolvere il tutto a casa mia.

Farò i controlli necessari appena arrivato considerando che agosto incomberà e sarà bene portarsi avanti senza sbattere in ospedali vuoti o medici in ferie a Porto Rotondo.

Quindi, torno a casa, lavorerò da lì, in attesa che mi venga trovato un posto nei pressi di Via della Conciliazione, poi ad agosto ricomincerò il programma che non sarà dallo studio bensì en plein air.

In tutto questo, settembre sarà anche il momento del trascinate e fomentante concerto di Campovolo di Ligabue per il quale io e il mio fido compagno del Basso Lazio ci siamo accaparrati i biglietti già a metà maggio. Un evento al quale bisognava essere presenti anche per chiudere un cerchio, ma soprattutto perché il concerto sembra promettere bene, sembra assicurare brividi mai visti e quindi non dobbiamo essere là.

A ottobre invece, attenderò la delegazione della tv a Roma per il Sinodo dei vescovi che terminerà il 25, a quel punto mi imbarcherò nuovamente per Toronto con tutta la truppa prima di fare il viaggio inverso per Natale, quando forse, probabilmente, chissà, magari, po esse, potrò tirare un attimo al fiato.

Per ora e nel frattempo, si va dritti fino alla fine, in attesa dello stage a Roma.

Differenze

Dai su, lasciatemelo scrivere un post così, uno di quelli fastidiosi, o meglio infastiditi, di condanna, di disapprovazione, quei post normalizzatori che richiamano un po’ tutti all’ordine e alla calma, ma soprattutto al non esagerare, al non parlare sempre con superlativi e a non lamentarsi in continuazione.

Dai dai, ormai ho cominciato e lo scrivo, sì dai, perché ci tengo subito a spiegare una cosa, magari banale, forse per me, ma non per tutti, o comunque per tanti. Studiare all’estero è una cosa, fare uno stage è un’altra, lavorare un altro livello ancora. Personalmente ho avuto la fortuna, il privilegio e il merito di poter sperimentare tutti e tre questi step e di conseguenza posso parlare con piena consapevolezza delle esperienze, ma ancor di più mi rendo conto di quanto siano lontane fra loro.

Studiare, amici miei, è uno spettacolo. Una passeggiata di salute, un piacere, un divertimento. Se poi è all’interno di un contesto Erasmus, be, allora è la fine dei giochi. Anzi, è un parco giochi. Tuttavia, lo studio e il suo contesto permettono una vita magnifica, conoscenze illimitate, spasso, pause, giri e spensieratezza. Se poi non si ha un minimo di buon senso e si sperperano tutti i denari di mamma e papà, diventa festa grande. Delirio. Per quanto difficile e impegnativo, stiamo pur sempre parlando di libri, magari di voti e di esercizi. Insomma, ci siamo capiti. Diverso ovviamente è quando lasci l’aspetto didattico e sali al livello successivo, in quel limbo in cui non sei un lavoratore ma nemmeno uno studente, sei un apprendista, un pendolo che oscilla in cerca di stabilità.

Uno stage è un altro discorso, non si avranno decine di responsabilità, ma si sta in un ufficio, in un posto di lavoro. Si sta nel mondo degli adulti, non in una scuola e nemmeno in una facoltà. Cambiano gli orari, le mansioni, magari cominciano a esserci obblighi veri e soldi in ballo. La fatica è diversa, l’impegno aumenta. Quando tornai a Dublino per la seconda volta fu la prima cosa che capii, e l’effetto fu maggiore perché nello stesso posto pochi mesi prima avevo vissuto il magnifico status di studente. Cambiando quell’etichetta anche il modo di vivere la città si diversificò, meno Gardaland e più luogo di vita reale. Mentre lo capivo e cercavo di spiegarlo, oltre a non essere compreso del tutto, speravo di poter vivere presto il terzo e ultimo step, quello di lavoratore, di dipendente, pagato e autosufficiente.

Tredici mesi dopo sono stato accontentato, ho cambiato città e ho iniziato questa attuale avventura. Ho cercato di trovare dei punti di contatto con esperienze di altri conoscenti ma non le ho trovate. Nemmeno Gabriele che va in Cina nel marzo del 2011 è paragonabile, anche perché ad attenderlo c’erano due amici non qualunque, come se qui a Toronto avessi ritrovato Antonio e Ilaria. Insomma essere dall’altra parte del mondo, da solo, e per solo dico veramente da solo, a lavorare in un clima atmosferico tutt’altro che amichevole non è una passeggiata di salute.

Eppure, malgrado tutto, mi sto calando sempre più in questa storia. E più lo faccio e meno noto problemi, più tutto mi sembra ormai abbastanza normale e più mi dico che oggettivamente non lo è. Poi penso a quelli che si lamentano per il “troppo lavoro”, che fanno tutto loro, che sono iper-stressati, che sembra lavorino in miniera, sì quelli là insomma, quelli che però la sera tornano a casa e trovano tutto pronto. Spesa, cucinare, lavare, pulire, lavatrici, stirare, no-problem, ci pensa qualcun altro, loro devono solo lavorare per dire poi che sono indaffarati.

Quelli mi stanno sui coglioni. Non sono bravo io, sono una persona normale che si rimbocca le maniche ed è felice di farlo perché sa il valore di tutto questo, sono ridicoli loro, quelli che ingigantiscono tutto, quelli che quando escono dall’ufficio possono staccare completamente mentre per altri finita la giornata lavorativa inizia quella domestica con le numerose cose da fare, a meno che non si voglia campare nello sporco, comprarsi le magliette piuttosto che lavare quelle usate e mangiare panini.

Ecco allora, venite qui, uscite la mattina con -19 e la neve ovunque per andare a lavoro e trovate il tempo per far tutto uguale, invece che esagerare sempre e comunque per essere compatiti o per beccarvi qualche complimento gratuito.

Siate cortesi, fate i bravi su.

Quelli della redazione

Penso che sia arrivato il momento di parlare delle persone con cui ho vissuto quotidianamente questo percorso lavorativo, quei colleghi che a modo loro mi hanno aiutato e dato qualcosa in questi due mesi. Ho avuto la fortuna ed il piacere di incrociare persone davvero speciali per modi e disponibilità, tutti mi hanno fornito un pezzo del loro tempo e parte delle loro conoscenze per farmi integrare, aiutandomi ogni giorno nella mia avventura. Meritano un post per quello che mi hanno dato e per aver reso questa esperienza speciale.

Mags: per educazione partiamo dalle donne e quindi dalla giornalista d’assalto della redazione. Aspetto platealmente britannico, precisa e sempre disponibile. Si occupa della parte Life Style, attenta nel concedersi, cortese e sempre più alla mano con il passare dei giorni.

Mel: la grafica del giornale, neozelandese e quindi con un inglese difficile da capire per gli irlandesi figuriamoci per il sottoscritto. Poche chiacchiere e tanto lavoro. Un treno inarrestabile, con le sue scarpe verdi, la sua bici e la risata inconfondibile, una garanzia per il giornale soprattutto quando i tempi stringono e bisogna correre.

Paul: storia affascinante e bizzarra quella del rockettaro della redazione. Un passato da poliziotto inglese, da vero bobby a Londra poiché per fare lo stesso mestiere a Dublino era troppo basso. Un pozzo infinito di storie ed aneddoti sulle vicende di microcriminalità nella City, un professionista vero, un uomo della strada che ha imparato il giornalismo alla vecchia maniera. Un grande personaggio con il coltellino a portata di mano, l’anello con il teschio e la cintura di pelle con il muso di un lupo davanti.

Cathal: non lo sa forse, ma sta in pole position come nessun altro. Nemmeno 24 anni, lavora fisso già da un anno in una redazione e fa il mestiere che ha sempre desiderato. A metà ottobre si è recato a San Paolo per un reportage sulle opere dei missionari. Amante della palestra, fidanzato con la citatissima Cristina, rimane il reporter del giornale, il presente e il futuro, un giovane che farà carriera senza dubbio.

Michael: e alla fine, veniamo a lui, l’idolo di Dublino. Il direttore del giornale, colui che mi ha riposto alla mia mail e che mi ha scelto, colui che ha reso il tutto possibile. 36 anni, single, esperienze nel Belpaese e un buonissimo italiano per essere un anglofono. Giornalista vero, ma soprattutto il direttore che tutti vorrebbero avere per simpatia, disponibilità e cordialità. Mi ha preso sotto la sua ala protettiva, ha badato a me in tutto e per tutto, mettendomi a mio agio immediatamente. Infine, mi ha ospitato a casa sua per le ultime due settimane. Un perfetto interlocutore, mi ha raccontato e spiegato tantissime cose, sempre con il sorriso e con il sogno di andare in pensione a 50 anni per ritirarsi ad Amalfi e bere Limoncello. Apprezzato professionista, amante dell’Italia, rimane il personaggio per antonomasia di questa esperienza a Dublino. Inarrivabile.

 

Frase delle frasi

Matteo: “Michael, permettimi di pagare almeno la parte mia oggi a pranzo. Ieri hai pagato tu per me, oggi almeno fammi pagare il mio conto”

Michael: “No Matteo, io ho il dovere di badare a te. Io sono il direttore e tu lo stagista. Vuoi sdebitarti con me? Bene, allora ricorda queste parole…quando tu sarai il direttore di un giornale, tratta il tuo stagista come io sto trattando te, in quel modo io sarò felice e tu ti sarai sdebitato anche con me.

Si torna a Roma

Corre veloce la LUAS, rapidamente mi conduce per l’ultima volta verso Ranelagh. Una fermata dopo l’altra raggiungo la mia destinazione, passo davanti al ristorante Pinocchio dove lavora l’amica di David e svolto verso Chelmsford Road. Tiro dritto su Appian Way che come ogni giorno mi fa venire in mente Appiano Gentile, svolto su Morehampton Road e poi prendo Bloomfield Avenue. Varco il cancello e sono dentro. Inizia il mio ultimo giorno lavorativo a Dublino. Qualche ora in ufficio, in tempo per sbrigare le ultime cose, i saluti e poi via verso la fermata dell’Aircoach che mi condurra’ all’aeroporto.

Mi sono lasciato alle spalle stamattina la porta dell’appartamento di Ballaly, l’interno 115, lo stesso numero della mia casa a Stillorgan quando studiavo qui. E’ l’ennesima riprova di come tutto sia circolare, di come spesso la numerologia faccia strani scherzi. Mi perdo un po’ pensando a domani, al dopo. Ho lo sguardo perso nel vuoto. Si torna a casa, e so benissimo che non riusciro’ mai a raccontare questi 63 giorni vissuti qui. Troppo lunghi, complessi e pieni. Carichi di mille sensazioni, impreziositi dagli ostacoli e dalle difficolta’ grandi e piccole che la vita ci obbliga ad affrontare. Manca una settimana a Natale e sono felice di questa scadenza, mi riporta a Roma con maggior spirito. Prima pero’ ci sara’ da assaporare il gusto del ritorno, poi il derby e a quel punto mi calero’ del tutto nell’atmosfera natalizia.

Tre giorni, non di piu’, poi ci sara’ da chiudere un’altra valigia, stavolta un po’ piu’ leggera e puntare verso la Turchia con Istanbul cerchiata di rosso sulla mia mappa per raggiungere “The Brave Girl”. Si chiude un’avventura, altro ci sara’ da raccontare, chissa’ quante cose ci sono ancora da capire e scoprire. Ma ci penseremo un po’ alla volta, e’ la cosa migliore sicuramente. Perche’ in fondo rimango sempre piu’ convinto che ci sia un tempo per partire e uno per tornare, e allora, adesso, e’ il momento di rientrare a casa.

CHIUDETE LE VALIGIE, SI TORNA A ROMA!