La settimana dei concerti (Parte II)

Noel Gallagher: sono andato a dormire felice domenica sera, entusiasta come quando rivedi dopo tanto tempo un vecchio amico e lo trovi in grande forma. Ho chiuso la serata con un tweet emblematico, nel quale affermavo come questo giovanotto di 48 anni originario di Burnage ancora oggi possa mettere il grembiule e molte mezze-star della musica e portarli a scuola. Nulla di più vero penso di aver scritto negli ultimi mesi, perché è esattamente così, e capisci come ci siano cose impossibili da sviluppare o acquisire, il carisma, l’essere leader a tutto tondo è una di queste.

Mentre mi avvicinavo al Sony Centre pensavo ai concerti precedenti, a quello in solitaria al PalaEur del febbraio 2006 prima della simulazione della terza prova a scuola, o quello del 2009, sempre al palasport, quando andai con Valerio e Davide e arrivammo lì senza biglietto alle 17. Fui costretto a tenere Fermata a casa perché sapevo che saremmo entrati in qualche modo, e alla stessa maniera sapevo che non sarebbe stato legale e forse rischioso, per cui le dissi di non venire perché non era opportuno tirarla in mezzo a qualche situazione strana. Entrammo ovviamente (vi risparmio i dettagli) e ci godemmo l’ultimo concerto degli Oasis, mentre nel 2012 era il 13 marzo, andai da solo a vedere il reduce Noel che aveva già iniziato la sua carriera da solista. Certo, quella sera non avrei mai immaginato che ci saremmo rivisti ancora una volta dopo 3 anni e soprattutto oltre oceano, ma questo dettaglio ha reso la vicenda certamente più suggestiva.

Aggirandomi con anticipo intorno il luogo del concerto, dopo aver contato non so quante maglie celesti del Manchester City, a un punto mi sono domandato se stavo andando veramente a vedere uno suonare o ad una partita di Premier. Questo essere tifoso accanito del City da parte di Noel (così come del fratello Liam) ha generato da anni una sovrapposizione musica-tifo con pochi uguali e per i sostenitori del City è normale andarlo a vedere vestiti come se fossero in procinto di riempire l’Etihad Stadium.

Il concerto è partito forte, molto rock, il non aver una particolare familiarità con l’ultimo disco sapevo che mi avrebbe tagliato un pochino fuori in certi momenti, ma quando alla terza canzone ha cambiato chitarra, passando da quella elettrica a quella acustica, ho capito che stava per succedere qualcosa e che era pronto a dare il primo scossone alla serata e alle mie emozioni. Fade away, nella sua versione più melodica, è stata la prima canzone di “un tempo che fu” e il pubblico si è scaldato, anche se i canadesi non si esaltano per nulla al mondo, figuriamoci per un figlio di Albione che canta davanti a loro.

Andando avanti sono state passate in rassegna tutte le canzoni dell’ultimo cd, intervallate dai 5 pezzi migliori di quello precedente e poi da qualche jolly fantastico come Digsy dinner. Questa canzonetta, un no-sense dal testo stranissimo, ha un ritmo accattivante e mi ha trascinato tantissimo essendo un pezzo di nicchia degli Oasis, l’assurdo è stato che dopo questa canzone è stato il turno di If I had the gun, brano del penultimo cd, dal quale avevo estrapolato un verso per chiudere il post precedente. Per me, e credo solo per me in tutto il mondo proprio, queste due canzoni hanno un incredibile filo rosso che le lega. Sono la primavera del 2009 e l’estate del 2012 e si avvinghiano tra di loro a doppio filo nel mio cuore.

Il botto è arrivato alla nona canzone con Champagne Supernova, prima del gran finale con Masterplan (una delle mie preferite e sempre fantastica) e Don’t look back in anger, che da tempo non è più una canzone bensì un inno generazionale, uno di quei capolavori che finché non la suoni la gente non se ne va a casa, un po’ come Albachiara ai concerti di Vasco Rossi.

Sono entrato nel clima del concerto lentamente, a un punto mi sono anche detto: “Ricordati che domani devi fare il programma e non puoi permetterti di strillare e rimanere senza voce o di rovinartela gridando…” L’intenzione c’era e ho resistito fin quando a Champagne Supernova ho sputato sul seggiolino davanti anche le tonsille che non ho più da una mattina del 1990 ripetendomi in testa un elegante: “Ma sti cazzi! Io canto!”

Novanta minuti di musica, solo musica, niente cose moderne, essenziale e asciutto come sempre, con la sua immancabile chitarra acustica nera e marroncina, quella famosa con l’adesivo dell’Adidas sopra, ci ha salutati e io gli ho promesso che non passeranno altri tre anni ancora una volta prima di rivederlo.

Succederà prima, a costo di andarlo a trovare oltremanica, pensavo questo mentre addentavo un McChicken su Queen Street quando erano quasi le 23 e questo pensiero mi ha salvato da quel senso di malinconia che mi pervade puntualmente dopo concerti così.

  

When I was young, I thought I had my own key

I knew exactly what I wanted to be

Now I’m sure you’ve boarded up every door

 

Lived in a bubble days were never all ending

Was not concerned about what life was sending

Fantasy was real, now I know much about the way I feel

 Oasis – Fade Away 

Il profumo di casa, in un sabato di primavera

La prima cosa che ho fatto, involontariamente e in maniera quasi naturale, è stata annusare i miei vestiti. L’ho fatto perché speravo di sentire l’odore del mio armadio, di casa mia. Di me. Malgrado il profumo delle buste sottovuoto, vagamente ho trovato ciò che cercavo e forse è stato l’aspetto più bello.

Due ore prima infatti mi aggiravo fra Dundas street e Yonge in attesa di Maurizio, un amico di un cugino di mio papà, che lavorando per l’Alitalia è stato così gentile e disponibile da portarmi qui alcune cose che io avevo richiesto espressamente a mia madre. Appena abbiamo saputo che sarebbe sbarcato a Toronto ci siamo organizzati e abbiamo preparato un pacco con una serie di cose, un misto di vestiti, scarpe e generi alimentari.

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Due polo della Slazenger, la giacca nera della nazionale inglese, le scarpe da corsa e quelle nere, oltre a dei pantaloni leggermente più eleganti. In un’altra busta invece c’era mortadella, parmigiano reggiano (5 pezzi) e del salame, quei prodotti che più mi sono mancati in questi quattro mesi.

Dopo aver tirato fuori tutto, ho sistemato nel frigorifero il mio tesoro, tenuto sotto controllo con una certa apprensione. 

Chiunque si volesse avvicinare dovrà avvelenarmi nella notte, altrimenti non sarà possibile mettere le mani su tutta quella bellezza che a pranzo ho subito degustato senza troppi indugi. Anzi, ho mangiato di primo la pasta in bianco proprio per non riempirmi la bocca di altri sapori, lasciando la strada libera a parmigiano e salame. Senza ombra di dubbio, è stato un brivido, anticipato appunto da quel profumo di casa, perché va bene Skype, le video-chiamate e quello che volete, ma poi ci sono delle cose impagabili, che hanno il potere assoluto di riportarti in contatto con quel tuo mondo in modo diverso e anche più profondo.

E così, mentre il tempo sta indossando l’abito primaverile e il termometro segna 19°, mi preparo a rimettermi anche le mie scarpe e a scendere in strada dopo oltre quattro mesi passati a vedere runner che macinavano chilometri mentre io pensavo: “Andate, andate, presto vi inseguirò.” Quel momento è arrivato, e sarà fra poche ore.

Una giornata iniziata così bene è proseguita in una parte pittoresca e caratteristica di Toronto, ossia a Kensington Market. Con la mia giacca dell’Inghilterra appena arrivata sono partito alla volta di questo pezzo di città e appena svoltato l’angolo di casa, una ragazza bionda che stava scendendo dalla macchina mi guarda, nota la giacca e mi dice: Come on England!” raccogliendo la mia simpatia immediata ed un sorriso compiaciuto. Francamente l’avrei baciata in bocca per l’entusiasmo, sì perché la gente che si schiera così spontaneamente va omaggiata nel modo appropriato.

Vabé, dicevo che mi sono diretto verso Kensington che si disloca fra College St e Dundas St, intorno a Spadina Ave. Un quartierino interessante, multiculturale, fricchettone, colorato, pieno di locali, e con tanta gente che si godeva il sole bevendo nei numerosi tavoli lungo i marciapiedi. Ho visto decine di personaggi strani, sentito una quantità indefinita e mescolata di odori, dal giamaicano, alla pescheria italiana, fino alla pizzeria. Un miscuglio davvero iper-etnico.

20150502_164256In queste vie si trova ogni cosa, di certo non si muore ne di fame o di sete, allo stesso modo si vedono negozi vintage, store particolarmente cheap, collezionisti e differenti posti con cibi dai luoghi più disparati. Si può trovare talmente di tutto che io sono incappato anche in una maglia di Recoba, e questo credo renda l’idea dello scenario.

Passeggiando per andare a prendere lo street-car (il tram) mi sono lasciato andare a una riflessione forse banale ma estremamente autentica. Pensavo infatti che sono in un posto certamente non brutto, ma stimolante e con un suo fascino, a fare il mio lavoro e con un clima finalmente gradevole. Riflettevo su questo e pensavo a chi va ogni mattina in fabbrica oppure porta il camion, sì perché io fin da quando ero bambino associo alla fatica lavorativa il mestiere del camionista. Avere uno dei miei migliori amici che ha da generazioni una ditta di autotrasporti ha soltanto rafforzato la mia idea negli anni, e quindi pensando a questi lavori dignitosi e di grande rispetto, mi sono soltanto detto: “Che culo che ho a stare qui così, poteva andare veramente peggio…”

Mentre guadagnavo la via di casa fantasticando su un signore che a mio avviso stava lasciando la sua abitazione dopo un po’ di tempo, (gli sguardi, il trolley, la pausa scenica che ha fatto dopo essere sceso dalla scaletta, mi hanno portato a immaginare una lunga storia), mi godevo una meravigliosa giornata primaverile pensando a domenica, a domani, e al programma che è già stato stilato.

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Sveglia alle 8.30 per vedere i nerazzurri alle 9, corsa, la prima corsa canadese, pranzo, un paio di chiamate, una serie di faccende domestiche e poi giro in centro con l’occhiale malandrino, cena al volo e poi dritto al Sony Centre, sì perché alle 20 suona lì un mio caro amico di Manchester, questo qui sulla sinistra…

Excuse me if I spoke too soon

my eyes have always followed you around the room

Un gran concerto

 

È stato un gran concerto, ma quando c’è di mezzo Noel Gallagher il risultato è scontato, quasi ovvio. Un’ora e mezza tutta d’un fiato e poi applausi a scena aperta per un mostro sacro della musica degli ultimi 20 anni, uno che nonostante la scissione della band continua a riscuotere seguito e amore come se fosse ancora negli Oasis a differenza del fratello. Il tanto atteso show è andato in scena all’Atlantico, il vecchio Palacisalfa, sono arrivato alle 20.30, non prestissimo, ma ero da solo e non avevo troppa voglia di giungere in anticipo. Dopo aver preso contatto con la situazione, ho scelto la mia posizione, all’ultima fila, dietro il service (consolle audio e luci) attaccato ad una transenna, come sempre. La scelta di mettermi dietro alla zona comando credo che sia stata dettata anche ormai dalla deformazione professionale, dopo i tanti eventi vissuti in facoltà, essere al fianco della consolle mi pare quasi un dovere. Stupito dalla quantità e dalla qualità degli impianti, pochi minuti dopo ho scovato il segnalatore di decibel che ha attirato la mia attenzione costantemente. Posso dire che l’apice è stato toccato a Little by Little con 118 decibel. Il pubblico che segue gli Oasis e quindi ora il solitario Noel è piuttosto standard, tutte le persone sono vestite nello stesso modo, stesso stile, birra in mano, e quel modo “casual” portato all’estremo con qualche tocco british. Mi fa molto sorridere questa cosa, perché la gente vestita in un certo modo è una costante di altri gruppi, di altri generi: heavy metal, hardcore punk, questa roba qui insomma, ma il brit-pop, e quindi gli Oasis riescono nell’impresa di abbigliare la gente. Il concerto è stato notevole: 90 minuti pieni, belli e intensi, con i pezzi dell’ultimo album mescolati a qualche perla del passato, brani che hanno infiammato i 3500 del Palacisalfa. Noel e gli Oasis mi sono sempre piaciuti anche per una cosa particolare dei loro concerti, ciò che conta è la musica, niente chiacchiere, sketch, super scenografie, nulla di tutto ciò, si canta, si suona e si regala spettacolo così, al massimo due battute per prendere fiato fra una canzone e l’altra, un “Bonasera Roma” o uno sgangherato “Grazzie”. Mi sono gustato tutto lo show nonostante il pensiero dell’Inter, dopo aver condiviso lo spazio con due guardie in borghese dietro di me (nessun al mondo è più riconoscibile di loro) sono stato affiancato da una coppia insolita: lei fan di Noel Gallagher, lui un pagliaccio portato lì controvoglia che si è comportato come un bambino di quarta elementare per tutto il concerto. In questa ora e mezza ha detto una serie di cose improponibili e fastidiose, batteva le mani al contrario, fingeva di dare calci alla borsa della sua fidanzata, invocava la fine dello spettacolo, in poche parole un pupazzo di 25 anni. La domanda che ha generato nel mio cervello è stata una: “Ma se devi stare così, vivere male un concerto e provare e rovinarlo a un’altra persona a te cara, ma perché non te ne rimani a casa?”. Credo che la prossima volta la ragazza verrà da sola o con qualche amica, il ridicolo attrezzo resterà a casa a giocare al pc mandandole a intervalli di 5 minuti sms di vario tipo, sempre stupidamente simpatici e altamente fastidiosi. Chiusa questa parentesi posso affermare che il concerto è stato un successo, Noel ha regalato qualità di livello mondiale e poi uno che finisce lo show con: Little by Little, The importance of being idle, Whatever e Don’t look back in anger, non ha bisogno di ulteriori commenti. E’ un artista che vive semplicemente su un’altra galassia, al mondo in pochi oggi potrebbero chiudere il proprio concerto così, permettendosi il lusso di rinunciare alle 2 canzoni più belle degli anni Novanta: Wonderwall e Live Forever.

 

La penna di questo cantautore scrive veramente oro. Ha proprio ragione.

 

 

 

 

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Campione del mondo di organizzazione 2011

Ogni volta che devo recarmi all’emeroteca della Biblioteca Nazionale mi incupisco sempre un po’. Credo che sia la naturale conseguenza di quando torni in un luogo che rappresenta problemi, fastidi e malesseri, per questa ragione non mi soffermo troppo a pensare sul perché sono rabbuiato, prendo la metropolitana, mi carico di pazienza e vado. Anche oggi ho vissuto queste sensazioni, come sempre ho ripensato a quando andavo al liceo e percorrevo questo tragitto, tutte le volte mi rendo conto di quanto non rimpianga quei tempi. Come accadde due anni fa, anche la tesi della magistrale mi ha spinto all’emeroteca a caccia di articoli di giornale sempre a sfondo sportivo. Gli obiettivi della giornata erano chiari: raccogliere un paio di pezzi della Gazzetta dello Sport sui fatti di Hillsborough datati aprile 1989 e cercare la rivista che mi aveva suggerito il professore mercoledì scorso. Alle ore 9 sono entrato nella sala e ho prenotato entrambe le cose con la consegna fissata circa un’ora dopo, al bancone dell’emeroteca. A quel punto è scattato un piano che mi ha visto grande protagonista, uno stratagemma che mi ha definitivamente consacrato campione del mondo di tempi e organizzazione per l’annata 2011. Questa mattina alle ore 10 iniziava infatti la vendita dei biglietti del concerto di Noel Gallagher per la data di Roma prevista il 13 marzo prossimo, considerando che i tagliandi nelle precedenti tappe europee sono stati polverizzati nell’arco di 6-7 minuti mi sono dovuto organizzare per bene, incastrando a meraviglia l’appuntamento con i biglietti con le bobine dell’emeroteca. Prenotati i giornali alla Biblioteca Nazionale sono scattato verso Via Solferino 6 dove c’è una biglietteria TicketOne che avevo individuato ieri sera, alle 10 ero lì pronto, davanti alla postazione per gli eventi e alle 10.13 ottenevo il mio biglietto dopo alcuni momenti di panico. Dopo essermi messo in tasca il ticket mi sono fiondato in Biblioteca, ma prima di entrare nell’emeroteca mi sono concesso anche uno spuntino di metà mattina. Ad un certo punto mi sono ritrovato al bancone del bar con un tramezzino in mano mentre avevo ai miei lati due tipi imbarazzanti: sulla sinistra un uomo sulla quarantina che alle 10.30 si stava scolando amabilmente un Tuborg da mezzo litro, alla mia destra una ragazza della mia età che dopo un paio di richieste bizzarre si è bevuta una bottiglietta di acqua sempre da mezzo litro con due sorsate senza prendere fiato. Scioccato dalla compagnia, mi sono rifugiato nella mia postazione, ho montato la bobina relativa alla Gazzetta dello Sport e ho cominciato il mio lavoro. Peccato per la rivista che avevo ordinato, pare che sia nelle mani di qualcuno da giorni e non si sa che fine abbia fatto, il timore di dover tornare lo avverto ma potrebbe anche essere la mia prima ed ultima apparizione alla Biblioteca Nazionale. Alle ore 13.40 uscivo dal cancello di Viale Castro Pretorio moderatamente soddisfatto: con l’umore tendente al miglioramento, con l’ambito tagliando del concerto di Noel Gallagher in tasca e la medaglia d’oro di campione del mondo di organizzazione e gestione dei tempi sul petto.  

 

 

Forever we’d be free
Free to spend our whole lives running
From people who would be
The death of you and me

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