Le immagini di un sogno

La scorsa settimana sono andato al negozio Nike di Tor Vergata per comprarmi la maglietta dell’Inter, quando ho chiesto in cassa se avevano lo stemma dei campioni del mondo da attaccarci sopra, la signorina mi ha risposto di no, così ho ripreso la maglia in mano, l’ho portata al suo posto e l’ho posata, salutando e ringraziando. Sono certo che la commessa mi avrà guardato con occhi strani, in balia di qualche interrogativo e spiazzata dal mio atteggiamento. So tutto questo ma lei non sa che io quello stemma l’ho vinto, anzi me lo sono andato a conquistare a 4200 km da casa e per me ha un valore semplicemente unico…

Sono una persona fortunata e lo dico senza mezza termini, lo sono per tanti motivi ma anche perché ho avuto la fortuna in vita mia di realizzare il sogno di quando ero piccolo. Dodici mesi fa ero da qualche ora sbarcato all’Abu Dhabi International Airport al seguito dell’Inter, rincorrendo il desiderio di vedere la mia squadra sul tetto del mondo. È passato già un anno, è volato sicuramente, ma nel cuore rimangono ancora dei momenti unici e ancora troppo nitidi per non parlarne un po’, almeno oggi, a distanza di 365 giorni. Avevo sei anni, la maglia dell’Inter della Fiorucci con il 10 di Dennis Bergkamp e vedevo il Milan giocare la finale di Intercontinentale a Tokyo. Guardavo la tv e mi chiedevo se in vita mia sarei mai riuscito a vedere l’Inter lì, a 90 minuti dalla conquista del mondo. Sono diventato grande, dopo anni di sofferenze ho avuto il privilegio di vivere questo sogno, di poterlo accarezzare e finalmente assaporare dal vivo, in prima linea. Ancora oggi quando ripenso a quel meraviglioso viaggio nel caldo degli Emirati mi sembra impossibile che sia successo tutto ciò, di fondo non mi sono mai risvegliato dal sogno e spesso la mia mente corre a quei momenti e a quelle sensazioni uniche. Ho tante immagini della settimana trascorsa ad Abu Dhabi e nella vicina Dubai, ma ce ne sono alcune in particolare che mi riportano al giorno della finale, a sabato 18 dicembre 2010.

Ero tornato la mattina da Dubai e dopo essermi sistemato e riposato un po’ al Royal Regency Hotel sono andato a fare merenda in un Burger King che distava circa duecento metri dall’albergo. Nel fast food ho incontrato una famiglia di tifosi del International di Porto Alegre con le loro maglie rosse e ricordo ancora il modo cattivo con cui li ho squadrati, guardavo loro e pensavo “Siete venuti qui con il sogno di portarci via sta coppa e invece siete usciti in semifinale, maledetti che non siete altri, la coppa me la vado a giocare io, strozzatevi con gli hamburger”. Ho un rapporto decisamente conflittuale con i brasiliani e questo è dovuto allo shock più grande della mia infanzia: la finale dei Mondiali persa nel 1994 contro il Brasile ai rigori. Per un bambino di 7 anni appassionato di calcio, una sciagura sportiva del genere, può segnargli l’infanzia e a me è successo proprio questo. Da quel momento è un popolo che non adoro troppo e prima di partire per gli Emirati pensavo che ancora una volta dei brasiliani mi avrebbero potuto soffiare un titolo mondiale. Dopo aver ritirato il mio panino alla cassa mi sono seduto in disparte e ho iniziato a ragionare che mancavano 3 ore ormai ad un momento che aspettavo da una vita. In quell’istante mi sono commosso: da solo, dall’altra parte del mondo a caccia di un sogno con la maglia della mia squadra addosso. Quel momento rimarrà per sempre dentro di me per quell’intimità che ho avvertito, un qualcosa di raro che non mi era mai capitato prima. L’altra immagine che ho di quella sera rimane il viaggio in taxi. Sentivo una tensione esagerata e considerando che per 15 minuti non ero riuscito a prendere un taxi perché erano tutti pieni ho cominciato la più lunga sequela di parolacce e insulti della storia dell’universo. Una filastrocca di volgarità terminata solo quando mi sono accomodato dentro il taxi, una sequenza di parole anche esageratamente fuori luogo ma che aveva avuto il fantastico merito di farmi buttare fuori un po’ di ansia. Il viaggio in taxi verso lo Zayed Sport City rimarrà uno dei ricordi più belli sempre. In quei 20 minuti mi è ripassata davanti veramente tutta la mia vita da tifoso, e mentre guardavo dal finestrino le luci del traffico mi è venuto nuovamente da piangere a dimostrazione del vulcano emotivo che avevo ormai dentro. Ho pensato ai miei genitori e a mia nonna, e così ho mandato un sms a mia madre. Alle ore 22.50 ero campione del mondo, avevo realizzato il sogno che avevo da bambino e potevo lasciarmi andare al sapore della gloria, ad un’emozione per così tanto tempo inseguita e che era finalmente lì davanti a me, pronta per essere vissuta.

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Le immagini di un sognoultima modifica: 2011-12-14T16:12:54+01:00da matteociofi
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