Essere “La Storia”

Ho sempre avuto una seria difficoltà nel capire chi non apprezza la storia o la reputa qualcosa di noioso e pesante, non comprendo come non ci si renda conta quanto la sua importanza sia spaventosamente essenziale al giorno d’oggi, ma soprattutto come sia fondamentale per capire le dinamiche del mondo e di fatto l’essenza dei popoli. Ognuno è figlio della propria storia, personale e nazionale, e tutti siamo il prodotto di ciò che c’è stato prima, ecco, questo a mio avviso è sufficiente per decretare la grandezza della Storia, quella con la S maiuscola.

Se poi mi chiedete chi è stato il mio personaggio storico preferito di sempre vi risponderò senza pensarci un attimo, l’ho detto in passato, in occasione del grande esame di storia contemporanea a cavallo del 2009 e lo ripeto oggi: Sir Winston Leonard Spencer Churchill.

E mentre ricorre il cinquantenario della sua morte, diventa impossibile non spendere qualche riga per uno dei personaggi più importanti e determinanti del 900, per uno dei padri della libertà nel senso più esteso del concetto ed indiscutibilmente uno dei vincitori della seconda guerra mondiale, l’unico in Europa.

Fu proprio quell’esame, quello cardine del nostro terzo anno a regalarmi un profilo migliore e più dettagliato di questo uomo, uno di quelli per cui mi sono sempre domandato: “Ma quando era bambino, se lo sarebbe mai immaginato che avrebbe cambiato la storia del mondo?”. Nella vita è stato ogni cosa: giornalista, pittore, politico, militare, vincitore del premio Nobel, ma prima di tutto un avventuriero. Uno che “catturato dai boeri, fuggì dal campo di prigionia e, dopo una marcia di 480 chilometri, arrivò nell’attuale Mozambico, allora colonia portoghese. Invece di ritornare in patria, dove sarebbe stato accolto da eroe, volle tornare in prima linea e fu tra i primi a entrare a Pretoria, appena conquistata dopo un lungo assedio”.

Ammiraglio, dentro e fuori dal Parlamento di continuo, sempre al limite e con il rischio di vedere la sua carriera di politico ridotta in polvere tante volte, condizionato da difetti di pronuncia ma oratore e comunicatore come pochi altri al mondo. Un carisma smisurato, un fine conoscitore del proprio popolo e l’unico in grado di sapere toccare le corde giuste del Paese nel momento più drammatico. Testardo e ossessionato dalla pulizia, personaggio di smisurata cultura ma con un senso della battuta e dell’ironia profondo, è stato il baluardo ultimo che ha resistito al nazismo, nel momento in cui il continente stava per soccombere alla Germania.

Arguto e abile stratega, leader incontrastato, Maurice Ashley ha detto di lui che era uno di quelli che preferiva fare la storia piuttosto che scriverla. Fu spodestato dal popolo che aveva condotto alla libertà e alla vittoria alle elezioni del 1945 e quando la moglie gli disse l’esito delle votazioni, mentre si faceva la barba, glissò dicendo che: “Abbiamo combattuto anche per questo, per questa libertà”. Ognuno ha le sue preferenze, ognuno si identifica in qualche personaggio storico in base ai propri gusti, io scelgo Winston Churchill, e lo sceglierei anche solo perché quando leggo questo passaggio, ogni maledetta volta, mi emoziono talmente tanto che mi commuovo per un milione di ragioni…

 

Anche se ampi territori d’Europa e molti antichi e famosi stati sono caduti o stanno per cadere nelle grinfie della Gestapo e sotto le odiose norme dell’apparato nazista, noi non demorderemo né verremo meno. Noi procederemo fino alla fine. Noi combatteremo in Francia, noi combatteremo sui mari e sugli oceani, noi combatteremo con crescente fiducia e crescente forza nell’aria. Noi difenderemo la nostra Isola, a qualunque costo. Noi combatteremo sulle spiagge, noi combatteremo nei luoghi di sbarco, noi combatteremo sui campi e sulle strade, noi combatteremo sulle colline; noi non ci arrenderemo mai; e anche se, cosa che io al momento non credo, quest’Isola o una gran parte di essa venisse sottomessa ed affamata, allora il nostro Impero d’oltremare, armato e difeso dalla Flotta Britannica, continuerà la battaglia finché, quando Dio vorrà, il Nuovo Mondo, con tutta la sua potenza e la sua forza, verrà a soccorrere ed a liberare il Vecchio.

 

(dal Discorso tenuto il 4 giugno 1940 al Parlamento britannico, dopo il rimpatrio della BEF dal porto e dalle spiagge di Dunkerque)

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Quel venerdì pomeriggio di 45 anni fa

Milano. Venerdì 12 dicembre 1969, ore 16:30. Nella Banca Nazionale dell’Agricoltura in Piazza Fontana, sotto il tavolo ottagonale del salone, esplode un ordigno di elevata potenza. L’edificio in quel momento è pieno di gente perché il venerdì, oltre l’orario di apertura, si svolge qui una sorta di mercato informale degli agricoltori. Quattordici morti, poi divenuti diciassette, settantotto i feriti all’interno, sette sul marciapiede esterno e due nel ristorante “L’Angelo” dietro la banca.[…]

Quel 12 dicembre ero appena sceso dal tram alla fermata di via Larga, quando sentii un fragore cupo e prolungato venire dalla direzione del Duomo. Dovevo entrare al palazzo di Giustizia dove lavoravo da quattro anni.[…]

Quel giorno, dunque, udito il botto provenire dalla parte di piazza del Duomo  preso dalla curiosità, andai istintivamente a piedi in quella direzione.[…]

Quando arrivai sulla piazza, notai che dalla porta centrale della banca usciva una colonna di fumo e per terra c’erano detriti provenienti dall’interno. Chiesi ai presenti cosa fosse successo. Si pensava che la forte esplosione fosse stata causata dallo scoppio della caldaia centrale.[…]

Mi feci coraggio e decisi anch’io di entrare. Mostrai la tessera di magistrato ai poliziotti che facevano barriera attorno alla banca. Un brigadiere, un po’ seccato, mi fece passare, chiedendomi di uscire subito per non ostacolare i soccorsi e la polizia. Vidi nella semioscurità una scena apocalittica che nessuna mente sarebbe stata capace di immaginare: sangue dappertutto, arti mozzati, un tremendo odore di carne bruciata. La profonda voragine al centro della spazzò via ogni dubbio su quanto fosse successo: a provocare il massacro era stata una bomba potentissima che aveva scavato una fossa profonda. E non era scoppiata per caso. Voleva uccidere, sterminare il maggior numero di persone. Aveva ridotto a pezzi chi era attorno al tavolo in attesa di uscire.

(Ferdinando Imposimato – magistrato)

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Maggie

 

In questa infinita e preoccupante sequenza di morti celebri che è iniziata da quando sono giunto a Dublino, oggi è stato il turno di Margaret Thatcher, la Iron Lady britannica, primo ministro dal 1979 al 1990. Se ne va un pezzo importante di Inghilterra, una figura controversa ma che ha segnato un’epoca con il suo conservatorismo liberale, la donna sempre contraria ad ogni tipo di compromesso.

Studiai la sua politica nel primo favoloso e memorabile corso di Storia della Gran Bretagna, quello della primavera del 2009, in quel periodo che ha cambiato la mia università. Dopo aver discusso una tesi sul laburismo alla triennale, per alcune settimane mi ero orientato sul thatcherismo per la magistrale, alla fine però vinse il cuore ed il fomento e decisi per Hillsborough, argomento che comunque sia coinvolse notevolmente la Thatcher.

Decisionista, convinta e leader nel senso più profondo del termine, “Maggie” divenne primo ministro nel 1979 in seguito al fallimento del governo Callaghan. Privatizzazioni, inflazione e disoccupazione, portò tutto questo ma nonostante ciò riuscì a vincere nuovamente nel 1983 grazie all’ondata patriottica scaturita dalla guerra delle Falkland. Forse avrebbe vinto lo stesso considerando che in quegli anni il Labour Party viveva la sua più grande crisi ma ebbe comunque il merito di compattare un popolo fino a quel momento non così benevolo nei suoi confronti.

Parli della Thatcher e ti viene in mente lo sciopero della fame di Bobby Sands nel 1981, la sua fermezza nel non piegarsi a nulla, così come nel braccio di ferro con i sindacati dei minatori capeggiati da Scargill nel biennio 1984-85. Pensi a lei e ricordi l’attentato di Brighton che nel 1984 riuscì a scampare, oppure alla sua citazione di San Francesco appena insediata a Downing Street. Anti europeista, britannica nel midollo, laureata in chimica ad Oxford ma in politica già dal 1951, la Thatcher è stata la donna che riuscì a sconfiggere anche il fenomeno hooligans dopo aver insabbiato il disastro di Hillsborough, un vero e proprio omicidio di stato.

Un ictus all’età di 87 anni l’ha portata a miglior vita, domani a Londra, nella cattedrale di St. Paul, ci saranno i suoi funerali, per salutare un personaggio che ha recitato un ruolo predominante nella politica mondiale negli anni 80, la figura femminile per antonomasia della politica.  

 

 

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(16 aprile 1989, Margareth Thatcher nello stadio di Hillsborough)

Loro “Uber alles”, noi?

Sfogliando l’edizione on-line del Corriere della Sera, sono stato inevitabilmente rapito dall’articolo relativo alla disoccupazione e ai dati allarmanti che emergono, soprattutto quelli che riguardano i giovani. “Mentre in Italia la disoccupazione continua a crescere, in Germania si attesta al minimo storico. I dati diffusi parlano di un tasso all’8,9% in rialzo di 0,1 punti percentuali su novembre e di 0,8 punti su dicembre 2010. È il più alto dal 2004 registrato nel nostro Paese. In particolare i più colpiti sono i giovani, quasi uno su tre non ha lavoro. Lo rileva l’Istat su stime provvisorie. Se si guarda alle serie storiche trimestrali è il più alto dal terzo trimestre 2001. A dicembre il numero di disoccupati in Italia ha raggiunto quota 2 milioni e 243mila ed è aumenta dello 0,9% rispetto a novembre (20 mila unità).” I dati sono drammatici, ma di fondo rispecchiano lo stato del nostro Paese, una nazione che è in piena lotta retrocessione nella classifica europea. La Germania vive un periodo di ritrovata fiducia, leader nel continente e apparentemente inattaccabile, sembra l’esatto opposto dell’Italia e non soltanto se si analizzano i dati riportati dal Corsera. Se pensiamo che i tedeschi si sono dovuti sobbarcare la Germania dell’Est dopo la riunificazione, la situazione che vivono ora è l’emblema della forza e della lungimiranza delle politiche avviate nel corso degli anni 90 e nel decennio scorso. La Germania ha perso due guerre in 30 anni nella prima parte di secolo, è andata oltre un “muro” e tutte le divisioni che questo rappresentava e gli abitanti dell’Ovest hanno pagato 800 milioni di euro attraverso le tasse per aiutare la parte Est. Nonostante tutto, oggi, domina la scena europea. Se ragioniamo su questi pochi dati non si può non buttare un occhio a ciò che è il nostro paese, una terra che ha il 237% delle bellezze artistiche del mondo ma solo il 13% del PIL legato al turismo: assurdo. I tedeschi non ci hanno mai amato, è vero, ma credo che sia la conseguenza di chi non riesce proprio a capirci, se loro avessero il nostro mare e i nostri monumenti, con la mentalità che gli appartiene dominerebbero il pianeta. Mentre noi ci lecchiamo le ferite, in Germania se la ridono, se avessero un clima un po’ meno rigido credo che starei da quelle parti già da un pezzo.