Per oggi, basta questo

Non sono stati mesi semplici e questa lunga pausa ne è stata in parte una conseguenza. In realtà avrei avuto molto da dire ma talvolta è bene anche tacere, soprattutto quando è difficile raccontare senza poter andare in fondo alle questioni trattate.

È complicato parlare quando il limite della privacy non può e non deve essere superato, perché oggi, nel 2019, resto dell’idea che non tutto possa essere pubblico.

Ho avuto poche volte la tentazioni di scrivere a dire il vero. Pigrizia, poca voglia, tanto da scrivere sul serio per lavoro e non solo, e quindi zero fantasia di riempire una nuova pagina word.

È estate, fa caldo ma nemmeno troppo in fondo. Venerdì sarà l’ultima giorno di lavoro prima di una settimana di vacanza, la prima di tre, quest’anno saranno più del solito per fatiche precedenti.

Alla fine, in questi mesi, ho pensato che poteva andare peggio nella vita, ma anche meglio. Magari semplicemente come andava prima, che poi, guardando dallo specchietto retrovisore, era un bell’andare.

Mesi senza scrivere sul blog come mai era successo prima in oltre undici anni: era una fase necessaria, inevitabile. Al tempo stesso però, non ho mai pensato di non scrivere più o di lasciar perdere, prima o poi sapevo che avrei postato qualcosa. Per carità, nulla di eccezionale, come queste righe, ma qualcosa, un segnale, un messaggio.

A volte basta anche questo.

Qui

Di cose da dire ce ne sarebbero anche molte, ma più che un post ci vorrebbe un instant-book, uno di quelli che scrivi a tirare via per cogliere il momento. Un carpe diem editoriale, una roba così.

Di argomenti non siamo a corto, anzi, ce ne sono diversi, che poi siano infausti o per nulla frizzantini, quello è un altro discorso.

Eppure siamo qua, col fiato un po’ corto per il raffreddore e non per la fatica, con le macchie in faccia non per una abbronzatura da settimana bianca, quella che ti lascia i contorni degli occhi bianco latte e il resto marrone, bensì per gli strascichi di un herpes un filo invasivo.

Qui, fra gli uffici dell’Agenzia delle Entrate (sempre meglio una passeggiata agli Inferi), fra documenti spariti perché hanno inserito male un indirizzo e il disguido, ma chiamiamola anche “approssimazione italiana”, un brand riconosciuto come il Parmigiano, sta creando complicazioni a cascata.

Qui, con un fisico che un centimetro alla volta mi sta abbandonando, negli ultimi 49 giorni ho preso in ordine: cortisone Bentelan, due antistaminici, Brivirac (antivirale) Efferlgan 1000, aspirina canadese, Axil.

Qui, dove non si può più praticamente lavorare in modo decente, fra una violazione da evitare, il copyright che ti rincorre e ti vigila tipo Grande Fratello, ma intanto c’è da produrre, filmare e inviare, magari roba di qualità.

Qui, dove un pezzo alla volta stanno venendo meno figure centrali, anche un po’ a caso.

Qui, in attesa di incontrare avvocati, di pensare a che “tocca fa’”.

Siamo qui, ma c’è un però: si può solo andare avanti. In un modo o nell’altro.

Fino alla fine, ma non come lo slogan patetico degli juventini, ma sul serio, perché a dire fino alla fine siamo buoni tutti quando si vince sempre, cazzo ci vuole, ma fino alla fine davvero, con la cognizione di chi sta dall’altra parte e sa cosa significhi doverlo fare sul serio. Non a chiacchiere.

“E’ colpa tua”

Una delle tante cose che ho imparato tornando a Roma è che per affrontare la vita italiana vige l’obbligo di sapere tutto. Pur essendo uscito da casa anni fa, in realtà non avevo mai vissuto per conto mio in Italia, ma sempre e solo all’estero, di conseguenza mi sono ritrovato a sperimentare nuove dinamiche che alla fine terminano sempre e solo con una certezza: è colpa tua.

Con mano sto toccando questa simpatica tendenza, forse una realtà sempre esistita ma che mi era sfuggita non dovendo affrontare alcune situazioni in prima persona, di certo, qualcuno ha stabilito che il cliente o il cittadino ha sempre torto.

Al di là di populismi, vittimismi o qualunquismi di sorta, nei miei ultimi giri questo è il dato che emerge: bisogna sapere tutto di qualunque cosa, argomento, settore e procedura, altrimenti qualcuno dall’altra parte ti addosserà la colpa subito e con un piacere nemmeno troppo celato.

Due settimane fa al commissariato, sono stati molti svegli nello sventolarmi –letteralmente – in faccia con enorme piacere un regolamento. Era colpa mia, avevo sbagliato io a leggere.

Peccato però che loro non abbiano fatto altrettanto su una altra questione che invece parla chiaro e dava ragione al sottoscritto. Fra accuse che la poliziotta ha prontamene smentito “Non sono accuse” e toni di voce un po’ troppo alti e fuori luogo secondo me, la colpa era mia che non mi ero informato anche perché citando testuali parole: “Passate il 99% del vostro tempo con il telefono fra le mani e non cercate quello che dovreste”. Inconsapevolmente ha trovato chi passa gran parte del suo tempo a fare ricerche e a documentarsi per motivi professionali, rimane il fatto che era colpa mia in generale. A prescindere.

Io dovevo sapere, informarmi, capire in precedenza, Sfortunatamente però, loro non sapevano una cosa che avrebbero dovuto conoscere, come se io non fossi a conoscenza del mese in cui ci sarà il Sinodo. La loro mancanza però valeva stranamente zero, la mia era invece una specie di capo di imputazione.

Bisogna anche sapere che sulla bolletta della luce, se non si è residenti in un appartamento, si paga il 20% in più. Strano che nessuno al momento della voltura lo abbia detto o almeno menzionato, strano anche che il proprietario di casa non l’abbia mai riferito, strano pure che l’agente immobiliare al momento di parlare delle utenze si sia scordato. Evidentemente nessuno sa, ma io invece dovevo esserne al corrente. Certo.

Il punto, il cazzo del punto se mi permettete, e me lo permettete, è che è sempre facile dare colpa agli altri, lavarsi coscienza e mani scaricando il tutto sugli altri. Probabilmente dovremmo passare 20 ore al giorno a studiare ed imparare ogni cosa su qualunque argomento. Vivere studiando.

Nessuno invece che si prenda mezza responsabilità, nessuno in grado di parlare chiaro, spiegando e argomentando in modo decente. “Lei lo avrebbe dovuto sapere” è la frase che continuo a sentire, strano però che nessuno faccia mea culpa. La superficialità con cui si tratta un cliente o un cittadino, o chiunque cerchi informazioni, quella non vale. Di conseguenza, se chiedi, ti dicono le cose a metà, sembra che tutti siano terribilmente impegnati, come chi non si è premurato a dire che la prima bolletta del telefono arrivava via bollettino postale e non con l’addebito diretto sul conto come dalla seconda in poi.

Ecco, tutti bravi a fare le persone svelte, rapide ed efficienti, peccato però che poi non ti dicono informazioni necessarie e quando ti ritrovi a pagare prezzi maggiorati o strane tariffe la colpa è tua che non ti sei informato.

Ovviamente.

“Nessuno che dice se sbagli, sei fuori”

Lo Stato Sociale, Una vita in vacanza.

Il “Classicone” del 16 dicembre

“Il 16 dicembre prossimo starò a Roma”.

 

Scrivevo questo esattamente un anno fa, nel classico post del 16 dicembre, quello che negli anni è diventato un passaggio quasi obbligatorio dal lontano 2009 ormai, giorno della mia laurea triennale.

Avevo previsto qualcosa di preciso, ed è accaduto. Poteva essere una frase non del tutto scontata ma io ero ben consapevole di come alcune dinamiche si sarebbero evolute e onestamente non mi sorprende questo esito.

È stato un anno lungo e intenso. Due aggettivi che ripeto e uso ancora per la terza volta, perché indubbiamente calzano a questo 2017 proprio come ai due anni precedenti, legati da un filo rosso chiamato Canada.

Un anno che volge al termine e lo farà senza transvolate oceaniche, ed è un bene, ovvio, con Natale a fare da sfondo e quella sensazione che gli ultimi anni mi hanno fatto perdere il piacere e l’attesa delle feste natalizie, vissute recentemente sempre e solo con tanta fretta, stanchezza e poco piacere.

Doveva essere un anno “indirizzante”, e così è stato, l’aver preso quella previsione conferma il tutto. Un 2017 con un doppio trasloco, prima quello di rientro e poi quello nella nuova abitazione romana. Un anno sicuramente pieno e ricco, e al tempo stesso bello. Ci sono state soddisfazioni lavorative, un viaggio finalmente in Sud America, e un paio di preziosi insegnamenti. Penso di aver strizzato al massimo questo anno che volge al termine, era quasi impossibile tirare fuori altro e qualcosa di migliore.

Ho capito che tornare è stata una valida idea lavorativa, pessima sotto ogni altro aspetto. Credo di aver idealizzato in qualche modo, e anche in maniera giustificata, il nuovo sbarco in Italia, ma i 5 mesi ormai passati qui mi sono serviti molto più di quanto pensassi a livello personale.

È stato l’anno dei 30, un numero e niente più. Non capivo chi voleva mettermi l’ansia della decina che cambiava e mi sfugge ancora chi si incastra su questo passaggio anagrafico. Evidentemente è gente che ha molto tempo libero e tante fesserie che svolazzano nella testa.

Per un 2017 che si chiude, c’è un 2018 in arrivo. Solo a dirlo suona come qualcosa di grande. Un numero importante, e a me gli anni pari sono sempre stati più simpatici, hanno un qualcosa di geometrico che mi piace.

Devo chiudere però come di consueto con una previsione e confermo quella dello scorso anno. Sarò a Roma, ma ho la sensazione che al tempo stesso ci saranno manovre per qualche cambio e ulteriore trasloco.

Fra 365 giorni, come la tradizione impone, ve lo dirò.