Ventisette

E allora sono ventisette. Ventisette, quella età famosa per i geni della musica che per mille coincidenze sono morti tutti a questo punto, ma io non sono ne un cantante e nemmeno un genio, e quindi, possiamo stare sereni.

Ci pensavo molti anni fa a questo “traguardo”, quando facevo la maturità e mi ripetevo: “Chissà come sarò non durante il prossimo mondiale a 23 anni ma a quello dopo ancora a 27”. Eccoci, allora, siamo arrivati anche qua, e sono molto simile a quei tempi, almeno, questo è quello che dicono gli altri, questo è quello che capita quando conti gli anni in base ai Mondiali.

La Grande Bellezza sta proprio qui forse, nel resistere al frastuono, nel non farsi abbindolare e nel mantenere quell’insano equilibrio del realista svezzato. Ventisette e dopo ventotto, corre via il calendario più rapido di qualsiasi cambiamento, suda poca vita ora e rincorre le prossime mete, quella dei 30, a occhio e croce, è la più vicina. È passato tanto tempo da quando facevo i 200 metri stile libero dentro la pancia di mia madre, due decenni cavalcati e quel senso di essere comunque un figlio degli anni Novanta più che della decade post Millennium Bug.

Sei marzo, quindici giorni a primavera, con Villa Borghese che sta sempre lì e non vede l’ora di sbocciare e di mettersi il vestito migliore per la sua stagione preferita, a fare da giardino a una città che ha appena vinto un Oscar ma che spesso non si ricorda del suo verde e si lascia trascinare dalla sua indole bugiarda, sporca e maledettamente affascinante.

Ventisette dicevo, tanti, pochi, giusti, questo lo devi sapere tu, quindi io, mentre mi ricordo le tue ballerine completamente impolverate dopo la serata al tendone, in mezzo alla sabbia, dietro casa, in mezzo ad un teenager party nell’ultima notte di un sabato di agosto. Scrivi ed irrompe casualmente Venditti con “Nata sotto il segno dei pesci”, stai fermo ad ascoltare quella poesia che ti ricorda il lato zodiacale e il tuo compleanno, tanto poi, per tutto il resto, c’è sempre tempo. Pare.

Lo scorso anno ero fuori e ricevevo auguri dall’Italia, quest’anno sono a Roma e mi arrivano messaggi dall’Europa. Il mondo caracolla e non c’è nulla da fare se non sperare di essere sufficientemente fortunato nel vivere altri ventisette anni così.

 

Ed il rock passava lento sulle nostre discussioni,

18 anni son pochi, per promettersi il futuro…