“L’unico frutto dell’amor è la banana…”

A me tutta questa vicenda sulla banana e Dani Alves non ha convinto troppo. Anzi, se devo essere sincero fino in fondo, non mi convince per niente. Ma andiamo con ordine. Nell’ultimo turno di Liga il Barcellona ha giocato al Madrigal contro il Villareal, ad un certo punto, durante il secondo tempo, mentre Dani Alves era nei pressi della bandierina del corner è stata tirata verso di lui una banana da un tifoso avversario. Il giocatore ha raccolto il frutto, l’ha sbucciato in parte e gli ha dato un morso. Immediatamente si è sollevata un’ondata di indignazione per il gesto, visto come un chiaro atto razzista seguendo l’associazione mentale banana-scimmia-nero. Da domenica sera il web è tempestato da hashtag e foto in cui tutti, persone famose, tifosi, giornalisti, calciatori mangiano banane a profusione per mostrare le loro solidarietà nei confronti di Dani Alves. I social networks si sono scatenati e la mia sensazione è che un fiume di demagogia si sia abbattuto sulla vicenda. Innanzitutto non capisco il perché si debba ridere su un fatto del genere, il giocatore ha fatto un gesto ironico, certo, ma la stragrande maggioranza delle foto e di questa solidarietà è stata espressa con persone che mangiano la banana ridendo. Cosa c’è di così divertente? Non lo so. In più, e credo che qui risieda il grande equivoco, la reazione del Villareal nei confronti del tifoso è passata in secondo piano. La società ha bandito per sempre il sostenitore dallo stadio, scelta esemplare, corretta e forte. Il razzismo si combatte con gesti del genere, non con le foto o il Daspo all’italiana, a dimostrazione di come ancora una volta dobbiamo imparare dagli altri. Riflettendo sulla vicenda mi sono posto anche un’altra domanda: ma siamo sicuri che il gesto fosse razzista? Cioè, sicuri che la banana tirata volesse intendere quello? Non è magari che l’imbecille di turno ha gettato in campo ciò che aveva in borsa per la sua merenda senza alcun discorso razziale? Per anni ad esempio, nei derby di Milano, piovevano arance, per moda, per discutibile divertimento. La reazione di Dani Alves ha suscitato clamore, in molti evidentemente dimenticano Paul “Gazza” Gascoigne il quale era solito bere dalle bottigliette appena lanciate dagli spalti che trovava a bordo campo.

A tutto questo aggiungiamo un altro aspetto, lo scoop riportato da “As”, sembrerebbe infatti che dietro alla mossa di sbucciare e mangiare un pezzo di banana ci fosse una scelta di marketing orchestrata da Neymar e dal suo entourage, non è un caso che ieri le magliette (incredibilmente già pronte) con la scritta  #somostodosmacacos fossero già in vendita a 25 euro al pezzo.

Ecco, intorno a questo fatto vedo troppe dinamiche strane, una scia esagerata di ipocrisia, persone che mangiano banane ridendo e il mal costume di farsi trascinare da episodi “apparentemente” clamorosi.

Il test

Giorni fa, leggendo il blog di David (http://davidspera9.myblog.it/), mi sono imbattuto nel suo ultimo post che era relativo ad un test da poco svolto. Tale questionario psicologico si basa sulle teorie di C.G. Jung e si articola in sessantotto domande, ciascuna con due opzioni di risposta. A volte gli estremi sono un po’ troppo drastici ed infatti ho avuto qualche dubbio nel scegliere ma alla fine il profilo che è emerso è il seguente, lo stesso di David…

Questo tipo introverso è particolarmente affidabile e responsabile. È preciso e molto realistico. Il suo comportamento si basa fondamentalmente sui fatti e sull’esperienza che giudica e analizza in maniera meticolosa, paziente e sistematica. Si fida della logica e dell’obiettività e ha difficoltà a capire le persone che non basano il loro comportamento su questi due pilastri della sua esistenza! Non prende decisioni impulsive. È tranquillo, serio e coscienzioso. Ha un etica del lavoro sviluppata che lo induce per esempio a non lasciare incompiuto un lavoro che ha iniziato. Prima finisce quello che deve fare e solo dopo si riposa. Ama essere lasciato in pace quando deve fare qualcosa. Sa quello che fa e quando reputa di aver capito cosa deve fare non ha bisogno di una supervisione. È perseverante e non si scoraggia facilmente. È generalmente abile nei lavori manuali e ama farli. Spesso sono per questo tipo un modo produttivo per rilassarsi. Frequentemente è anche un grande lettore. Se è uno sportivo, tende a preferire gli sport che lo mettono in contatto diretto con la natura. La sua funzione inferiore è il sentimento. Socialmente tende a essere riservato e non particolarmente caloroso. Può dare l’impressione di essere indifferente o insensibile ai sentimenti degli altri. Inoltre si lascia difficilmente influenzare e non sembra attribuire molta importanza all’opinione degli estranei. Preferisce generalmente trovarsi in ambienti a lui familiari e con persone familiari. È un conservatore ed ha una bassa propensione al rischio. Se non dispone dell’esperienza (sua o di qualcun altro) per poter giudicare un nuovo progetto si sente a disagio e tende a rigettarlo con scetticismo. Può diventare negativo, scettico e testardo. Preferisce fare le cose che sono già state sperimentate. Sul piano lavorativo le sue qualità sono molto preziose. Oltre a essere molto affidabile, realistico e analitico, lavora intensamente e con autonomia. È attento ai dettagli, paziente e tollerante nei confronti della routine. La sua prudenza ne fa un amministratore molto oculato. Con le persone può avere una certa difficoltà a causa della distanza che spontaneamente tende a mantenere. Generalmente compensa questa caratteristica con la capacità di essere obiettivo e un senso etico sviluppato.

Diciamo che il profilo emerso calza abbastanza con il sottoscritto. Solo due affermazioni non sono affatto vere: la prima è quella sui lavori manuali, mi dispiace ma tutto ciò non corrisponde alla realtà, non ho ripreso da mio padre questa grande abilità. La seconda è che ho una bassa propensione al rischio, altro aspetto in fondo non del tutto vero. Per il resto, mi sembra un valido ritratto, bravo C.G. Jung.

P.S. Volevo salutare il lettore di Reggio Emilia, o almeno, questa è la città che il Traffic mi segnala. Grande fan del blog, sempre presente. Ciao grande!

Parapendio verbale

Ci sono cose che continuo a non capire. Ad esempio non ho mai sciolto una perenne indecisione sul fatto se sia meglio il the alla pesca o quello al limone, non lo so e mai ne verrò a capo. Non mi spiego come sia sensato chiedere soldi alle persone: più c’è la crisi e più un numero infinito di fondazioni e associazioni a fin di bene ti chiedono qualche euro. Meno denari girano e più ne reclamano. Non mi capacito di come ad esempio non si siano mai inventati la bottiglia da un litro e mezzo di Crodino, perché no? Io penso che sarebbe un’ottima idea. Non capisco e mi pare palesemente folle, uno dei tanti contro sensi di questo paese, come sia possibile che nel teatro dell’arte, della storia, della letteratura e della cultura a tutto tondo, gli umanisti, ossia coloro che sono gli esperti dei campi appena citati, stiano di fatto tutti a casa o fare dell’altro. Non capisco chi non comprende il profondo valore di oggi, del 25 aprile e di ciò che svela. La sensazione è che quando anche i nostri nonni saranno passati a miglior vita, perderemo del tutto il valore di questa fondamentale data.

Nel frattempo si avvicina la canonizzazione dei due papi più amati del Novecento, camminando per il centro e tastando il terreno del Vaticano ieri mi sono in parte sentito protagonista. Non tanto perché ho contribuito a raccontare uno dei due prossimi santi ma perché è splendido vivere in un posto che si trasforma in bacino infinito per raccogliere persone, fedeli, pellegrini e preghiere. Credere o meno è un altro discorso, ammirare momenti del genere ha un profondo valore, penso a questa città e rifletto su come diventi centro del mondo, ombelico del pianeta. Per alcuni giorni, tutto il resto sarà veramente insignificante periferia.

Tito Vilanova nel frattempo ci ha lasciati, al destino bisogna arrendersi, al male anche. Non bastano soldi e cure, se il mostro è troppo cattivo gli happy ending rimangono un’amara e futile speranza di carta.

Intanto non andrò a Shanghai, 1000 RMB al mese sono un po’ pochi, bastano per qualche giorno, la Cina rimane lontana e la nuova possibile partenza non si concretizza, almeno, non ora e non verso l’Oriente. I mondiali potrò vederli senza essere uccellato da fusi orari di 12 ore, e in parte, mi pare una notizia da non sottovalutare.

Malgrado tutto i grillini strumentalizzano la Partita del Cuore, Renzi deve abdicare e appendere gli scarpini al chiodo, il Papa chiama Pannella, le patatine della San Carlo by Carlo Cracco fanno schifo ed un altro week end incombe.

Pasqua e Pasquetta

Pasqua. Alla fine, pure se non voglio, mi tocca fare comunque dei paragoni perché la situazione me lo impone. Per il pranzo di Pasqua siamo tornati nello stesso posto in cui andammo nel 2009 e nel 2012. Stesso luogo, stesso ristorante e stessa occasione, impossibile non fare parallelismi. Tralasciando il 2009, troppo lontano e inutile come termine di paragone, sarebbe di fatto anche impietoso per oggi, ho ripensato più che altro a due anni fa. Era aprile, eravamo solo noi 3 e mangiammo molto meglio dell’altro ieri. Faceva caldo, i primi caldi primaverili, quando le temperature sono già indubbiamente fuori stagione e il sole brucia. Tornammo facendo l’Appia e dalla nostra macchina uscivano le note di un disco di Lucio Dalla. Domenica invece siamo passati a Grottaferrata nella celestiale villa di un nostro amico di famiglia. Come due anni fa, di fondo, c’è ancora quell’instabilità di base. Era giusta e logica nell’aprile del 2012 quando meno di un mese e mezzo prima ero uscito dall’università, era tutto un divenire, con un senso di disorientamento e la speranza di qualche sorpresa. Ora è diverso, decisamente. Quel senso di non-certezza comincia a pesare, inizia a essere fastidioso e a creare inevitabilmente quella aria di insofferenza. Più o meno la situazione è simile, è solo che sono passati due anni, un dettaglio tutt’altro che irrilevante, e poi, nell’aprile del 2012, era meglio per mille motivi.

Pasquetta. Dopo i castelli, ieri è stato il turno del mare. Una delle magiche peculiarità di Roma è proprio questa, quella di poter spaziare e raggiungere ogni luogo in poco tempo. La casa della Bionda ad Anzio ha riaperto le sue porte. Giro per Nettuno, pranzo abbondante con dei meravigliosi gnocchi e delle saporite salsicce, nel pomeriggio grande relax sul dondolo che nelle case di mare ha un suo impareggiabile fascino. Le conversazioni si sono dilungate e hanno ruotato intorno i rapporti e le difficoltà che generano. Dopo un giro pomeridiano con tanto di gelato ad Anzio ci siamo imbarcati non per Ponza, come voleva Antonio, ma per casa.

Ci siamo divertiti, erano anni che non passavo una Pasquetta così: diversa, piacevole, inattesa. Magari replichiamo la prossima settimana, magari con tanto di Gallo al seguito e con una puntatina in spiaggia.

Frase di Pasqua

Andrea:“Ah non lo so Mattè, non so che me mangio a pranzo. So solo che ieri ho aperto il frigorifero di mia nonna e dentro c’era una fattoria morta…”