Paralipomeni

Tanto è così, è tutto un dimostrare, un dover dimostrare, meritarsi qualcosa, guadagnarsi uno spazio, un posto, i soldi. Bisogna rimboccarsi le maniche dicono, lo ripetono a noi, poi però c’è il fortunato di turno che ti supera e nemmeno te ne accorgi, ha il telepass, quello delle conoscenze, delle porte aperte senza sforzarsi, il passepartout. A te, al massimo, rimane da suonare qualche altro campanello, in attesa di altri no, di nuovi rifiuti e vecchie scuse, aspettando di colpire un altro palo, o anche una traversa, tanto, abbiamo già il callo.

Sudare per arrivare, correre più forte per ottenere, meglio dimostrare che mostrarsi, quello lo fanno gli altri, chi vive di condimenti e contorni perché il piatto piange e allora, è tutta una vetrina, una interminabile giostra su cui roteare pavoneggiandosi del nulla, social network e giochi di luce, “Facciamone un’altra, che dobbiamo venire meglio”.

Piove di nuovo, troppo per essere del tutto ottimisti, un colpo di coda dell’inverno, un’inzuccata allo scadere del freddo e le finestre si richiudono, avevamo già deposto il cappotto, peccati di gioventù, errori che spesso facciamo. Troppo lontani gli amori sotto l’ombrellone e i tormentoni estivi, è lunga ancora, c’è da pedalare e impegnarsi, la grattachecca su Lungotevere è più che distante ma nel frattempo le palestre si ripopolano e i bicipiti si gonfiano, in vista delle prossime e future esposizioni. Move on.

In bocca sapore di ferro e sangue, certe scuse hanno fatto il loro tempo come le Superga, anche se fra un po’, magari, torneranno buone. È tutto un divenire, le mail che aspetti non arrivano, il telefonino non suona più come prima, il termometro della situazione è anche questo e non ti rimane che restare in sospeso, a guardare la grandine sul balcone, perché in fondo sai che c’è qualcosa ti manca, e tu, mi ricordi il mare.