Monica chi?

“Antò, mi piace quella”

“Ma chi? Quella quale?”

“Questa qua, due file sotto, oh, questa con la coda e il cerchietto”

“A me non me convince…”

“A me sì”

 

Ho il Drastico alla mia destra e mi rivolgo a lui mentre aspettiamo che inizi la lezione di Pierangeli, dopo quella di Storia Contemporanea, rimaniamo nei nostri posti e indico al mio amico quella che mi piace. È ottobre 2008, il resto, lo sapete. È storia detta.

Venerdì, pochi giorni fa, dopo sei anni e mezzo, mi è scappato esattamente lo stesso pensiero, e l’ho detto dentro di me, rivolgendomi ad Antonio che nel frattempo stava a 8000 km, ma idealmente era il mio giusto interlocutore.

Due settimane fa, mentre attraversavo la stazione di Davisville, prima del lungo post, ma già con un fastidio notevole addosso, scrissi a Gabriele che doveva ancora succedere qualcosa, doveva esserci qualche fatto che avrebbe spostato l’asse terrestre della mia esperienza in Canada. E mentre lo scrivevo ero così convinto che sapevo bene come non fosse una idea vana, una illusione, un pensiero stimolante per auto-trasmettermi delle motivazioni molto simili a delle convinzioni.

Tornando a venerdì mattina, riflettevo su un fatto mentre aspettavo la metro a College, a fatto compiuto, pensavo a come sia tutto veramente scritto, a come in molte circostanze tu non devi fare nulla, nel senso che puoi sbatterti e darti da fare, ma tanto c’è un disegno talmente perfetto che ti attende al quale tu non puoi sottrarti nemmeno se te lo svelassero prima. Pensavo questo e poi ho lasciato un messaggio al mio amico di Honk Kong che stava per andare a dormire. Un messaggio che sintetizzato diceva più o meno: “Mi sbaglierò sicuro, ma mi sa che la scossa di cui ti parlavo c’è appena stata, in un ufficio di Toronto mentre sbrigavo delle formalità burocratiche.”

Sì perché se riavvolgo il nastro, il primo bivio che imbocco inconsapevolmente è quando dico a una mia collega, che a differenza del giorno prima, posso andare da solo a sistemare delle pratiche senza il suo aiuto e mi incammino. All’ufficio prendo il numero C36 e su 300 sportelli finisco al 22, che mi fa sempre pensare a Milito e al 22 maggio 2010 e quando mi dirigo verso il bancone e metto a fuoco la persona davanti che mi aspetta, penso mille cose insieme e mi rivolgo ad Antonio dicendogli le stesse parole di anni prima e poi rimango imbambolato dentro, rincoglionito, anche se simulo bene e sono piuttosto spigliato mentre mi ripeto: “Non te ne vai da qua finché non le strappi almeno il numero di telefono.”

Sì, ma tutto questo per dire che? No, che fondamentalmente non vale nemmeno la pena adoperarsi e affannarsi per qualcosa, certe cose se devono capitare succedono, ti piombano addosso e tu nemmeno devi preoccuparti. Poi certo, fossi un altro sarebbe già tutto fatto, sarebbe solo una formalità, tutta una discesa, soprattutto per i presupposti, per le coincidenze e gli incastri, ma visto che io sono io, prepariamoci a tutto. E quando dico tutto, intendo veramente tutto. Giuro, non vedo l’ora di vedere come finisce male sto giro, perché secondo me ci saranno degli effetti speciali e dei fuochi d’artificio memorabili.

Non può mica succedere dai, non scherziamo. Certo che se invece, non me ce fate pensà…

Ah, ma Monica chi?