Quella passeggiata casuale. Ad Attigliano.

Fu così che una domenica mattina di agosto mi ritrovai a camminare da solo per il centro storico di Attigliano. E pensare che la mattina era iniziata anche con una certa sintonia, il treno che si muoveva da Termini e “Per dimenticare” degli Zero Assoluto lanciata dall’I-pod con puntualità esemplare. Quel suo “Ho proprio tanti, tanti, troppi impegni, credo forse partirò”, così bene si infilava in quella mattinata afosa romana.

Persa la coincidenza ad Attigliano per andare al lago di Bolsena dai miei, vi risparmio gli strambi motivi per aver mancato il mezzo successivo, in attesa che qualcuno mi venisse a raccogliere, camminai, per togliermi dalla stazione, per muovermi, per ingannare il tempo.

Il senso di malessere diffuso di quella settimana esplose così rumoroso e non arginabile, rinforzato dalla coincidenza appena persa. E come spesso capitava, perso nei pensieri, quando camminavo nel buio della mia inadeguatezza, di quella inadeguatezza, mi sentivo in compagnia. In sua compagnia. Io e lei, che puntualmente, veniva e mi accompagnava in quei ragionamenti, in quei fastidi. La sua presenza si faceva più forte e vibrante. Quasi fisica per quanto era viva.

Perché in fondo, quella inadeguatezza l’aveva risolta, l’aveva messa in disparte per lungo tempo prima di rispolverarla e metterla in mostra. Tutto lei, solo lei. La tana libera tutti all’inizio che a un punto era finita e mi aveva fatto ripiombare laggiù, non so dove esattamente, ma di certo in un luogo lontano e profondo.

Camminando per Attigliano pensavo a questo, e provavo a convincermi che tutto questo ricorrente fastidio, questo sapore acre, in fondo doveva avere un suo valore. Sì, questo pellegrinaggio emotivo, drammaticamente emotivo, da qualche parte doveva portare, non volevo credere che fosse fine a se stesso, così gratuitamente doloroso e pungente, e soprattutto interminabile.

Intervallai il pensiero con un più deciso e generalista “Mi sono veramente rotto i coglioni”, un po’ di tutto, di certe cose viste e riviste. Una di quelle esclamazioni dell’anima, liberatorie e cariche di fastidio.

Camminavo guardando le bandiere sui balconi, vessilli che richiamavano a rioni diversi, la foto dell’Italia nella sua essenza principale. Appartenenza e rivalità. Noi, voi e loro. Il resto non conta. Nelle vie più strette, porte aperte, quei profumi del centro-Italia, di cantina e pranzi, ruspanti fino in fondo.

Sotto il muro del centro storico, intanto, la A1, l’autostrada, le macchine piene di vita estiva, a caccia di un pezzo di spiaggia e del tanto agognato riposo. Un paese in movimento, in versione ridotta ma pur sempre amante del mese di agosto.

Tornai indietro per dirigermi verso la stazione, con quella nube di pensieri che mi avrebbe accompagnato ancora per tanto tempo, come facilmente immaginavo. Sensazioni vissute troppe volte, malumori quasi amichevoli, nel prurito di quelle categorie a cui a volte sembriamo essere destinati al di là di noi.

Diverse ore dopo, in macchina, seduto di dietro, come non mi succedeva da anni, mentre la barriera di Roma Nord brillava in lontananza con le luci del casello, ripensai a quando tornavamo da Nazzano, dopo aver giocato tutto il giorno, stanco morto, con l’Inter che al massimo aveva pareggiato e il giorno dopo era lunedì e si tornava a scuola.

Avrei avuto bisogno di una giornata così forse, quelle belle, quelle spensierate, quelle da scuole elementari. Quando la preoccupazione era la figurina da rimediare, le passeggiate per Attigliano con la voglia quasi di vomitare una prospettiva impossibile da capire perché mai potesse succedere, e lei che chissà dove stava.

E dove sta tuttora.

 

Tweet del giorno

Se son tutte rose e fiori, sei nella tua tomba.