In collegamento da Tor Vergata

Involontariamente sto collezionando tutta una serie di immagini di questo mio soggiorno italiano. Istantanee che già so che mi accompagneranno fra qualche tempo, quando mi guarderò indietro e tornerò a rivisitare questi tre mesi.

Detto già di me che cammino sotto il sole agostano per via della Lungara con il panino all’ora di pranzo in preda a decine di pensieri, l’altro ieri il caso mi ha regalato quasi inevitabilmente un’altra fotografia.

Per una ricorrenza speciale ho deciso di registrare il programma da Tor Vergata, sotto la grande croce di legno simbolo della GMG del 2000. Sulla mia destra un casolare di cui non ricordo il nome, ricordo però che andai lì anni fa a prendere dei soldi che mi dovevano dopo aver lavorato all’Ufficio Eventi dell’università per loro.

È venuto anche mio padre, mi ha accompagnato e mi ha sollevato del doppio peso cavalletto-telecamera. Poco dopo le 19 il sole ha iniziato a scendere e filtrava dai rami di una pianta mentre io aspettavo che sparisse del tutto per avere una luce completa e compatta, senza bagliori.

In quello stesso punto ero 15 anni prima, in occasione di quella serata storica, due milioni di persone praticamente sotto casa mia per il Papa nell’anno del Giubileo, ieri ero ancora lì, stessa data, stesso accompagnatore ma scopo diverso: parlare e raccontare con tanto di riferimento a quell’episodio. Una serie di ricorrenze che si sono incrociate e rincorse in maniera incredibile, dinamiche che spesso sono già avvenute in vita mia.

Eppure, per me, ieri aveva un sapore diverso, speciale. Non per le coincidenze ma per il posto, essere lì, in quello spazio periferico di Roma, in quei prati in cui ho passato giorni e attimi indimenticabili, fra un panino e un abbraccio.

Mentre guadagnavo la via della macchina, con il sole ormai nascosto del tutto dietro le case, ho ripensato a mille cose, agli incroci, agli incastri, al tempo che è passato da certi momenti. L’insegna verde del PTV iniziava a risaltare sempre più e come mi capita ultimamente, ho ripensato ad una frase che mi accompagna da tempo “Questa strada, tutto questo, questa fatica, queste privazioni, questi sacrifici, devono portare da qualche parte, non posso pensare che non sia così”.

Cantando inspiegabilmente “Il campo delle lucciole” di Ligabue ho attraversato lo sterrato prima di arrivare ad uno dei parcheggi di Medicina, nelle narici a ogni passo sempre più forte entrava il profumo delle piante di liquirizia che circondano quel pezzo di Tor Vergata. Poche macchine erano rimaste, due signori rientravano dalla corsa, io cambiavo spalla alla borsa mentre guardavo dove mettevamo la mia 600 in quei momenti di pausa che ci prendevamo dalle lezioni e dal mondo intorno a noi, quando questo posto era la mia vera casa, forse l’unica.