Parlami di te

“Dai, parlami di te”. Non so mai da dove cominciare quando mi chiedono una roba del genere, mi è successo poche sere fa e non a caso, quasi istintivamente, sono partito dal 2012.

Ripensandoci bene però, la cena da solo è un qualcosa che mi identifica piuttosto bene. Infatti, l’ho scritto nella chat congiunta con i miei amici, chiedendo loro di raccontarmi così: uno che esce dalla redazione e va a cena da solo, perché aveva voglia di andare in pizzeria.

Come ritratto non è un granché però ci può stare, fornisce un messaggio chiaro e immediato del personaggio. Per il resto faccio fatica ma ci provo, e come i bambini posso dire di essere alto e magro, con le occhiaie perenni, mi gratto un sacco la testa, ho svariate allergie (motivo per cui mi gratto) e fra 5 mesi compio 29 anni.

Penso di aver detto già abbastanza, ma se scavo un po’ di più e mi impegno, qualcos’altro lo trovo.

Faccio il lavoro che sognavo da bambino, ho vissuto in due paesi all’estero e in un continente diverso dove a breve tornerò, ho già viaggiato parecchio ma non dormo mai su treni, pullman e aerei. Ho una relazione complicata con il sonno. Non ci siamo mai capiti troppo e ho sempre dormito molto poco a mio avviso. Ma quando suona la sveglia mi alzo subito, “altri 5 minuti” è un stile di vita che non m’appartiene, anzi, mi irrita. Che cazzo ti cambiano quei 5 minuti così?

Pur avendo una vita discretamente impegnata mi annoio spesso. Sono attivo, lavoro, mi impegno, ma comunque sia una parte di me si annoia irrimediabilmente. Guardo poco la tv, scrivo tanto ma leggo sempre meno, non sto su Facebook da tempo perché non mi interessano gli affari degli altri, Twitter invece mi diverte di più. Mi sembra uno strumento più utile.

Sto spesso da solo, una capacità che ho sviluppato da bravo figlio unico. Ho bisogno di stare da solo, come se dovessi entrare in una mia dimensione familiare. È una necessità. Non mi piacciono troppo gli animali, mi piace invece la pasta, la pizza, il Gatorade e il salame. Non ho vissuto nemmeno 3 decenni eppure tutto quello che sognavo è già successo: ho visto l’Inter vincere ogni trofeo, l’Italia il Mondiale e la Juventus in Serie B. Mi sono così consegnato ad un futuro opaco, senza frenesie e colpi ad effetto, vivo una vita che per qualcuno è interessante ma per me è normale, così normale che come detto mi annoio. Mi appassiono a poche cose, pochissime. Mi interesso a poche persone, quelle però a cui tengo, tengo davvero, al punto tale che vivo le loro vicende personali con grande trasporto, quasi fossi io il diretto interessato.

Non mi piace piacere. Non mi frega nulla dell’opinione degli altri su di me. Non faccio nulla per piacere ma credo sia una buona strada per vivere più sereni.

Non piango mai, ma mi commuovo spesso in certi periodi, solitamente per cose che il 99% della popolazione mondiale non troverebbe degne di nota. Qualcuno mi definirebbe intelligente, non è vero, non lo sono, non lo sono mai stato e mai lo sarò. Penso tanto e ho una velocità di pensiero che è nettamente superiore alla media. Ho pochi spunti, sono ripetitivo, abitudinario, pigrissimo per delle cose stupide e banali, come alzarmi dal divano per rispondere al telefono quando squilla. Quando perdo l’interesse per qualcosa o qualcuno è impossibile riaccendermelo. Non ho l’Iphone, ascolto musica in modo trasversale, oggi ho sentito Roberto Vecchioni, la canzone dopo era Marracash, non mi piacciono i film se non quelli italiani.

Che altro? Pochi amici, pochi ma di livello e spessore. Ho sempre preferito la qualità alla quantità, così come due camicie di Lambert che la tuta di qualche squadra estera.

I colori della mia vita sono quelli del cielo e della notte, il nero e l’azzurro. Sono una persona educata e rispettosa ma potrei dare anche due schiaffi a uno per un discorso di principio o anche per una causa sportiva. Pensa te.

Ho studiato quello che volevo, ho fatto spesso quello che mi piaceva, ho scritto una tesi di laurea magistrale di cui sono profondamente orgoglioso perché era “mia” dalla prima all’ultima pagina. Non rinnego niente, rimpiango poche cose, forse un po’ il tempo che trascorre perché sono una persona mediamente triste e nostalgica. Non tornerei mai al liceo, pagherei invece per essere davanti alla segreteria di facoltà per immatricolarmi nuovamente. Quello rimane il mio periodo migliore. Non mi godo mai nulla, non so per quale ragione, ma non sempre è colpa mia, resta il fatto che questo aspetto mi tormenta. Non mi fa paura niente, la gente però mi deve lasciare in pace. Non rompo i coglioni e gradisco che lo stesso trattamento venga riservato anche a me.

Malgrado tutto, il mio inglese non migliora da anni in modo inspiegabile. Ho una Fiat 600 bianca del 2001, comprata nell’ottobre del 2006. È un pezzo della mia vita e mai la venderò. Sì, sono possessivo solo dei miei oggetti, come ogni figlio unico che non ha mai dovuto condividere nulla da bambino, ma non sono geloso delle persone.

Non faccio prigionieri, chi non vuole far parte della mia vita non lo rincorro. Sono curioso ma solo di alcune cose, mi taglio i capelli una volta al mese e mi faccio la barba una volta alla settimana.

A volte parlo tanto, altre no, forse perché non ho troppo da dire e penso sempre che gli altri non siano interessati a quello che devo dire. Rimango un introverso, un timido, un riservato, poi però si accende la luce rossa della telecamera e non so che cazzo mi succede. Mi trasformo.

Ho sempre un piano B: sono organizzato, ordinato, non mi piacciono disordine e caos. Sono un grande playmaker, in campo e fuori. Non ho manie, ma guardo sempre l’orologio. Non uso il profumo, ma sono pulito. Non fumo, non mi ubriaco, non mi drogo, non leggo fumetti e non compro dischi. Non ho vizi, se non quei 90 minuti a settimana.

Non sono un centometrista e nemmeno uno scattista. Non sarò magari un maratoneta, ma esco sempre alla distanza, sulla fatica e sulla resistenza. Se hai pazienza, la metà di quanta ne ho io, forse mi apprezzi dopo un po’. Quando serve e conta veramente però, le mie mani non tremano mai.

Il mio futuro può essere da 10 o da 3, non lo so, credo che dipenderà molto più dalla fortuna che da me stesso, anche se fin da piccolo non ho mai avuto una visione del mio avvenire così brillante o positiva. Non so perché.

Mi piace andare in palestra e correre, ma non più di mezz’ora. Lo sport è fantastico e rimane la più grande metafora della vita. Indubbiamente.

Ho un rapporto ambiguo con la mia città, mi sento molto italiano ma non particolarmente romano. Nonostante questo, reputo Roma indiscutibilmente la città più bella del mondo. Mi piacciono le metropoli, poco i paesi, ma spero di morire serenamente in provincia.

Sono un fine osservatore, mi ricordo tutto in maniera quasi patologica, forse è un disturbo mentale. Ricordarsi tutto è un grosso problema perché significa non dimenticarsi niente, e nella vita, a volte, non è così d’aiuto.

Qualcuno mi ha definito asessuato, forse per la mia straordinaria capacità di diventare grandissimo amico di quelle che poche che mi piacciono. Preferisco le bionde alle more, ma poi capita sempre il contrario. Non mi sono mai piaciute tutte. Per questa ragione ne ho avute solo un paio, ma l’aspetto numerico non mi interessa. Una resta fuori categoria, perché ha un valore diverso. Le altre fanno da cornice.

Meglio il mare che la montagna, meglio l’estate che l’inverno. Maggio però mi piace in modo speciale. Se avrò una figlia la chiamerò Elena, se avrò un figlio spero che giochi a basket piuttosto che a calcio.

“Con me non uscirei mai a prendere un caffè” ho detto tempo fa, lo confermo e lo ribadisco ancora oggi.

Quando sono all’Anagnina passo sempre dal cancello 9, da dove partono i pullman per San Cesareo.

Non so perché, o forse sì.