Siamo questo, niente di più.

Cresciamo da generazioni con i racconti drammatici dei terremoti che nell’ultimo secolo hanno straziato il nostro paese. Cresciamo con queste storie e quelle della Guerra, due cordoli che fortunatamente non si intersecano pur essendo disastri che hanno segnato la storia dell’Italia e la vita di molte persone.

Un evento potente e imprevedibile come un terremoto ci ricorda quasi subito che non siamo nulla, che di fondo, siamo costantemente appesi ad un filo e che tutto può essere spazzato via in un attimo: vite, case, pensieri che diventano già ricordi, spesso amari.

Ciclicamente ci ritroviamo a scavare fra le macerie, a piangere chi non c’è più e a sorridere per qualcuno che dopo ore, magari, è ancora vivo. C’è qualcosa che ritorna, la storia, il dramma, un filo rosso che ci unisce come popolo, quando serve. Mi commuove questo, non so perché, o semplicemente non me lo so spiegare. La solidarietà, la voglia di aiutarsi e di stare insieme che si vive in questi momenti è unica e sincera, per questo drammaticamente toccante.

Esistono ripetizioni che a volte ci portano a pensare che da certi incubi non ne usciremo mai. Penso alla gente dell’Aquila e a chi nel cuore della notte è stato svegliato ancora una volta, praticamente alla stessa ora, dal letto che si muoveva e dal lampadario che oscillava. La mente torna subito al passato, a sette anni fa, e alle 309 vittime che quel terremoto si è portato via. Quella scossa la avvertii anche io, a Roma, il letto si spostò per secondi interminabili, attimi in cui realizzi cosa sta succedendo ma non sai mai cosa fare. È tutto troppo improvviso e crudele che non esiste una reazione giusta o una azione opportuna da fare, aspetti solo che la terra si fermi e poi ti tocchi, ti guardi in giro per vedere se tutto è ancora al proprio posto.

Ricordo quella notte, come le giornate del settembre del 1997 con il terremoto in Umbria, la terra di tanti miei parenti e i luoghi delle mie estati abbattuti in un colpo solo.

È la storia dell’Italia, un tunnel dal quale sembra impossibile uscire e quando appare un po’ più lontano nella memoria, ritorna più rabbioso e forte che mai. Quattro anni fa, 27 morti in Emilia, oggi non si sa ancora, o meglio, il conto cresce drammaticamente ogni ora e la paura rimane per quello che potrebbe essere, per i corpi che mancano all’appello e per le decine di scosse di assestamento che arriveranno, sperando che siano solo conseguenze dello sciame sismico e niente di più grave.

Quando vivi lontano dall’Italia tutto è nostalgia. Anche una tragedia così ti tocca in modo diverso, forse in maniera più profonda,  so solo che è differente.

È stato un 2016 bagnato di sangue e lacrime come nessun anno precedente che io ricordi. Un 2016 macchiato dal terrorismo, da molteplici stragi, dalle giovani morti in Catalogna su un bus, dall’incidente ferroviario in Puglia, fino a questo ultimo terremoto, per non contare i drammi personali con il pensiero che corre ovviamente ad Alfredo.

È stato un anno che finora ci ha ricordato e sottolineato con un vigore di cui avremmo fatto volentieri a meno, quanto siamo impotenti di fronte a certe cose, in balia di un destino imprevedibile, palline che ruotano casualmente su una roulette sperando sempre di capitare sul colore giusto.

Siamo questo, niente di più.