Dopo quasi tre settimane di isolamento totale dalla musica, qualche giorno fa ho ascoltato per la prima volta una serie di canzoni. La scelta è stata voluta e non casuale, sapevo che le prime settimane il mio umore e le mie sensazioni sarebbero state volubili e lunatiche ed allo stesso modo ero consapevole che la musica o qualche canzone avrebbe avuto il potere di incidere su un mood ancora non del tutto stabile.
Di conseguenza, ho evitato il rischio, il mio i-pod è ancora in valigia e presumo rimarrà lì ancora per un po’ mentre con Youtube mi sono lanciato nel primo ascolto mercoledì scorso e la canzone prescelta è stata frutto di ragionamenti vari. Alla fine ho sentito “Compagni di viaggio” di De Gregori, testo dal quale scelsi una frase da consegnare a David su un pezzo di carta prima della sua partenza per El Hierro. Noi due sappiamo il valore intrinseco di quelle righe, di ciò che rappresentano e della speranza che siano sempre attuali, anche nel futuro, ma se c’era una canzone che volevo ascoltare era proprio quella.
Successivamente mi sono imbattuto in un grande classico, evidentemente non una coincidenza, ma da quando sono arrivato ho già sentito due volte “Don’t look back in anger”. Non so se sia un monito, ma in questo momento, sinceramente io non ce l’ho con nessuno, resta il fatto che il pezzo è capitato il giorno prima che comprassi il biglietto per il concerto di maggio e sabato scorso mentre mi aggiravo per il Mall di Yorkdale, in un negozio di musica. Non è la mia canzone preferita degli Oasis, ma è indiscutibilmente il loro pezzo più famoso assieme a Wonderwall, una canzone che è di certo un inno generazionale dei 90’s.
Da Metro invece, il supermercato in cui mi reco abitualmente sia per la spesa, tanto quanto per prendere il mio pranzo durante la pausa al lavoro, hanno un discreta play-list, improntata sul pop-melodico made in UK. Ieri ad esempio mentre mi aggiravo per gli scaffali in cerca dei bastoncini Findus è partito un “Candle in the wind” di Elton John che mi ha riportato al viaggio di ritorno da Istanbul del gennaio scorso. Con 40 di febbre sul volo della Turkish questa fu la prima canzone che ascoltai dal mio posto, prima che i miei vicini iniziassero una delle litigate più bizzarre a cui abbia mai assistito, alla frase di lei verso il compagno: “Parli come un prete!” mi lasciai andare e iniziai a ridere malgrado fossi a pochi passi dalla morte per influenza. Tornando a Elton John, subito dopo è partita “Back for good” dei Take That, un altro pezzo inno degli anni 90 e mentre mi aggiravo con il mio cestino rosso fra gli scaffali me la sono cantata amabilmente.
Come detto, Metro è il supermercato in cui ripiego anche a pranzo e venerdì scorso a un punto è partita “I don’t want to wait”, la celebre sigla di Dawson’s Creek. È stato un tuffo al cuore, senza giri di parole. Mi sono fermato proprio per assaporarla, prima di prendere una specie di ciriola. Avrei pagato per avere una poltrona, sedermi un attimo, chiudere gli occhi e vedermi sul bordo del letto, di giovedì sera, ai tempi delle medie, mentre vedevo la serie di quegli anni su Italia 1. In quel momento, ho ripensato a quando mi domandavo: “Ma un giorno sarò da quella parte dell’Atlantico?” e il solo pensiero m’ha quasi emozionato. A volte sono veramente cose minuscole, dettagli, a darci l’idea di dove siamo e cosa stiamo facendo, forse, per la prima volta, ho realizzato il tutto, ascoltando quella canzone da Metro.
Ovviamente non posso ancora spingermi troppo oltre, nel senso che “Viva l’Italia”, “Roma Capoccia” o “Buonanotte all’Italia”, sono pezzi che non posso ascoltare, non sono abbastanza pronto, e il legame fra le canzoni è piuttosto facile da rintracciare. Mi immalinconisco troppo, mentre Fratelli d’Italia è il jolly, e lo utilizzerò più avanti, quando servirà, perché arriverà quel momento. Sono troppo esperto ormai, e so che a un punto avrò bisogno di iniezioni di fomento e dosi massicce di carica e come la versione integrale del nostro inno non c’è nulla che sappia rianimarmi in un certo modo.
Due buoni compagni di viaggio
non dovrebbero lasciarsi mai,
potranno scegliere imbarchi diversi,
saranno sempre due marinai