Un colpo all’anima

Sarà Roma, sarà luglio, sarà il costante riferimento a Ligabue ogni giorno, sarà che non è stata forse una grandissima idea accendere il mio vecchio Nokia 5800 e leggere gli sms solo di un mittente, sarà che fa caldo, sarà che questa canzone profuma d’estate, di 2010 e di un concerto proprio di Ligabue, sarà che è l’unico testo che riassume alla perfezione tutta una serie di domande che mi sono posto migliaia di volte, sarà che le piaceva, sarà che mi hanno detto che dovrei avercela e essere arrabbiato, sarà che stamattina mi sono alzato con un’altra canzone in testa e ne ho usato il primo verso in uno strano incrocio, sarà che era tempo che volevo postare questo testo, vabbè dai, saranno tante cose insomma, mica posso stare qui a spiegare tutto.

Sì, leggetelo bene però il testo. Sono le mie domande.

 

Tutte queste luci 
tutte queste voci
tutti questi amici
tu dove sei?
 
Tutto questo tempo
pieno di frammenti
e di qualche incontro
e tu non ci sei…
 
Tutte queste radio
piene di canzoni
che hanno dentro un nome
ecco chi sei!
 
Non ti sai nascondere per bene…
 
Quante volte sei passata
quante volte passerai
e ogni volta è sempre un colpo all’anima
 
Tutto questo posto
forse troppo visto
deve avere un guasto
tu non ci sei
tutte quelle case
piene di qualcuno
e fra quei qualcuno
tu con chi sei?
 
Tutte queste onde
pronte a scomparire
resta solo il mare
quanto ci sei
 
Non ti sai nascondere davvero…
 
Quante volte sei passata
quante volte passerai
e ogni volta è sempre un colpo all’anima
quante volte sei mancata
quante volte mancherei
un colpo al cerchio ed un colpo all’anima
Quante volte sei passata
quante volte passerai
e ogni volta è un colpo sordo all’anima
Quante volte sei mancata
quante volte mancherai
un colpo al cerchio ed un colpo all’anima
all’anima

 

 

Songs

Dopo quasi tre settimane di isolamento totale dalla musica, qualche giorno fa ho ascoltato per la prima volta una serie di canzoni. La scelta è stata voluta e non casuale, sapevo che le prime settimane il mio umore e le mie sensazioni sarebbero state volubili e lunatiche ed allo stesso modo ero consapevole che la musica o qualche canzone avrebbe avuto il potere di incidere su un mood ancora non del tutto stabile.

Di conseguenza, ho evitato il rischio, il mio i-pod è ancora in valigia e presumo rimarrà lì ancora per un po’ mentre con Youtube mi sono lanciato nel primo ascolto mercoledì scorso e la canzone prescelta è stata frutto di ragionamenti vari. Alla fine ho sentito “Compagni di viaggio” di De Gregori, testo dal quale scelsi una frase da consegnare a David su un pezzo di carta prima della sua partenza per El Hierro. Noi due sappiamo il valore intrinseco di quelle righe, di ciò che rappresentano e della speranza che siano sempre attuali, anche nel futuro, ma se c’era una canzone che volevo ascoltare era proprio quella.

Successivamente mi sono imbattuto in un grande classico, evidentemente non una coincidenza, ma da quando sono arrivato ho già sentito due volte “Don’t look back in anger”. Non so se sia un monito, ma in questo momento, sinceramente io non ce l’ho con nessuno, resta il fatto che il pezzo è capitato il giorno prima che comprassi il biglietto per il concerto di maggio e sabato scorso mentre mi aggiravo per il Mall di Yorkdale, in un negozio di musica. Non è la mia canzone preferita degli Oasis, ma è indiscutibilmente il loro pezzo più famoso assieme a Wonderwall, una canzone che è di certo un inno generazionale dei 90’s.

Da Metro invece, il supermercato in cui mi reco abitualmente sia per la spesa, tanto quanto per prendere il mio pranzo durante la pausa al lavoro, hanno un discreta play-list, improntata sul pop-melodico made in UK. Ieri ad esempio mentre mi aggiravo per gli scaffali in cerca dei bastoncini Findus è partito un “Candle in the wind” di Elton John che mi ha riportato al viaggio di ritorno da Istanbul del gennaio scorso. Con 40 di febbre sul volo della Turkish questa fu la prima canzone che ascoltai dal mio posto, prima che i miei vicini iniziassero una delle litigate più bizzarre a cui abbia mai assistito, alla frase di lei verso il compagno: “Parli come un prete!” mi lasciai andare e iniziai a ridere malgrado fossi a pochi passi dalla morte per influenza. Tornando a Elton John, subito dopo è partita “Back for good” dei Take That, un altro pezzo inno degli anni 90 e mentre mi aggiravo con il mio cestino rosso fra gli scaffali me la sono cantata amabilmente.

Come detto, Metro è il supermercato in cui ripiego anche a pranzo e venerdì scorso a un punto è partita “I don’t want to wait”, la celebre sigla di Dawson’s Creek. È stato un tuffo al cuore, senza giri di parole. Mi sono fermato proprio per assaporarla, prima di prendere una specie di ciriola. Avrei pagato per avere una poltrona, sedermi un attimo, chiudere gli occhi e vedermi sul bordo del letto, di giovedì sera, ai tempi delle medie, mentre vedevo la serie di quegli anni su Italia 1. In quel momento, ho ripensato a quando mi domandavo: “Ma un giorno sarò da quella parte dell’Atlantico?” e il solo pensiero m’ha quasi emozionato. A volte sono veramente cose minuscole, dettagli, a darci l’idea di dove siamo e cosa stiamo facendo, forse, per la prima volta, ho realizzato il tutto, ascoltando quella canzone da Metro.

Ovviamente non posso ancora spingermi troppo oltre, nel senso che “Viva l’Italia”, “Roma Capoccia” o “Buonanotte all’Italia”, sono pezzi che non posso ascoltare, non sono abbastanza pronto, e il legame fra le canzoni è piuttosto facile da rintracciare. Mi immalinconisco troppo, mentre Fratelli d’Italia è il jolly, e lo utilizzerò più avanti, quando servirà, perché arriverà quel momento. Sono troppo esperto ormai, e so che a un punto avrò bisogno di iniezioni di fomento e dosi massicce di carica e come la versione integrale del nostro inno non c’è nulla che sappia rianimarmi in un certo modo.

 

Due buoni compagni di viaggio

non dovrebbero lasciarsi mai,

potranno scegliere imbarchi diversi,

saranno sempre due marinai

Powder on the words

 

I’ve learned to memorize better
The days we say “it does not matter”
But now the powder hides the final of the words
We spend too much time hoping
To find again the will to hope
But now the powder hides the final of the words
Will roses blossom through the cinder
The teachers will be pupils again
If just the weather takes the powder off the words
…and all the secrets I have always blessed
I swear I try to pledge myself to not forget
But now the powder hides the final of the words
…the powder hides the final of words
…what does it matter…
Cause all in all it’s just a pile of words!
You move the water
Like a floater
As a fish that swims around
Under the weather
Find the shelter
Like a bunny into the hat
…I’m a ship that runs aground! …
Wait for the purifier rain
I’m on the snail’s trail…
The weight?
The blame?
Have you heard?
…never heard?

 

(A Toys Orchestra)

 

Il contorno

Forse qualcuno di voi si aspettava un post sul primo giorno dopo aver letto quello di ieri, magari a nessuno fregava nulla, alla fine ho deciso di scriverne uno raccontando tutto il contorno di questa giornata.

Intanto, mi sono laureato campione del mondo di tempi per la 34esima volta in vita mia. Avevo appuntamento alle 9.30 e alle 9.28 ero davanti la reception. La cosa complicata, ciò che vale il titolo di campione del mondo, è la capacità di pianificare un viaggio (non trovo altre parole) mai fatto prima dovendo prendere oltretutto ogni tipo di mezzo.

Sono uscito da casa alle 7.45 e nell’ordine ho preso: la macchina, un autobus, una metro, un treno. Mancava la nave e l’aereo e poi avevo esaurito i mezzi inventati dall’uomo per spostarsi. Malgrado questo ce l’ho fatta e ho raggiunto l’obiettivo dopo essere stato vittima anche di un disguido tecnico. Alla prima fermata del treno, ossia a Ostiense, ho visto scendere tutti mentre io sono rimasto al mio posto fin quando un controllore mi ha detto che il treno era bloccato e dovevamo prenderne un altro. Sono sceso, ho seguito il flusso, ho imprecato un po’ e poi mi sono accodato. A quel punto ho domandato a un tizio se questo cambio era normale o un caso particolare. Il punto è che il tizio in questione era il classico romano che ti risponde cazzeggiando anche se gli fai una domanda seria. Ecco il dialogo:

 

          “Ma che cosa è successo scusi?”

          “Niente, il treno ha bucato, anzi, me sa che ha finito la benza”

          “Ma quindi il cambio non è una cosa normale?”

          “No, oggi è successo questo, domani ritarda, dopodomani scioperano…”

 

Ecco, ho beccato il tipico romano che anche nei momenti complicati si fa scivolare tutto addosso, ironizza e non prende sul serio nemmeno un interlocutore sconosciuto che gli fa una domanda con un pizzico di angoscia.

Comunque sia, alla fine sono arrivato in tempo e molto soddisfatto.

Queste sono state invece le prime 5 canzoni che sono partite dal mio Ipod durante la traversata.

Why don’t you go to get a job (Offspring). È la mia canzone dell’ultimo periodo e non perché parla di lavoro ma perché la lego a un coro e mi trasmette entusiasmo.

Price tag (Jessie J). Mi fa tornare in mente le Olimpiadi di Londra e il viaggio a Parigi, mi ricorda che fino a 2 mesi ero felice, ottimista e carico.

Il meglio deve ancora venire (Ligabue). Mi è tornata in mente una conversazione all’Ufficio Eventi in cui la Dimaria diceva questa frase rivolgendosi a noi part-time ed io risposi che non era così, almeno per me. L’annus mirabilis ti capita una volta nella vita.

Dream On (N. Gallagher). Questa l’ho sentita perché c’è un verso che non so per quale ragione mi piace: “Watching the wheels that go round and round”

In the end (Linkin Park). Questa canzone mi ha sempre trasmesso una grande energia. Oggi era necessaria.

Alle 6.10, dopo 8 ore e mezza di lavoro ho ripreso il treno per tornare a casa dalla Muratella. Mentre ero lì che guardavo il vuoto, ho avuto un attacco di depressione e di sfomento esagerato. Mi sono domandato che cosa stava facendo lì, il senso di tutto ciò. La risposta è stata molto semplice, anzi mi sono risposto con una domanda: “Ma quando hai un vuoto dentro così grande, ma che senso vuoi trovare?”.