La Verità. Le Scuse.

 

“Nel paese in cui è nato questo sport, ci sono famiglie che attendono ancora giustizia e chiarezza riguardo un disastro sul quale non è mai stata fatta piena luce, una tragedia enorme che ha sconvolto una nazione intera spingendola a cambiare radicalmente”.

 

 

Termina così la mia tesi di laurea magistrale su Hillsborough. Finisce con questo pensiero, con un dato di fatto, l’attesa di giustizia e di poter ottenere quel rispetto negato per un ventennio abbondante. Mercoledì pomeriggio, mentre mi aggiravo per Parigi, la vicenda legata al dramma di Sheffield viveva una nuova pagina, forse una delle migliori. L’Hillsborough Indipendent Panel ha redatto un testo di 395 pagine basato sull’analisi di 450.000 documenti, raccolti da 80 diverse organizzazioni, un lavoro che ha evidenziato ancora una volta un paio di aspetti: potevano essere salvate 41 vite, non fu colpa dei tifosi, gli artefici del disastro furono gli agenti.

Questo è quanto emerso, una verità che ha spinto il Premier britannico Cameron a chiedere scusa per la “doppia ingiustizia”: l’incapacità di proteggere delle persone e l’imperdonabile attesa per arrivare alla verità. A nome del governo – ha detto il primo ministro alla Camera dei Comuni- e a nome del paese, chiedo scusa per questa ingiustizia a cui non è stato posto rimedio per così tanto tempo”.

Il report dell’Hillsoborough Indipendent Panel potrebbe ora costituire una base per una nuova indagine. Nel lavoro sono venuti a galla dettagli agghiaccianti, aneddoti che in parte già sapevo avendo lavorato per la tesi su un testo fondamentale come Hillsborugh: The Truth, opera di Phil Scraton, docente di criminologia e membro del Panel.

Sconcertanti (per gli altri, per chi ha ignorato tutto per anni) le rivelazioni sul fatto che anche i ragazzi minorenni, così come i bambini morti, furono soggetti a dei prelievi di sangue per trovare tracce di alcool in modo da poter rafforzare la tesi della Polizia: la tragedia generata da tifosi ubriachi.

È stato confermato il lavoro sporco degli agenti che modificarono le memorie scritte da parte degli ufficiali presenti a Hillsborough, è stato ribadito che 41 tifosi sarebbero sopravvissuti se fossero stati soccorsi in maniera tempestiva.

Il report presentato davanti alla Cattedrale di Liverpool ha riscosso consensi e riacceso delle speranze, parlare di giustizia è difficile, soprattutto quando i processi hanno sentenziato “morte accidentale” e i due principali autori del dramma non hanno scontato nemmeno un giorno di prigione.

Quale può essere la giustizia quando ci sono 96 vittime di mezzo? Qualcuno porterà mai indietro chi non c’è più? È possibile ridare a Eddie Spearritt suo figlio Adam? Entrambi persero i sensi nella calca, furono portati all’ospedale, il giorno dopo il padre si svegliò e gli venne comunicato che il suo ragazzo non ce l’aveva fatta. Qualcuno potrà mai riempire a Margaret Aspinall il vuoto incolmabile lasciato da suo figlio James? Il pomeriggio del 15 aprile riuscii a contattare la Polizia del South Yorkshire che la rassicurò sulle condizioni del figlio, così come la compagnia di trasporti secondo cui il ragazzo era sul pullman per tornare a Liverpool. Sono trascorsi 23 anni e Margaret forse non è mai andata via da quel capolinea, dove vide arrivare decine di bus senza il 15enne James. Ho studiato questa vicenda, ci ho scritto una tesi e penso di aver capito così intendano i parenti delle vittime quando reclamano giustizia. Pretendono scuse e rispetto, per anni hanno dovuto accettare falsità, ingoiare l’idea che i propri cari erano stati dei killer che avevano ammazzato altri concittadini. Liverpool, la città di Liverpool, non hai mai tollerato questo e ha sempre difeso la propria gente, consapevole di come fossero andate realmente le cose in quel maledetto pomeriggio.

Ventitré anni dopo, in un mondo nel quale nessuna chiede più scusa, dove è utopico pensare che lo possa fare un politico, Cameron lo ha fatto. Mai sarà fatta giustizia, ma la memoria delle vittime del 15 aprile comincia finalmente ad essere ripulita dopo il fango di quasi un quarto di secolo.

 

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Nell’anno della mia tesi, nell’anno in cui ho raccontato tutto questo passando giorni interi e tradurre i Taylor Reports, articoli, libri ed email, sono contento che ci sia stata questa svolta. Ancora una volta mi sento di dire che questa tesi è la cosa che mi ha dato maggior soddisfazione e reso più orgoglioso in 25 anni.

 

 

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Come 23 anni fa

È stato un sabato pomeriggio drammatico, proprio come 23 anni fa. Doveva essere sport, calcio, alla fine la tv ha trasmesso dolore e morte, rabbia e disperazione, sempre come 23 anni fa. Assurdo talvolta il destino, pazzo e non prevedibile. Ieri, intorno l’ora di pranzo, Liverpool ed Everton, prima di sfidarsi nella semifinale di FA Cup hanno rispettato un minuto di silenzio in onore delle vittime di Hillsborough, hanno giocato ieri perché oggi a Liverpool è lutto cittadino, non si gioca. Non si può giocare, ci sono quasi cento persone da commemorare e così, la partita è stata disputata di sabato per permettere alla squadra e alla città di stringersi intorno al ricordo delle vittime di Sheffield. Oggi pomeriggio ad Anfield alle 15.06 si rimarrà in silenzio, nel momento esatto in cui venne sospesa quella maledetta partita. Come 23 anni fa, ancora una volta di sabato pomeriggio lo sport e il calcio hanno visto spezzarsi una vita, un remake micidiale che ti ipnotizza e ti fa riflettere. Se ne è andato così PierMario Morosini, mentre giocava, mentre faceva l’unica cosa bella che gli aveva riservato una vita crudele considerando i drammi familiari che fin da piccolo aveva dovuto sopportare. Nella mia mente si sono intrecciate le storie di Morosini e di Hillsborough per tanti motivi, mille coincidenze, strane concomitanze per un altro pomeriggio da dimenticare e basta, anche se sarà impossibile. Come ogni 15 aprile anche oggi il mio pensiero volerà in alto verso i 96 di Hillsborough e quest’anno, per la prima volta, con una consapevolezza in più, con uno spirito diverso. Questa vicenda tragica è diventata la mia tesi magistrale, il tema del mio lavoro conclusivo all’università. Su questo avvenimento ho trascorso mesi, giornate intere a leggere, capire e tradurre, sono entrato in questa storia e penso di conoscerla come pochi in Italia. Per questo, leggendo racconti e testimonianze strazianti, so cosa significhi oggi per Liverpool e per la sua gente questa giornata e questa commemorazione. Ho letto i ricordi dei coniugi Hicks che persero le loro due figlie nella Leppings Lane e le parole di Margaret Aspinall che trascorse un pomeriggio infernale: dalla speranza e dalle notizie tranquillizzanti sul figlio James fino al momento in cui si presentò alla fermata dei pullman la sera per riabbracciarlo, ma non lo poté fare poiché il ragazzo in realtà era morto da ore. Ho studiato tutto ciò, e per questo che oggi non sarà una domenica come le altre, il 15 aprile per me non è mai una data come tutte le altre, e da quest’anno ancor di più.

 

NEVER FORGOTTEN, JUSTICE FOR THE 96!

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Con il cuore

Io sono la mia tesi, la mia tesi è me. Ormai il processo di simbiosi mutualistica è definitivamente completato e ciò è avvenuto tre giorni fa quando finalmente sono riuscito a collegare i vari pezzi del puzzle e a creare un file unico con tutto il mio lavoro insieme, una soddisfazione grande, bella e limpida. Vedere l’opera in versione integrale mi ha leggermente emozionato, ho visto per la prima volta il risultato di 6 mesi di lavoro, il coronamento di tanto impegno. Credo che questa tesi sia mia in tutto e per tutto, nessuno avrebbe potuto farla così: nelle parole, nei concetti e nello stile, è marchiata a fuoco dal mio modo di essere. La sento mia perché mi rispecchia, c’è passione e voglia ma soprattutto nasce da una mia esperienza, da un mio viaggio, è la riprova delle mie scelte a volte impopolari. Il 5 agosto del 2008 partivo per Liverpool e a distanza di 3 anni e mezzo mi ritrovo a discutere una tesi di laurea su questa città, su una delle sue storie e su una passione enorme che avvolge questo luogo a nord-ovest dell’Inghilterra. Sono partito per questa destinazione da solo e con tanta curiosità, sono tornato con una città nel cuore e la certezza di aver visitato un posto diverso dagli altri, dove una squadra di calcio significa tutto, dove l’appartenenza a un simbolo vale più di ogni cosa. Qui ho capito le parole di Alan Edge quando parlava della “Fede dei nostri padri” e del significato di sentirsi dentro una certa comunità. In quei giorni ho approfondito la mia conoscenza sulla tragedia di Hillsborough, nel museo di Anfield e nelle strade della città, mi sono reso conto di quanto fosse ancora vivo questo ricordo. In questo blog ogni 15 aprile commemoro quell’evento, una vicenda che sono riuscito a trasformare nel tema della mia tesi e già questo penso che sia la vittoria principale. Ho adorato questo lavoro dal primo giorno, da quando ho iniziato a sfogliare il libro di Phil Scraton e mi sono calato del tutto dentro a questa storia, era agosto, faceva caldo e avevo appena ritirato il visto per la Cina. La mia donazione all’Hillsborough Family Support Group, la spilla che avrò sulla giacca alla discussione, la cravatta con un certo simbolo ed il mio braccialetto sono dettagli, ma di fondo dimostrano come io sia all’interno di questo universo e del modo totale in cui lo senta. Ora è tutto fatto, devo soltanto stampare questo file word e poi dovrò parlare di Hillsborough e del modello inglese davanti a tutti. Ho eseguito questo lavoro con il cuore, l’ho fatto per me e per questo non c’è stato un solo momento in cui mi sono detto: “Vabè, chi se ne frega”, ogni particolare è stato curato perché ho voluto che fosse così dall’inizio ed oggi sono veramente contento. Chiudere il mio meraviglioso ciclo dentro la mia università in questa maniera è il massimo, non avrei potuto sognare nulla di più straordinario. Ripenso oggi a quelle persone che con scetticismo mi guardavano quando parlavo della mia partenza imminente verso Liverpool, penso a Francesca, Maria Grazia, la fidanzata di Bruno, a Simone che mi definiva matto e disadattato perché andavo in viaggio solo, ecco, ho avuto ragione anche stavolta, ed è così perché ho seguito il cuore e ciò che volevo fare, questa tesi lo dimostra. Steinbeck affermava che: “Non sono gli uomini a fare i viaggi ma i viaggi a fare gli uomini” e la mia esperienza nel Merseyside lo testimonia per certi versi, quella città sarà sempre nel mio cuore e raccontarla attraverso una delle sue storie più importanti è il mio modo per onorarla.

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Precisazioni

Gentile redazione,

mi chiamo Matteo Ciofi e vi scrivo da Roma per segnalarvi degli errori abbastanza evidenti riscontrati nel servizio trasmesso ieri sera (2.2.2012) dal tg5 delle ore 20 riguardo la tragedia sportiva avvenuta in Egitto.

Alle 20.08 è stato mandato il contributo nel quale veniva ricostruito il dramma durante la partita della serata precedente quando oltre 70 persone avevano perso la vita. Nella seconda parte del servizio, il giornalista ha fatto dei riferimenti relativi alle altre sciagure del calcio partendo dall’Heysel. Da questo momento in poi sono state raccontate nell’ordine tre cose sbagliate:

1)    La tragedia di Bradford in Inghilterra non avvenne 3 anni prima dell’Heysel, bensì 18 giorni prima, 11.5.1985.

2)    I morti dell’altro grande disastro sportivo, quello di Hillsborough, non furono 95 come detto nel servizio ma 96.

3)    Oltre questo dato è stata detta una cosa abbastanza fuori luogo, “la gente morì per una calca creatasi per entrare nello stadio”. Non andò così. La gente morì perché il congestionamento fu generato dall’incapacità della Polizia nel gestire l’afflusso degli spettatori dentro lo stadio. Bastava raccontare l’avvenimento in maniera chiara e non superficiale, spendendo due parole in più e non travisando la realtà, considerando che ci sono vittime e famiglie che non hanno mai ricevuto giustizia.

 

Con la speranza che certi fatti vengano raccontati in futuro in maniera più appropriata senza omettere dettagli fondamentali e tralasciando la quantità delle vittime, vi porgo i miei più cordiali saluti.

Matteo Ciofi