Che sera, quella sera

Che sera, quella sera. Sì la sera prima, quella della grande vigilia, di una delle vigilie più emozionanti che io ricordi. Sono passati già due anni da quel 28 febbraio 2012, dalla sera prima della laurea magistrale, dal famoso ultimo tango a Tor Vergata. Due anni pieni di tante cose, di grandi esperienze, di luoghi nuovi e volti sconosciuti, due anni in cui il cordone ombelicale non si è mai tagliato del tutto semplicemente perché al cuor non si comanda, 24 mesi da “esiliato” e lontano da quella che è diventata in 5 anni e mezzo veramente una seconda casa.

Che sera quella lì, ricordo il pomeriggio passato in palestra, lontano da tutto e tutti. Mentre diverse persone insistevano nel dirmi di scrivere un discorso, di ripetere dei concetti, io rispondevo che non ne avevo bisogno, sapevo tutto, perfettamente, come era ovvio che fosse dopo aver passato sei mesi su quella tesi. In palestra me la presi più comoda del solito, isolandomi, assaporando quelle ore prima di essere protagonista, prima di vivere l’ultima ventata, potente e micidiale. Tornai a casa, un paio di chiamate, due sms per spiegare la strada verso la facoltà a qualcuno e poi preparai il tutto: tesi, vestito, accessori, senza tralasciare dettagli e scaramanzie.

Ricordo l’arrivo di mia nonna a casa e lo stomaco chiuso, ricordo di non aver cenato e di aver mangiato un panino con il salame verso le dieci. Poco prima avevo ricevuto due messaggi su Facebook, uno dalla Cina e uno da molto più vicino. Il primo mi emozionò, scatenò in me quel desiderio di avere al mio fianco una persona tanto importante quanto fisicamente lontana, l’altro messaggio era una vera e propria mail, profonda, commovente. Una di quelle cose che ti fanno scoppiare, quelle righe che un po’ tutti vorrebbero poter leggere un giorno. Mentre le ore scorrevano, mi resi conto di quanto il secondo messaggio mi avesse alleggerito, scaricato, sbloccato. Meravigliosamente.

Ho sempre amato le vigilie e la penso esattamente come Leopardi in uno dei suoi capolavori “La sera del dì di festa” struggente e perfetta. La magia dell’attesa e la sua bellezza, quel potere magnetico che spesso supera addirittura l’evento tanto agognato. È così, spesso mi è capitato questo, solo la sera del 22 maggio 2010 mi resi conto che l’evento aveva superato di gran lunga ogni mia ipotesi e idea.

Non presi sonno immediatamente e allora ripassai un paio di date, per fare scena, guardavo ma non vedevo e poi, seduto sul bordo del letto, iniziai a pregare. Non so a chi fosse rivolta quella preghiera, di certo non era una richiesta di aiuto, non l’ho mai fatto, in realtà mi rivolsi forse a Dio per ringraziarlo per tutto quello che avevo vissuto, per le emozioni e i brividi raccolti a piene mani in quel lungo percorso cominciato all’alba del 2 ottobre 2006.

Puntai la sveglia pur sapendo che l’avrei anticipata, mi girai nel letto centomila volte e poi mi addormentai, il grande giorno era già iniziato e la vigilia l’avevo voluta vivere tutta, prima dell’ultimo giro, prima del 29 febbraio.

Che sera, quella sera.

“La tua forza è il tuo cuore e quello non te lo ha dato nessun posto, quello viaggia con te. Sempre.”

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“One fine day…”

 

Nessuno sa che nella citazione finale della mia tesi, dopo i ringraziamenti, manca una parte. Non c’è infatti la riga prima che dice testuali parole: “One fine day, I gonna leave you all behind, it wouldn’t be so bad, I if had more time… Un bel giorno vi lascerò tutti dietro, non sarebbe così male se solo avessi più tempo”. Quel giorno è ormai molto vicino, la partenza è imminente e la coincidenza con l’anniversario della mia laurea magistrale ha permesso questo collegamento. Quella frase non fu inserita nella citazione, avrebbe allungato troppo il testo, ma soprattutto non era calzante, aveva molto più senso il resto, come il riferimento al viaggio per tornare a casa, per arrivare alla metà.

La canzone era Listen Up, una b-side degli Oasis, dalle sonorità simili a Supersonic ma che non ha mai avuto il successo meritato. Decisi che sarebbe stata la citazione della magistrale addirittura pochi mesi dopo aver discusso la triennale. Non ho più cambiato idea anche perché ha continuato ad avere per me un significato speciale.

Quel “One fine day” è giunto come dicevo, anche se in realtà non vi lascerò tutti dietro, perché dovrei? Mi lascio alle spalle tante altre cose, quelle magari meno piacevoli ma tengo tutto il buono, tutti i momenti spassosi ed unici vissuti con parecchie persone. Tra tanto tempo mi ricorderò soprattutto delle cose belle, funziona sempre così anche se nei prossimi mesi, in qualche momento di solitudine mi ritroverò a pensare ad ogni situazione, sicuramente.

Preparando le ultime cose riflettevo su queste elezioni e sul pericoloso imbuto nel quale rischiamo di finire. Siamo di fronte ad un cambio probabilmente epocale ma il futuro per la nostra nazione mi sembra ancora particolarmente ingarbugliato e privo di spiragli positivi per noi giovani, soprattutto a livello lavorativo. Guardavo le valigie aperte sul tavolo della veranda e gli strizzavo l’occhio, come dire: “Meno male che me ne sto andando, che idea che ho avuto!.”

Manca poco, ma soprattutto le condizioni per fare questo passo ci sono davvero tutte e quindi è molto più facile togliere l’ancora e partire.

Anche perché, la frase dopo di Listen Up che seguiva la citazione inserita recitava “I don’t mind being on my own…Non mi dispiace starmene per conto mio”. In gran parte è vero, nei prossimi mesi dovrò ritirare fuori quella mia vecchia capacità di farmi compagnia stando da solo.

 

 

One fine day

I gonna leave you all behind

It wouldn’t be so bad

If I had more time

 

Sailing down a river alone

I’ve been trying to find

My way back home

But I don’t believe in magic

Life is automatic.

 

But I don’t mind being on my own

No, I don’t mind being on my own

La Verità. Le Scuse.

 

“Nel paese in cui è nato questo sport, ci sono famiglie che attendono ancora giustizia e chiarezza riguardo un disastro sul quale non è mai stata fatta piena luce, una tragedia enorme che ha sconvolto una nazione intera spingendola a cambiare radicalmente”.

 

 

Termina così la mia tesi di laurea magistrale su Hillsborough. Finisce con questo pensiero, con un dato di fatto, l’attesa di giustizia e di poter ottenere quel rispetto negato per un ventennio abbondante. Mercoledì pomeriggio, mentre mi aggiravo per Parigi, la vicenda legata al dramma di Sheffield viveva una nuova pagina, forse una delle migliori. L’Hillsborough Indipendent Panel ha redatto un testo di 395 pagine basato sull’analisi di 450.000 documenti, raccolti da 80 diverse organizzazioni, un lavoro che ha evidenziato ancora una volta un paio di aspetti: potevano essere salvate 41 vite, non fu colpa dei tifosi, gli artefici del disastro furono gli agenti.

Questo è quanto emerso, una verità che ha spinto il Premier britannico Cameron a chiedere scusa per la “doppia ingiustizia”: l’incapacità di proteggere delle persone e l’imperdonabile attesa per arrivare alla verità. A nome del governo – ha detto il primo ministro alla Camera dei Comuni- e a nome del paese, chiedo scusa per questa ingiustizia a cui non è stato posto rimedio per così tanto tempo”.

Il report dell’Hillsoborough Indipendent Panel potrebbe ora costituire una base per una nuova indagine. Nel lavoro sono venuti a galla dettagli agghiaccianti, aneddoti che in parte già sapevo avendo lavorato per la tesi su un testo fondamentale come Hillsborugh: The Truth, opera di Phil Scraton, docente di criminologia e membro del Panel.

Sconcertanti (per gli altri, per chi ha ignorato tutto per anni) le rivelazioni sul fatto che anche i ragazzi minorenni, così come i bambini morti, furono soggetti a dei prelievi di sangue per trovare tracce di alcool in modo da poter rafforzare la tesi della Polizia: la tragedia generata da tifosi ubriachi.

È stato confermato il lavoro sporco degli agenti che modificarono le memorie scritte da parte degli ufficiali presenti a Hillsborough, è stato ribadito che 41 tifosi sarebbero sopravvissuti se fossero stati soccorsi in maniera tempestiva.

Il report presentato davanti alla Cattedrale di Liverpool ha riscosso consensi e riacceso delle speranze, parlare di giustizia è difficile, soprattutto quando i processi hanno sentenziato “morte accidentale” e i due principali autori del dramma non hanno scontato nemmeno un giorno di prigione.

Quale può essere la giustizia quando ci sono 96 vittime di mezzo? Qualcuno porterà mai indietro chi non c’è più? È possibile ridare a Eddie Spearritt suo figlio Adam? Entrambi persero i sensi nella calca, furono portati all’ospedale, il giorno dopo il padre si svegliò e gli venne comunicato che il suo ragazzo non ce l’aveva fatta. Qualcuno potrà mai riempire a Margaret Aspinall il vuoto incolmabile lasciato da suo figlio James? Il pomeriggio del 15 aprile riuscii a contattare la Polizia del South Yorkshire che la rassicurò sulle condizioni del figlio, così come la compagnia di trasporti secondo cui il ragazzo era sul pullman per tornare a Liverpool. Sono trascorsi 23 anni e Margaret forse non è mai andata via da quel capolinea, dove vide arrivare decine di bus senza il 15enne James. Ho studiato questa vicenda, ci ho scritto una tesi e penso di aver capito così intendano i parenti delle vittime quando reclamano giustizia. Pretendono scuse e rispetto, per anni hanno dovuto accettare falsità, ingoiare l’idea che i propri cari erano stati dei killer che avevano ammazzato altri concittadini. Liverpool, la città di Liverpool, non hai mai tollerato questo e ha sempre difeso la propria gente, consapevole di come fossero andate realmente le cose in quel maledetto pomeriggio.

Ventitré anni dopo, in un mondo nel quale nessuna chiede più scusa, dove è utopico pensare che lo possa fare un politico, Cameron lo ha fatto. Mai sarà fatta giustizia, ma la memoria delle vittime del 15 aprile comincia finalmente ad essere ripulita dopo il fango di quasi un quarto di secolo.

 

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Nell’anno della mia tesi, nell’anno in cui ho raccontato tutto questo passando giorni interi e tradurre i Taylor Reports, articoli, libri ed email, sono contento che ci sia stata questa svolta. Ancora una volta mi sento di dire che questa tesi è la cosa che mi ha dato maggior soddisfazione e reso più orgoglioso in 25 anni.

 

 

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The Road to 29.2.2012: manca un mese…

Manca un mese al “Grande Giorno” e mentre fervono i preparativi, il lavoro prosegue. Devo scrivere l’introduzione e poi manderò tutto al professore per la lettura totale della tesi, con la speranza di avere le correzioni nell’arco di una decina di giorni. C’è ancora un mese davanti, ma la data del 22 febbraio, giorno in cui dovrò consegnare la tesi in segreteria, non è poi così lontanissima. Nel frattempo ho scelto la camicia per il vestito sarà celeste (molto chiaro) mentre devo soltanto comprare le scarpe per chiudere il cerchio relativo all’abbigliamento. In attesa che mi venga comunicato l’orario esatto della discussione e l’aula in cui si terrà quest’ultima, ho praticamente già tracciato le varie celebrazioni e i festeggiamenti che condividerò con amici e familiari. Onestamente desidero una grande giornata, lo spero con tutto me stesso, sarà l’ultima puntata e mi auguro che sia davvero emozionante. Non mi interessano regali, soldi e pensierini, non li voglio, pretendo delle condizioni metereologiche favorevoli e la presenza di tutti. Se alla triennale eravamo tanti da riempire uno stadio secondo qualcuno, stavolta voglio un pubblico da festa scudetto, una folla da piazza tipo concerto del primo maggio. Se fosse per me inviterei tutta Tor Vergata, pagherei oro per avere quei personaggi che ho incontrato e vissuto in questi straordinari cinque anni, sarebbe meraviglioso avere coloro che grazie ai nostri soprannomi hanno svolto un ruolo fondamentale nella mia fantasia. Cannone, Bartali, Bolla, Tutto Fumo tanto per citare qualche nome, avere questa gente alla mia discussione sarebbe un regalo senza valore, impossibile da stimare. Ho iniziato a far girare la voce e ho dovuto però già registrare qualche defezione ma sogno che tutti gli invitati possano esserci, la discussione della laurea conta di più, è gratis e voglio tutti lì, inviterei anche il mio peggior nemico, anche Galliani accompagnato da Moggi. La festa è un discorso a parte, esalta di meno ed è bene condividerla con certe persone, l’ammucchiata vale per la laurea, per le celebrazioni ho idee diverse. Sono soddisfatto del lavoro svolto finora, è quasi finito ma voglio rileggere tutto anche se posso già affermare che mi entusiasma abbastanza. Manca ancora un mese, ci sono una miriade di cose da fare ma so per esperienza personale che questi 31 giorni voleranno inghiottiti dagli impegni e dai pensieri, con l’emozione che salirà ora dopo ora.