NYC16

Valla a spiegare New York. Ci provo mentre aspetto di lasciarla, con l’orario di partenza che continua a cambiare e a essere posticipato, ad ora, 20.05 di Manhattan dovrei partire alle 22:01, oltre due ore di ritardo sulle 19:50 previste.

Me la sono goduta più di quanto immaginassi e l’ho apprezzata e vissuta in modo diverso rispetto ad undici anni fa. In primis perché vivo da queste parti ed essere abituato a questo contesto aiuta, poi perché era la seconda volta e quindi non c’era l’angoscia di volere e dover fare tutto necessariamente, ma un senso di serenità diverso, un vivere il tempo in modo differente e più rilassante. Di certo avere anche 29 anni (quasi) e non 18 e aver visto tanto altro nel frattempo, in questa decade abbondante , ha il suo peso. Essere da soli è sempre uno status speciale nei viaggi, a New York è relativo perché c’è talmente da fare e vedere che a volte ti dimentichi con chi stai, io ad esempio non mi sono annoiato per un singolo secondo, cosa che in qualche modo è sempre avvenuta in viaggi in solitaria del passato.

Onestamente ho pianificato tutto giorno per giorno, lasciando spazio a improvvisazione e cambi, eppure, malgrado tutto, ci sono stato dentro in maniera impeccabile, come non mai. Ho girato per la città con grande autorità, non so se sia il termine adatto ma mi viene questo, dopo poche ore tante cose mi sono tornate in mente e con la mappa davanti di Manhattan tutto mi è sembrato molto più familiare di come invece lo ricordavo.

New York è un mondo indubbiamente a parte, non paragonabile e non possibile da mettere in categorie. A me, onestamente è l’unico posto al mondo che esalta veramente, come niente e nessuna altra città. Times Square di sera ti travolge sempre come fosse la prima volta e ci sono passato in continuazione, come un bambino attirato dalla luci del Luna Park, perché tante luci così le vedi solo in quel pezzo di Manhattan, intorno la 42th.

Io non so cosa abbia di speciale, forse il clima, l’aria che respiri, il fatto che sai di essere al centro del mondo, come quando cammini per Wall Street e sai che lì si muovono i soldi che fanno letteralmente girare il mondo. E poi non lo so, vedi i gay che si baciano per strada, i matti sotto lo metro, i topi che camminano sui binari, gli afro che ballano per conto loro, le bandiere a stelle e strisce ovunque, negozi di una grandezza a volte inutile e ingiustificata. Sì, è tutto big ma non è solo quello. È il futuro, ma nemmeno tanto, l’evoluzione, o il voler fare le cose in modo semplicemente diverso.

Ho camminato tanto, ma il bello do NYC è proprio quello, fare su è giù, e la Fifth Ave rimane un piacere calpestarla. È stato bello attraversare Central Park all’imbrunire, con un po’ di neve qua e là, vedere St Patrick di notte e di giorno, tornare sul ponte di Brooklyn e camminare ammirando lo skyline della City. Ho visto gente pattinare al Rockfeller center, con tanto di proposta di matrimonio nel mezzo della pista all’improvviso. Ho sentito uno russare chiuso nel gabinetto di un bagno del Columbus Circus Mall, ho incontrato Cristina, serba di Belgrado che vive a Copenaghen e ce l’ha con i danesi, ho scoperto il Whole Food Market che è stata la mia svolta alimentare. Una salvezza unica. Ho girato 5 giorni con gli occhiali, sempre e comunque per non perdermi nulla, ho vissuto insomma NYC in HD.

Ho incontrato anche il frocio cinese. Sì, lo voglio definire così, le cazzate e l’ipocrisia la lascio agli altri. Fosse stato gentile avrei detto gay, avendo rotto i coglioni lo chiamo frocio. Perché ha dato fastidio quando era uno sconosciuto e non mi ha fatto godere il Guggenheim come volevo, è diventato pesante quando ha dichiarato la sua omosessualità gratuitamente. Dopo che mi ha stretto il braccio, l’ho guardato e ho pensato solo: “Rifallo ancora e ti faccio male. Aspetto che prendi lo zaino, ti aspetto fuori e ti lascio per terra”.

Già il fatto che dire “Parlare del Papa è noioso” dopo 5 minuti che dialogavamo me lo aveva fatto etichettare come inopportuno, andando avanti è diventato un cagacazzi. “Non so se tu sei gay”, “No, non lo sono”. A mai più, anche perché la mail che mi ha chiesto prima di dichiararsi è ovviamente sbagliata, quindi scrivi pure che ti risponderò sicuro.

New York è anche shopping, non necessariamente quello dei grandi negozi ma soprattutto quello dei posti come il Century 21st o Macy’s. Mi sono comprato di tutto, anche perché cose del genere a prezzi di questo tipo a Toronto te le sogni. Un orologio, una cravatta, due maglioni, due camicie, le cuffie (credo il paio numero 48), tutto il possibile insomma anche perché una delle peculiarità di NYC è quella di farti credere che tutto sia possibile, tutto alla portata.

In qualche modo è il posto dei desideri. E non a caso, l’ultima sera, camminando per la città con un po’ di musica in sottofondo, cosa che faccio dappertutto per godermi il posto con la base che decido io, è partita random  “Il meglio deve ancora venire” mentre lasciavo il Madison Square Garden e mi dirigevo verso Times Square.

E io c’ho voluto credere, almeno per qualche secondo, anche perché se non sogni un po’ nella città dei sogni dove altro devi farlo?

 

A presto NYC,  a presto…

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Chiudete le valigie, si va a New York!

Una delle ultime sere a New York, uscendo da casa di Tania e Pierluigi, quest’ultimo disse a me e ai miei genitori, che finita la scuola sarei dovuto andare lì, nella Grande Mela, per studiare, per aprirmi a nuovi orizzonti ed immergermi in un mondo di opportunità e dinamiche completamente diverse dalle nostre. Risposi sorridendo e con una battuta,  dissi infatti che un giorno sarei tornato a New York, magari per lavorare al NY Times.

C’è un qualcosa di ricorrente in episodi che avvengono nella mia vita, non so se chiamarlo fil rouge sia corretto, eppure mi capitano cose strane, altre invece un po’ scritte, come se in fondo dovessero succedere.

Sto tornando a New York undici anni dopo quella fugace conversazione sulla soglia della porta di casa e lo sto facendo perché sono effettivamente sbarcato da questa parte di mondo per fare quel mestiere. Certo, non starò al NY Times e nemmeno a Manhattan, ma sto al di qua della frontiera a lavorare in una tv. L’avevo sparata volutamente grossa, ma se poi vai a scavare, sotto sotto, lontanissimo non sono andato, almeno nei contenuti specifici.

Domani vado a New York, e già questo basta e avanza. Il post potrebbe finire qui, con un punto successivo alla parola numero 211. Torno in uno dei due posti in cui volevo tornare in vita mia e penso che farlo dopo più di un decennio sia una porzione di tempo giusta.

Era il giugno del 2005 quando insieme ai miei genitori attraversammo l’oceano per la prima volta, il 17 giugno, il giorno prima ero tornato da Milano stravolto ma contento, avevamo vinto la prima coppa Italia con Mancini, quel successo che inaugurò un periodo incredibile, e a quell’entusiasmo se ne sommava un altro ugualmente potente, il primo viaggio con destinazione la terra a stelle e strisce.

Ho diversi ricordi di NY ma molti meno di quanti potrei averne. Non so come mai ma la mia memoria scivola inspiegabilmente su quei giorni, ci sono dettagli e luoghi che ad esempio ricordano con molta più precisione i miei genitori di me. Ignoro completamente il motivo, forse ero troppo dentro, troppo coinvolto che non sono riuscito a scattare molte immagini mentali durature. Ricordo, ma non troppo, e per me è una notizia sconcertante.

Dare una bella mano di tinta a certe memorie potrebbe aiutare anche se non farà caldo ma freddo, e sarò da solo e non in compagnia.

Questo viaggio è nato per caso, all’improvviso. Ci ho pensato una domenica pomeriggio ed il giorno dopo avevo fatto tutto. Mentre mi domandavo se Toronto avesse almeno una cosa positiva, ho trovato la risposta: sì, è ad un’ora e mezza di volo da NYC, ecco, andiamoci allora.

Cinque giorni non sono troppi ma bastano, soprattutto se sei al secondo giro, e sarà interessante vedere la Grande Mela vestita di inverno, così come fare quello che non era stato possibile 11 anni fa, come ad esempio vedere il Guggenheim.

Da quando c’è questo blog, e ho iniziato a scrivere anche sui miei viaggi, mancava un post. Avrei voluto avere il blog nel 2005 per scrivere “Chiudete le valigie, si va a New York!”. Ho dovuto aspettare invece parecchio tempo, ma spesso la vita una seconda chance te la dà e ora, finalmente, fra i tanti racconti di viaggio ci sarà anche questo.

E sì, perché domani si va nella City, nella capitale del mondo, in quel posto in cui ti senti al centro e tutto il resto è periferia. Domani è NYC.

E allora, chiudete le valigie, si va a New York!

Hey there, Delilah

What’s it like in New York City?

I’m a thousand miles away

But girl, tonight you look so pretty

Yes you do

Times Square can’t shine as bright as you

I swear it’s true

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NYC

Cinque anni fa questa serata qui era la vigilia del viaggio per antonomasia, quello che mi avrebbe portato oltreoceano nella capitale del mondo, nella città dei sogni. La mattina del 16 ero appena tornato da Milano dopo un viaggio in pullman drammatico ma la prima coppa Italia di Mancini l’avevamo conquistata, quel trofeo che sarebbe stato l’inizio di un ciclo ancora non terminato. Stanco da ore di pullman andai comunque in palestra, a pranzo da Pans and Company su Via Tiburtina e poi passò mio padre a prelevarmi da casa di mia nonna. Fra una valigia da chiudere e l’ultima cosa da tirare fuori dall’armadio, quella sera vidi la Fortitudo vincere uno scudetto pazzesco deciso da un tiro di Douglas che soltanto l’Instant Replay giudicò valido e quindi utile per la vittoria della F scudata. Amareggiato da questo, chiusi il bagaglio e feci finta di dormire perché l’emozione e le suggestioni erano troppe per prendere sonno. Questo viaggio era il regalo per i miei diciotto anni da parte dei miei genitori e con loro partii verso lo stato a stelle e strisce. La mattina successiva un Vito nero era sotto casa nostra pronto per condurci a Fiumicino, volo verso Zurigo e poi un altro aereo direzione America. Ricordo tanto, o meglio, ricordo tutto di quel meraviglioso viaggio, l’arrivo al JFK, il taxi e poi il tragitto verso la City, quel ponte che appena scollinato ti introduce in un mondo a parte. Resta certamente il viaggio più bello, quello più desiderato e certamente più costoso, un’esperienza magica. Trovarsi a New York equivale a sentirsi protagonisti di un film, sentirsi su un set cinematografico per tutto il tempo del proprio soggiorno. A New York per la prima ed unica volta in vita mia ho percepito quella sensazione di trovarmi al centro del mondo, dove tutto gira e corre ma soprattutto dove puoi vedere ogni cosa. Non c’è nessuna immagine che potrei scegliere per immortalare quella settimana, ho soltanto una miriade di foto dentro di me, in particolare quella percezione di alzare lo sguardo sulla quinta strada o in qualche altra via e vedere i grattacieli che ti sormontano e dei quali non vedi la fine. Quella settimana è stata magnifica e ringrazio ancora oggi chi mi ha permesso di fare questo viaggio, di vivere da vicino un mondo che è diverso dal nostro per ritmi e dimensioni, colore e vita. Desidero tornarci, qualcuno dice che lo farò il prossimo anno considerando che in famiglia ci sarà una ricorrenza importante e questa potrebbe spingerci nuovamente di là, a Fiabilandia, nella mia città preferita.