Ci vediamo in Tv (anni dopo…)

Alcuni giorni fa riguardavo il promo girato per una delle puntate della serie, indubbiamente il mio preferito di sempre, e pensavo a tutte quelle persone che pagherebbero oro per ritrovarsi in situazioni del genere. Al giorno d’oggi dove l’apparenza è l’unica cosa che conta e Facebook è la vetrina in cui ostentare tutto il meglio, sono convinto che troverei facilmente 10/15 elementi fra le persone che conosco le quali venderebbero la madre, il padre e il cane (o il gatto) per situazioni del genere.

Leader di questo fronte sono soprattutto quelli da book, quelli che si fanno fare le foto da book, per gioco, per vanità, ma anche per sentirsi almeno per un po’ quello che in fondo vorrebbero essere: sotto le luci e con gli occhi solo per loro.

All’inizio non ci facevo caso, molto probabilmente non me ne rendevo nemmeno conto, dopo tanto tempo ormai, la realtà è che a me non interessa. Lungi da me il pensiero di sentirmi cool, e soprattutto di vantarmi per quello che faccio condividendo anche sullo specchio dell’ascensore del condominio una foto particolare o un video specifico.

La verità è che questo poi è un lavoro come tutti. Sicuramente sembra più eccitante e stimolante, meno usuale, e più intrigante del pizzicarolo o del postino, ma è pur sempre un mestiere. Uscire da casa e sapere che qualche ora più tardi parli in televisione è normale, per me lo è, e cammino verso la redazione con la stessa calma con cui vado al supermercato il pomeriggio a fare la spesa.

Io mi vado a divertire ogni giorno, questo è indubbio. Per me non è un lavoro, semplicemente perché nella mia mente fin da quando ero bambino chi fatica veramente sono quelli che stanno in cantiere, chi guida il tir e gli autisti dell’ATAC a Roma. Tutti gli altri per me lavorano meno o poco, io non sto nemmeno in graduatoria.

Mi guardo fin troppo nella fase di montaggio che raramente mi rivedo in tv o quando sono in onda dopo aver registrato, spessissimo nemmeno butto un occhio sulla mia faccia che parla e blatera. Mi guardo in silenzio prima, mentre lavoro sull’editing e mi scruto perché guardo dove sbaglio, o dove devo prestare più attenzione, sono molto critico con me stesso e soprattutto molto obiettivo, so bene quando faccio le cose giuste e sono consapevole del contrario. Riconosco le puntate migliori o le interviste più interessanti, così come ho piena percezione di quelle meno buone, a volte, anche un po’ per gioco ci parto proprio da casa dicendo “Oggi la faccio remi in barca”.

Condividere e promuovere qualche video, promo, intervista o notiziario, fa parte di un altro tipo di responsabilità. Faccio questo solo perché devo, per ragioni di marketing e promozione, certamente non per vantarmi di qualcosa, è proprio una cosa che non mi piace, rimango troppo schivo e prendo le distanze il più possibile da ogni tipo di fasulla autocelebrazione.

Mi piace eventualmente parlare di quello che faccio, più che altro per spiegarlo, per raccontare come funzionano certe cose perché in fondo penso che la gente veda la TV ancora come una scatola magica e piuttosto inaccessibile. Raramente la guardo, e se lo faccio mi rendo conto da tempo, dalla prima volta che ho messo piede in una stazione televisiva oltre 4 anni fa ormai, che il mio occhio è diverso. Presto attenzione ad altri dettagli, più che al contenuto spesso divago e mi perdo nell’analizzare le luci, l’audio, gli aspetti tecnici così come la conduzione del programma nelle sue tante sfaccettature.

È pieno di gente che al posto mio se la tirerebbe in modo sesquipedale, io non ci riesco nemmeno se mi impegnassi con tutte le mie energie. Anche perché poi rimango un personaggio terra terra, e quindi mi cruccio per l’eliminazione della Nazionale, penso all’Inter, al Catto, a qualche stronzata da dire la sera quando torno a casa.

Fondamentalmente sono troppo sciocco per arrampicarmi su qualsivoglia piedistallo celebrativo attraverso la scusa di apparire in tv e sentirmi figo.

L’intervista. Con un taglio discutibile.

No, per carità, non c’è nessuna auto celebrazione, figuratevi, anzi. Sì, è per dare più che altro ragione a mia mamma e mia nonna che si oppongono ogni volta alla mia idea di andare dal barbiere. Ecco, voglio riconoscere loro, in questa occasione, l’onore delle armi. Diciamo che la parrucchiera indiana di Dundas Street si è fatta prendere la mano, io volevo tagliarmi i capelli per andare a Gerusalemme, lei ha esagerato,

E vabbé, non sono bello, scusate. Ma il postare questa intervista è una ammissione di colpa e un prendermi le mie responsabilità. Io, onestamente, non mi sarei mai mandato in onda.

Matteo Moscarda in tv

Oggi mi riguardavo in televisione e mi scrutavo. Mi osservavo e mi domandavo chissà che pensa la gente. Sì, in un momento pirandelliano, alla Vitangelo Moscarda, mi chiedevo cosa vedono gli altri, come mi vedono gli altri. Non che me ne freghi più di tanto, ma per un attimo ho avuto questa curiosità, solo ed esclusivamente in funzione di un aspetto. “Ma se vede che so’ una persona tormentata?” mi sono posto questo quesito, e ovviamente all’interrogativo non sono riuscito a rispondere. È una domanda alla quale non puoi risponderti, non può farlo nemmeno chi ti conosce, è un qualcosa a cui uno sconosciuto può replicare, magari dopo un po’.

In televisione tutto è finto, nulla è vero, tutti recitano, non c’è soluzione alternativa. Un mondo di plastica è fatto da persone che devono fingere, il teatrino altrimenti non potrebbe resistere e quindi non ci si può esimere dalla regole. Bisogna sempre essere quello che gli altri devono vedere, mantenere un certo ruolo, navigare a una chiara velocità di crociera, senza sussulti, senza troppi sbalzi. Bisogna essere così, e quindi si deve recitare. Quando entri in studio resta tutto fuori: sei tu, la telecamera e un numero X di gente che ti guarda.

Mentre i numerosi monitor della sala montaggio mi inquadravano, mi chiedevo quindi come mi vedano gli altri. Chissà se pensano o immaginano che sto entrando nella fase “Vivo 168 ore a settimane in attesa di 90 minuti”, quella magnifica sensazione che da tempo mi mancava e che in un momento del genere sta riempiendo una serie di grosse voragini.

Delle cose veramente importanti non si parla così facilmente, mi piace questo pensiero, e lo condivido, infatti l’ho fatto mio negli anni, su alcuni tormenti non a caso non mi esprimo, al massimo ne scrivo privatamente con chi di dovere. Credo che negli anni sono diventato un attore più bravo a simulare, a fingere, a dire che va tutto bene con parole e sguardi di circostanza. L’esercizio televisivo indubbiamente mi ha aiutato a nascondere ancora di più e per questo mi domandavo quanta maschera c’è, quanto realmente traspare, quanto un osservatore esterno, fisicamente può capire da me. Penso poco, anche se dopo un po’ magari qualche mente geniale potrebbe carpire delle sfumature, dei sassolini che involontariamente faccio cadere a terra come indizi.

Negli anni ho scoperto che alcune persone credono che io non rida mai. E questo, in realtà mi fa ridere. Certamente posso passare come serio, però è certamente una maschera che forse indosso in maniera involontaria. Penso che Alfredo, o David, così per fare due nomi, farebbero fatica a confermare la tesi che io non mi lascio andare a un mezzo sorriso. Probabilmente ho deciso, non so come e non so quando di preciso, di essere io con chi voglio, con chi sento e con chi mi sente, con chi ha avuto tempo e pazienza, oltre alla curiosità di me.

Non rido, chi lo dice ha di sicuro una conoscenza superficiale di me e lì rimane, ma a me, sinceramente, non dà fastidio, proprio perché non mi interessa il giudizio della gente, altrimenti, e qui torno a un punto già toccato, non potrei parlare davanti ad una telecamera.

Eppure, questa curiosità di sapere per un attimo la gente come mi vede, oggi mi è venuta, chissà quanto lascio trasparire, magari poco. Anche perché, come mi scrisse una volta un mio amico di Frascati, “Non aver paura di tenerti tutto dentro, alla fine è il posto più sicuro in cui custodire le cose preziose”.

È vero, Duomo. È vero.

Quello che faccio

Qui ancor più che in Italia, spesso non ci capisco niente quando cominciano a dirmi che sono Account, Specialist, Marketing, Consulence, Junior, Assistant, di qualcosa. Questi anglicismi nascondono tutto molto bene e rendono ogni mansione davvero interessante, il problema è che a me quasi sempre mi verrebbe da dire: “Sì, vabbe, ma che fai in sostanza?” Fortunatamente io non ho questo tipo di problema e quando mi qualifico e dico la mia professione è chiara a tutti, al massimo specifico lo strumento, che tipo di mezzo di comunicazione (radio, tv, giornali, rivista) e sono a posto, certo di essere stato compreso.

E così, dopo avervi parlato della redazione, un po’ della città, dei canadesi e del mio percorso quotidiano per arrivare in ufficio credo sia opportuno spiegarvi nel modo più preciso e completo quello che faccio effettivamente a lavoro.

Parto dal dire che all’inizio avevo degli incarichi e appartenevo ad un dipartimento, quello Marketing e Comunicazione, successivamente, dopo la famosa intervista di inizio marzo, sono stato spostato nell’altro gruppo, quello di Produzione, con il ruolo di producer che qui, o almeno da noi, equivale al giornalista.

Provando a schematizzare i miei incarichi, cerco di chiarire la situazione.

Prospettive: questa è la mansione principale da un mese e mezzo abbondante a questa parte. Un notiziario di cinque minuti, in onda il martedì ed il giovedì alle 16:30 canadesi di Toronto. Dietro a questo breve spazio c’è però un lavoro molto più lungo e complesso che inizia con la mia personale rassegna stampa e poi con la stesura dei testi. Sì perché tutto quello che poco dopo dirò in onda è esattamente quello che ho scritto prima, quindi, nel bene o nel male, è roba mia. I testi sono due pagine mediamente, e mentre li scrivo (di solito 3-4 notizie) già stabilisco quando partirà il video e come dovrò coprire le notizie stesse, con quali immagini e filmati, un aspetto che richiede quindi un’altra ricerca di materiale visivo legato solo a ciò che possiamo utilizzare come diritti televisivi. Dopo che mi incravatto e esco trasformato dal bagno come Superman entro in studio e registro. In seguito invece c’è la parte tecnica, ossia la fase di montaggio quando io con i miei fogli vado dal mio amico scozzese Ryan (solitamente è lui l’editor) e fra una battuta sui Rangers e una sull’Inter, gli dò le direttive su come voglio che sia montato il video. Non è facile perché la lingua non aiuta soprattutto in situazioni tecniche, resta il fatto che ce la stiamo cavando e siamo entrambi soddisfatti del nostro lavoro.

Social Media: ormai il giornalismo ha traslocato anche su queste nuove piattaforme e io mi occupo di quelle in italiano della tv. Questo significa che curo la pagina Facebook, Twitter e il canale Youtube. In ciascuna di esse condivido link, posto aggiornamenti e carico le puntate di Prospettive. Mediamente, i contenuti di Facebook e Twitter vanno di pari passo, quando arriverà il blog e il sito in italiano, la mole di roba che sarà pubblicata si triplicherà.

Broadview: eccoci qua alla mansione che ricopro dai primissimi giorni ed essendo piuttosto tecnica e specifica cercherò di spiegarla nel modo più chiaro e facile. Questo software serve a costruire il palinsesto della tv, ossia tutto ciò che viene trasmesso. I programmi sono mediamente blocchi di 30 minuti, e quelli non mi competono, nel senso che io devo inserire le pubblicità, i promo, devo riempire i gap fra i programmi stessi. Ho una lista di reclam in diverse lingue, quelle in cui trasmette la tv, e seguendo dei paletti insormontabili devo fare una specie di Tetris occupando gli spazi, giocando con i secondi e trovando l’incastro perfetto. Esempio: se ci sono 3.46 minuti fra un programma ed un altro, io devo coprire quello spazio mettendo spot che siano perfettamente in linea con dei parametri e con i tempi. Il risultato è che io decido quello che la signora di Vancouver vedrà il giorno dopo alle ore 18.39 così come in ogni altro momento. È un ruolo di responsabilità, ma anche di pazienza e precisione, due qualità che non mi mancano, e poi, onestamente, sono la persona più adatta per fare una mansione del genere: uno stratega, un pianificatore, uno che si mette lì e calcola, gioca con il tempo, uno puntuale, un playmaker vero nella vita di tutti i giorni, insomma, io… “L’uomo di Broadview.” Ma anche di Broadway se vogliamo…

Applicazione: riprendendo il discorso social-media ho l’incarico di aggiornare una parte di una nostra App, caricando dei contenuti, questa è una cosa meno quotidiana e più automatica, un copia-incolla che però va portato avanti e tenuto a mente.

Il sito e il blog: a breve (entro fine maggio) avremo anche la pagina in italiano sul sito della tv con tanto di blog che sarà uno spazio fondamentale, probabilmente ciò che mi occuperà di più perché almeno un post al giorno bisognerà metterlo. Il punto è che tutto ciò che viene pubblicato o trasmesso in italiano si riconduce a me anche perché sono l’unico vero figlio del Belpaese e per quanto nessuno mi abbia mai detto: “Matteo, tu sei il responsabile dei contenuti giornalistici in italiano della tv” di fondo lo sono anche perché appunto non c’è nessun altro. Un fattore che apparentemente potrebbe essere un bene, in sostanza forse non è una fortuna al 100% perché tutto è sulle mie spalle.

Traduzioni: i sottotitoli in italiano delle interviste e dei documentari sono un altro lavoro che mi riguarda. Certamente non è il massimo, perché bisogna prima trascrivere in inglese e poi tradurre in italiano, una storia lunga e che dopo un po’ diventa pesante, un incarico in grado però di farmi scoprire nuovi vocaboli che mi permettono di arricchire ulteriormente il mio linguaggio.

Riunioni: per quanto non sia una occupazione, o un compito, ci sono anche queste. Una il martedì pomeriggio, la classica riunione di redazione e l’altra invece il venerdì alle 13, una cosa più informale. È un pranzo creativo, si mangia insieme (solo e rigorosamente i giornalisti) e ci si confronta, si buttano giù idee e proposte, una specie di brainstorming mentre si addenta un pezzo di pollo.

Se le giornate passano veloci e le settimane volano, queste appena citate sono le ragioni. Buone ragioni, senza dubbio.