La settimana dei concerti (Parte I)

L’ultima settimana è stata quella caratterizzata dai concerti, due in cinque giorni, un mio record personale che difficilmente potrò superare in futuro. Il punto è che le cose si sono combinate in maniera abbastanza casuale e pertanto martedì sera ero alla Koerner Hall per il concerto dei Leahys, mentre domenica sera occupavo il mio posto al Sony Centre per ascoltare il sempre grande Noel Gallagher.

Due situazioni diverse, due tipi di concerti abbastanza differenti ma senza dubbio due belle serate arricchite da tante situazioni insolite. Ma andiamo con ordine, cara Bionda.

The Leahys: da mesi la nostra televisione aveva sposato la causa di questo gruppo canadese di musica celtica composto da soli membri appartenenti alla famiglia Leahys. E proprio al tema della famiglia era legato il concerto a cui abbiamo assistito, anticipato da un incontro fra il pubblico presente e noi della tv. Prima di riempire la meravigliosa Koerner Hall ci siamo mescolati con i nostri spettatori e io ho vissuto una serie di dinamiche e situazioni davvero bizzarre.

Camminare per il salone a noi adibito e vedere sconosciuti che mi salutavamo, o sentirmi chiamare per nome da persone mai viste, è un qualcosa di profondamente insolito, soprattutto se non ci si è abituati. Il discorso è semplice, loro ti riconoscono perché ti vedono in tv e tu non hai minimamente idea di chi siano, il rapporto è quindi impari ma genera momenti davvero brillanti. E così mi sono ritrovato a parlare, a stringere mani, a fare qualche foto, a spiegare un po’di aspetti alle persone che si avvicinavano dicendomi all’improvviso: “Hi Matteo! How are you?”

Terminato questo momento di semi e pseudo popolarità con i nostri spettatori, siamo entrati e noi della tv abbiamo occupato la prima fila. Per la prima volta in vita mia ho visto un concerto in pole position e devo dire che è tutto un altro spettacolo. Anche se si è del tutto distaccati dall’evento si finisce per essere coinvolti, la vicinanza con gli artisti e il contatto così diretto con il palco scatenano una partecipazione diversa.

Lo show è durato due ore e mentre mi domandavo cosa avesse fatto l’Inter contro l’Udinese ogni 10 minuti, mi sono gustato questo mix di musiche, balli e canti. Belli. Veramente belli, soprattutto le danze, questo tacco e punta celtico veloce come un Samba e simile al gioco di piedi del Flamenco mi ha davvero affascinato mentre le melodie mi riportavano ai pub di Dublino e a Carroll’s e mi sentivo più vicino a casa, ripetendomi che presto voglio tornare nella capitale irlandese.

Il concerto si è concluso ad un punto con 23 persone sul palco, 3 generazioni di Leahys che suonavano assieme, nonni, figli e nipoti, un tripudio di musica e legami familiari che mi hanno affascinato e che hanno chiuso al meglio una serata speciale.

(Continua)

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Quel momento in cui sei davvero solo

Una cosa che mi manca dell’università sono certamente gli esami. La prendo molto alla larga ma è giustissimo partire da questa affermazione per arrivare via via al punto finale. A distanza di anni, fra le tante cose che rimpiango di quei tempi ci sono proprio gli esami e la sessione tutta intera, quel determinato particolare dell’anno che si snodava fra il freddo di gennaio-febbraio, il caldo di giugno-luglio e gli ultimi bagliori estivi di settembre.

Ogni volta che sento ancora oggi persone lamentarsi degli esami, o si preoccupano per questi, o ancor di più entrano in un tunnel di stress per l’angoscia e lo studio, penso senza mezzi termini che siano degli stronzi. Anzi, dei grandissimi stronzi.

Adoravo letteralmente quell’atmosfera, quando le chiacchiere delle lezioni lasciavano il campo ai fatti, al banco di prova. A me piaceva da morire quel momento. Quando le giornate erano cadenzate da altri ritmi, da una data che si avvicinava e dalle pagine del libro che diminuivano, fra un riassunto e una sottolineatura. La biblioteca, qualche confronto con gli amici sui temi e le domande possibili, quel micro-cosmo che ciclicamente tornava.

A me gli esami non hanno mai fatto paura. Dopo aver passato glottologia la seconda volta, la mia storia universitaria è cambiata, e di fondo non mi sono mai più fermato. Per me era fantastica la sera prima, quella vigilia, quell’eccitazione di andarsela a giocare, il gusto del duello e del faccia a faccia. Io contro di te. Molti volevano evitare di fare gli esami davanti a tante persone, a me caricava. Avere dietro 50-60 persone che stavano lì a vedere la vittima di turno era a livello adrenalinico un contributo fondamentale. Sono sempre stato uno di quelli che ha vissuto l’università a modo proprio, in modo viscerale ma con grande divertimento e spensieratezza e ancora oggi, presumo che molti pagherebbero per aver vissuto quegli anni con lo stesso fomento e la mia medesima serenità.

Il momento dell’esame era quello in cui finalmente si metteva tutto sul tavolo. Dentro o fuori, one shot one kill, un giro alla roulette con gli ultimi spicci. E andarmi a giocare tutto mi esaltava in modo indescrivibile. In realtà, quel momento prima, quegli attimi prima di prendere il posto di chi mi aveva preceduto era un passaggio magnifico. Se fino a pochi secondi prima ero in fondo a scherzare, all’improvviso mi isolavo dal mondo totalmente e allo stesso modo entravo in quella solitudine che avverti in certe occasioni. Quando sai che tocca a te e sei veramente da solo, un’altra sensazione che mi scuoteva tremendamente e che mi faceva impazzire per ciò che mi trasmetteva.

Tutto questo ormai non c’è più, ma le esperienze mi hanno fatto scoprire con mia grande gioia che un momento molto simile a quello degli esami è l’attimo prima di andare in onda, poco prima che la telecamera si accende e te la devi cavare da solo. Senza l’aiuto di nessuno. Sei tu e basta.

A distanza di due anni e mezzo, è capitato nuovamente ieri e come la prima volta, nel luglio del 2012, le emozioni sono state esattamente le stesse. E più mi chiedevano se fossi agitato e più rispondevo di no, e fino a pochi secondi prima di andare in studio stavo sbragato sulla mia sedia scrivendo a David, un messaggio “particolarmente” rilassato e dal contenuto vietato ai minori, uno di quelli che non manderebbe uno preoccupato o in procinto di fare il suo nuovo debutto televisivo.

Dentro lo studio, ad un punto, ho premuto il mio pulsante interiore e come capitava prima degli esami mi sono trasformato. In tre secondi mi sono isolato dal pianeta Terra, ho trovato la massima concentrazione, mi sono seduto e sono partito. Lucetta rossa accesa e via.

Solo, dannatamente solo. Come capita al calciatore quando percorre quei 40 metri per andare da metà campo al dischetto del rigore, come un qualunque artista prima di un concerto o di salire su un palco, quando il limite di sbagliare e di fare la figuraccia davanti a tutti ti aumenta le pulsazioni e quando sai che sei tu con migliaia di occhi puntati addossi.

Un po’ come quando li avevi dietro, che ti guardavano le spalle e volevano capire la domanda del professore, quei momenti lì insomma, quelli in cui me la devo sbrigare per conto mio e posso fare affidamento solo su me stesso, quegli attimi che mi stimolano da morire e per cui ti svegli la mattina con una voglia diversa.

 

Era il post numero 999. Per il millesimo dovrete aspettare un po’, mi dispiace ma non dipende da me. Di certo, a mio avviso, ne vale la pena. Intanto, vi auguro già buona Pasqua con ampio anticipo e vi lascio con questo video… 

Il sensazionalismo del dolore

Più ci penso e più non riesco a capire. Non comprendo assolutamente come sia possibile essere così coinvolti da certe storie, come si possa prestare una tale attenzione ed uno smisurato interesse in qualcosa di palesemente orrendo. Da anni mi batto per l’inutilità di certa cronaca nera strombazzata ai quattro venti quasi con piacere, gridata e inflazionata oltre ogni dose di decenza, ma con il passare del tempo invece, mi rendo conto di come piaccia questo carrozzone di drammi e sventure, tanto interpreti e luoghi sono solo dettagli.

L’ultimo episodio relativo al povero Loris (che la terra gli sia lieve, povero bimbo) è l’ennesimo esempio di escalation di dettagli macabri, di una giostra che parte a fatto compiuto e per mesi non si ferma più. Onestamente, e lo dico davvero con la massima trasparenza, a me non frega nulla di questa storia. Non mi interessa sapere se è stata la madre, la nonna, la sorella, il padre o i genitori insieme, non mi cattura l’idea di alzare il volume della tv durante il servizio inerente a questo dramma per carpirne le ultime novità. Il problema è che sono uno dei pochi visto che come in ogni delitto macabro e inspiegabile, c’è un popolo con un gusto evidentemente perverso che si disseta attraverso certe notizie. La sensazione è che queste persone aspettino sempre qualche retroscena più grave, che per tenere alto il livello di attenzione si debba sparare qualcosa di gigantesco e cercare un esasperato e affannoso sensazionalismo. A me questo rincorrersi di scoop ed esclusive fa veramente schifo. Trovo rivoltante chi ci costruisce trasmissioni intere intorno, così come reputo abominevole chi ci specula, quel giornalismo da quattro soldi che non ha nulla a che vedere con quello “d’assalto”.

Questo teatrino è ormai sempre più vivo e luccicante nel nostro nuovo modo di farci trascinare in certe situazioni, e conferma la tendenza italiota di seguire pedissequamente i delitti più scabrosi, vigliacchi e sporchi. Siamo sempre più un popolo (parlo al plurale ma non faccio parte di questa schiera) che ha perso il buon senso e il buon gusto, il video drammatico della morte di Mango gira sul web, siti e blog lo hanno condiviso mentre la gente ne è attratta in un modo lontano da ogni logica. Questa spettacolarizzazione del dolore, il non rispetto, il “fascino” del macabro sono aspetti che rigetto con tutta la forza che ho e se la giustificazione è per curiosità, francamente non so proprio che dirvi.

Esiste il rispetto, sì, esiste ancora per quanto forse abbiate deciso di farne a meno, dovrebbe esserci quel pizzico di moralità che se ti propongono qualcosa di osceno sarebbe opportuno dire “No, grazie”, invece si viene attirati in questa rete vergognosa.

Ho letto e sentito di questo video ma non mi è passato minimamente per la testa di cercarlo. Non ne vedo il motivo, non ne capisco il senso. Devo vedere per caso come muore una persona in diretta e in modo inaspettato? Devo osservare da un cellulare come termina la vita di un cantante sul palco? Cosa devo guardare?

Ditemelo voi, perché io non sarò mai come voi.

“Giornalista terrorista”: nella casa del Grande Fratello

Avvertenze: il post che andrete a leggere potrebbe urtare la sensibilità di quei bacchettoni, moralisti, perbenisti e stolti che giudicano senza sapere e valutano le persone in base a ciò che vedono in tv. Se appartenete a queste categorie, il seguente contenuto non fa per voi.

 

Ieri sono andato a visitare la Casa del Grande Fratello. Per essere più preciso, nel pomeriggio di martedì ho ottenuto l’accredito per recarmi a Cinecittà, visitare l’abitazione più spiata d’Italia e scrivere successivamente il pezzo a tal riguardo. L’ufficio stampa (di Cinecittà, ci tengono a sottolinearlo e poi capirete perché) è stato cortese e disponibile, e così ho unito la curiosità al mestiere e sono andato risparmiando pure i 12 euro del biglietto, soldi che onestamente non avrei mai tirato fuori per una tour del genere.

Ho seguito il GF fin dalla sua prima storica edizione di tariconiana memoria e negli anni ho continuato a vederlo. Mi è sempre piaciuto il suo essere un esperimento sociologico (per quanto possiate essere dei detrattori, lo è) e sono sempre stato interessato alle dinamiche e ai rapporti che si creano in questo gioco. Non è tv trash, forse lo può essere, ma c’è di peggio. Non mi piace chi condanna a priori perché il Grande Fratello rimane l’unico vero reality, perché le telecamere ti inseguono e non si spengono mai, recitare non è possibile, nemmeno Johnny Depp potrebbe recitare 100 giorni di fila, io sostengo che questo programma sia molto più interessante di quanto possa sembrare. Sono opinioni, certo, rispetto altri punti di vista, tollero meno chi spara contro a prescindere. Bene, fatto questo doveroso preambolo, torniamo a ieri quando dopo aver parcheggiato la mia macchina e ritirato l’accredito giungo di fronte alla famigerata porta rossa. Mi imbatto in due della Security ai quali chiedo se c’era una specie di guida o qualcuno a cui chiedere delle informazioni essendo lì in qualità di giornalista per scrivere un articolo. Uno dei due mi dice che non c’era nessuno, eccetto Greta, ex inquilina della casa con la quale si poteva parlare tranquillamente e fare anche delle domande. Intercetto la ragazza, tanto bella quanto disponibile (e vi garantisco che è stato molto gentile…) e le chiedo l’assenso per un paio di domande da fare poco dopo. Greta mi dà il suo ok, entro in casa e mi immergo in questo luogo particolarmente bello dal punto di vista dell’arredamento, spazioso e colorato. Fa uno strano effetto entrare in un posto visto tante volte in tv anche se ho avuto la sensazione che il tutto fosse più piccolo di quanto uno possa immaginare, ma si sa, la televisione ingrassa e allarga.

Mi godo il giretto con tanto di puntata nel confessionale, luogo cult della trasmissione, fin quando mi avvicino nuovamente e Greta. Anticipandole le mie intenzioni per nulla bellicose, e chiarendo di non voler essere il “Barbara D’Urso” della situazione, le chiedo le prime cose mentre intorno a noi, tutti i visitatori, si bloccano per guardarci ed ascoltare l’intervista che appunto sul mio taccuino. All’improvviso mi si avvicina uno della Security, non uno di quelli in cui mi ero imbattuto all’inizio, e mi chiede se ero un giornalista, rispondo di sì, gli spiego che ho l’accredito, lui fa un cenno e sbuca da un angolo (e quindi dalle sue spalle) una signora. Quest’ultima mi ferma, blocca l’intervista e chiede i miei estremi, le dico dell’accredito e le mi risponde che io non avevo contattato loro e quindi non potevo chiedere nulla a Greta. E’ una della produzione Endemol, coloro che gestiscono ancora i protagonisti del GF, mi dice che loro devono controllare tutto, ogni tipo di dichiarazione rilasciata alla stampa e affinché i “gieffini” possano parlare mi dice che è necessario il loro assenso previo contatto con l’ufficio stampa Endemol.

Finita la piazzata, evidentemente fuori luogo e del tutto evitabile, ci spostiamo in cucina in cui prosegue la discussione, anche perché iniziano a girarmi i coglioni, soprattutto per i modi, e spiego la mia posizione dicendo di aver chiesto il permesso tanto a uno della Security, quanto alla protagonista stessa che avrebbe allora potuto dirmi: “Ok, mi dispiace ma con voi della stampa non posso parlare”. Mostrando la mia innocenza e il non voler prevaricare niente e nessuno, le lascio anche il foglio con i tre appunti dell’intervista appena iniziata, come se non fossi in grado di ricordare a mente quanto ascoltato e scriverlo in seguito. Lei mi consegna il contatto di Endemol per organizzare eventualmente l’intervista, io rimango infastidito e basito da queste esagerate misure restrittive e dopo aver salutato affettuosamente la gentilissima Greta alla quale spiego tutto ,me ne vado. Prima però, nei pressi della porta rossa, incrocio quello della Security che mi aveva chiesto se ero un giornalista e che aveva chiamato anche quella della produzione. Lo fermo e gli chiedo che per quanto lui debba fare il suo lavoro, io mi ero spinto nel fare due domande alla ragazza perché uno dei suoi dipendenti mi aveva dato l’ok. Infastidito comunque della sua “imboscata” lo saluto, ricordandogli che sarebbe opportuno talvolta avere un pizzico di buon senso e flessibilità, aspetti che ho invocato anche con la intransigente signora poco prima.

Questo è quanto avvenuto ieri. Le considerazioni che si possono fare sono molte, in primis che il giornalista viene visto sempre più come elemento di fastidio, uno da tenere a bada, questo però è il risultato ovvio di quando ci sono molti che campano con scoop, con frasi estorte, illazioni, provocazioni, parole strumentalizzate, persone che non sanno minimamente cosa sia l’etica. Internet ha permesso a tutti di issarsi a giornalisti e questo ha generato pennivendoli, giornalai, incompetenti che dopo aver scritto mezza cosa si elevano a maestri dell’informazione. Ecco, così non ci siamo, per cui il generalizzare questa professione ha creato un’attenzione e una diffidenza verso la stampa infinita. Se avessi parlato con Greta senza taccuino e presentandomi solo a lei privatamente avrei fatto la mia intervista, così come possono dire di aver fatto i tanti visitatori con cui l’ex inquilina ha parlato liberamente. Mi pare tutto platealmente esagerato, vincoli, scrupoli e quel senso di voler far polemica sempre e in maniera inutile, ma succede anche questo, una scenata evitabile che ha rafforzato l’equazione “giornalista terrorista” che va molto di moda…