Faccio parlare lui…

Scelgo le parole di Nick Hornby, non mi esprimo su ieri sera, preferisco non farlo. La prendo con il sorriso e mi affido al paragrafo conclusivo di Febbre a 90°, in fondo ha talmente tante analogie che basta e avanza per raccontare il mio pensiero attuale, basta sostituire certi nomi con Inter e il gioco è fatto.

 

 

…Quel che è successo è ben più inquietante: ho cominciato a provare gusto nella sofferenza che il calcio procura. Aspetto con ansia nuovi campionati, puntate a Wembley e vittorie all’ultimo minuto contro il Tottenham a White Hart Lane, è chiaro, e quando arriveranno impazzirò come tutti gli altri. Ma non subito, non ancora. Voglio rinviare il piacere.

Ho avuto freddo e mi sono annoiato e sono stato infelice per così tanto tempo che quando l’Arsenal gioca bene ho un leggero ma inconfondibile senso di disorientamento, anche se non dovrei preoccuparmene.

…Così, man mano che la stagione cominciava a sgretolarsi, che Highbury tornava a essere un luogo per giocatori insoddisfatti e tifosi infelici, e il futuro assumeva un’aria così cupa che era impossibile ricordare perché mai l’avevamo visto così luminoso, cominciai di nuovo a sentirmi a mio agio.

Il grande crollo del 1992 aveva una sorta di attrazione magica. Quella con il Wrexham fu una geniale e autentica ripetizione della disfatta con lo Swindon, sufficientemente umiliante da farmi rivivere il trauma infantile.

Contro l’Aston Villa, una settimana dopo il Wrexham, mi balenò davanti agli occhi tutta la mia vita. Un pareggio 0-0, contro una squadra da niente, in una partita insignificante, di fronte a un pubblico insofferente, di tanto in tanto arrabbiato ma più che altro stancamente tollerante, nel freddo gelido di gennaio…

L’unica cosa che mancava era Ian Ure che inciampa su se stesso, e mio papà, che continua a mugugnarmi accanto.