39 km sopra il cielo

spazio, record, imprese, baumgartnerIn una domenica senza campionato, all’improvviso e finalmente (considerando già i tentativi provati in settimana) Felix Baumgartner è entrato nella storia e nei record mondiali.

Il paracadutista-astronauta austriaco si è gettato in caduta libera da 39 km lasciando tutti con il fiato sospeso per l’intera durata del suo volo, quasi 5 minuti. L’impresa fantastica ha stabilito nuovi primati (velocità, altezza del lancio, durata della caduta) ma soprattutto mi ha emozionato tantissimo.

Vedere un uomo che si affaccia da una capsula, scorge il mondo lontano e sotto di se, fa un cenno con la mano e si butta così, in mezzo al nulla, mi ha veramente affascinato. Eccezionale la diretta su Italia 2 Mediaset poiché ha permesso di vedere e seguire tutti i preparativi perfettamente: la capsula che saliva, le conversazione fra Baumgartner e la sala operativa (in particolare Joe Kittinger, il suo predecessore in questa prova) ed infine il momento del lancio.

Non lo so, ma l’avvenimento mi ha rapito completamente, ho provato ad immaginare quanto mi sarei potuto entusiasmare se nel 1969 avessi assistito allo sbarco sulla Luna. Ieri ho vissuto questo momento storico, una prova nella quale un uomo ha superato la velocità del suono buttandosi da 39 km in caduta libera.

Le immagini alternavano a Baumgartner lo sguardo attento ed impaurito dei genitori e della ragazza dell’austriaco, ed io ero in ansia per loro, tentavo di immaginare cosa può pensare una madre che vede il proprio figlio andare nello spazio e poi buttarsi.

Coinvolgente ed emozionate, spettacolare anche il momento dell’atterraggio: Baumgartner è sceso serenamente poggiando i piedi in mezzo ad una distesa infinita con la tranquillità di chi è appena andato a comprarsi il giornale.

Nella discesa c’è stato anche un momento di paura: superati i 1100 km/h Baumgarntenr ha infatti iniziato a roteare in modo imprevisto, come se avesse perso i sensi, la comunicazione interrotta per qualche secondo ha aggiunto suspense prima che il paracadutista riprendesse a parlare fra gli applausi della sala di comando.

E’ stato un pomeriggio di grandi brividi, un pomeriggio in cui anche il buon Moccia è stato definitivamente superato: i suoi 3 metri sopra al cielo non sono più nulla se paragonati ai 39 km di Baumgartner.

L’importanza della Pennichella

Sono tanti i piaceri della vita: mangiare, bere, dormire, leggere, vedere un film, fare sesso, stare su Facebook (una nuova indagine ha evidenziato come il richiamo di aggiornare il proprio status sui social network sia più forte che quello sessuale) ma per me, la pennichella, stravince su ogni cosa al mondo.

Ho sempre avuto un rapporto tortuoso con il sonno, fin da quando ero piccolo. Non sono mai stato un dormiglione, non mi sono mai alzato la domenica mentre finiva il TG delle 13, ma la pennichella dopo pranzo è un vezzo che spesso mi sono potuto concedere.

Lo scorso anno, durante una conversazione piuttosto bizzarra con Paolo all’università, teorizzavamo su come la possibilità di dormire dopo pranzo fosse un segno di distinzione. Se puoi permetterti un lusso del genere sei padrone del tuo tempo, e quindi, proprietario della tua vita. Sicuramente non tutti possono fare una cosa del genere, io durante gli anni del liceo a volte venivo risucchiato nella tentazione del sonnellino verso le 14.30. Mi alzavo la mattina alle 6.10 e dopo pranzo ero già cotto dal sonno.

Spesso però la pennichella pomeridiana mi ritardava il sonno serale, mi addormentavo quasi a notte fonda, la mattina mi svegliavo prestissimo con troppe poche ore di sonno e in classe ero un zombie. Ovviamente, come in tutte le cose, il riposino pomeridiano deve essere dosato, altrimenti si entra in un circolo (tipo il mio) dal quale se ne esce con parecchie difficoltà.

Sono uno che dorme il giusto, fatico sempre un po’ prima di prendere sonno, e soprattutto sono nella top five delle persone in grado di rimanere sveglie e vigili per ore senza crollare se la notte prima ho dormito decentemente. Il mio record rimane quello dell’agosto 2010 quando rimasi sveglio ininterrottamente per 37 ore di ritorno da Montecarlo.

Tornando alla pennichella, la mia preferita si svolge sulla mia veranda in primavera: temperatura tiepida, pochi rumori e nessuno che gira per casa. Se ci sono queste tre condizioni dormo meravigliosamente e non proprio mezz’ora. Oggi ad esempio, dopo pranzo, mi sono allungato e mi sono svegliato dopo due ore di sonno intenso. Ho recuperato dalla sveglia mattutina, alle 7.20 ero in piedi senza motivo, di domenica poi, è quasi un reato.

Pennichella, riposino, sonnellino, nap come dicono gli inglesi, il gusto di accasciarmi sul letto (io riesco a dormire solo su un letto, mai durante un viaggio, e su nessun mezzo) lo annovero tra le cose più strabilianti e piacevoli che si possano fare.

 

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Tutta una serie di cose

Volevo scrivere un post intitolato Stessa storia, stesso posto, stesso bar, ma alla fine questo breve testo è diventato una mail che ho inviato a David ieri pomeriggio. Ho desistito dal mio intento perché non volevo nuovamente scrivere qualcosa dal sapore di “Amarcord”. Per la stessa ragione, stamattina, ho deciso di non scriverne uno sulla serata di ieri, un mini raduno con i compagni delle scuole medie tra una caraffa di Mojito e l’altra in quel di San Lorenzo.

Ero quasi sicuro e mi stavo accingendo a buttare giù due righe sugli effetti terapeutici che emana la vittoria di un derby, ma poi ho pensato che due post consecutivi praticamente con lo stesso tema non erano opportuni.

In tutto ciò, martedì ho sostenuto un colloquio importante. Alla fine ho preferito rinunciare, non è scattata la scintilla che immaginavo. Forse è un’occasione persa, uno di quei treni sui quali devi salire a prescindere, correndo il rischio anche che ti rimanga un lembo della giacca fra le porte mentre si chiudono. Sono andato a sensazioni, a istinto, quel sesto senso che mi ha sempre guidato non facendomi sbagliare sulle cose importanti. Spero e credo che possa essere così anche stavolta.

Non sono ancora pronto a scrivere un post sulle sciagure che si stanno abbattendo sulla mia famiglia in senso allargato. L’ultima notizia della scorsa settimana riguardante mio cugino di 2° grado Luca ancora non mi molla. Se penso a cosa dovrà andare incontro in futuro, posso disperarmi e basta.

In compenso ho iniziato a leggere The road to Wigan Pier di Orwell. Nel 2009 conobbi questo straordinario personaggio durante il corso di Storia della Gran Bretagna. Il professore (colui che poi sarebbe diventato il mio relatore nelle 2 lauree) ebbe la capacità di farmi appassionare a questo nazionalista inglese, dall’impronta socialista che combatté nella Guerra Civile di Spagna per il P.O.U.M. 

Nel titolo The road to Wigan Pier si snoda un sottile gioco di parole, un modo di dire che divenne il mio slogan dell’estate 2009, quella della prima stesura della tesi.

Lunedì ho iniziato a leggerlo in inglese. Una sfida in più che mi intriga.

In conclusione, la questione che mi sono posto in settimana è la differenza sottile ma netta che divide l’accontentarsi dal saper apprezzare ciò che si ha e ciò che si è ottenuto.

Forse a qualcuno, a volte, sfugge.

E’ nostro, è tuo.

Ma sì, alla fine, in piena trance da derby, la contenutissima esultanza di Stramaccioni mi ha esaltato. Quel “E’ vostro, è vostro!” gridato sotto la curva da sanguigno ragazzotto romano mi è piaciuto, e quello forse, è veramente l’unico punto in comune con l’Altissimo al quale ultimamente è stato spesso accostato in maniera ingiustificata. Strama come Mou mi sembra un bel fomenta-popolo

Vinciamo il terzo derby di fila, e siamo a quota 9 negli ultimi 13, per Samuel invece, un record assoluto: dieci stracittadine disputate e dieci vittorie, tra cui quello di ieri in cui si è tolto lo sfizio di innalzarsi a match winner.

Veniamo al dunque, perché voi milanisti stanotte non avrete dormito ripensando a Valeri da Roma e ai suoi mille torti arbitrali finalizzati al successo interista. Il fallo di Emanuelson su Handanovic non c’era, ma non si può parlare di gol annullato dal momento in cui l’arbitro fischia mentre Montolivo impatta il pallone, la palla entra in porta a gioco fermo, quindi non c’è tanto da dire.

Juan Jesus meritava il secondo giallo, Nagatomo è stato espulso giustamente (sulla prima ammonizione non sono sicurissimo) ma il rigore su Robinho non c’era assolutamente.

Detto questo, il Milan si è palesato nella sua mostruosa pochezza: con la superiorità numerica, con un’Inter poco brillante e che ha smesso di giocare al settimo del primo tempo, i rossoneri non sono riusciti a fare nulla se non buttare qualche palla in area e tirare ripetutamente da fuori.

È senza dubbio il Milan più scarso che io ricordi, non vincere ieri sarebbe stato un crimine, noi ci abbiamo provato regalandogli un uomo e non attaccando mai nella prima frazione.

Sono contentissimo per il successo e soprattutto per Allegri che a inizio partita (prima della punizione del gol) ha mancato di rispetto al Capitano, mi dispiace invece per Bojan che a fine gara aveva lo sguardo puerile del ragazzo intimorito che pensava: “Ho fatto tardi, non ho finito i compiti, abbiamo perso e domani in prima ora ho pure la verifica di algebra, che palle”.

Da sottolineare il boato della Curva Nord all’ingresso di Abate, uno dei nostri uomini derby, ieri la sua assenza è stata pesantissima nel nostro gioco offensivo, Milito infatti era del tutto spaesato.

È stato un brutto derby, ma ancora più bello da vincere, un derby fotocopia di quello del novembre 2010: squadra ospite in vantaggio subito (il Milan al quarto minuto), gara bloccata, espulsione a inizio secondo tempo dell’esterno destro (Abate fu cacciato), squadra in superiorità numerica e in svantaggio incapace di trovare il pari (quell’Inter fece pochissimo e perse).

Abbiamo vinto, loro hanno perso, siamo rimasti attaccati al gruppo di testa mentre loro stanno così in basso in classifica che tra un po’ cadranno dalla televisione.

Che bel lunedì mattina che mi ha regalato Walterino mio…

 

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