Pezzi di carta

Ho un piccolo cassetto nel salone, un cassetto sotto un mobile che di fondo serve per tenere una cornice ed un altro oggetto. Ieri, all’improvviso, ho voluto aprire questo cassetto, un gesto che non facevo da anni perché lì dentro non c’è nulla ma soprattutto perché è scomodo da aprire, quando lo tiri verso di te, c’è un punto in cui si blocca quasi del tutto. Senza ragioni specifiche mi sono intestardito nella mia azione e alla fine ho aperto il cassetto scovando dentro un ricordo d’infanzia.

Ho rinvenuto dei pezzi di carta, delle sagome a forma di calciatori in divisa rosso blù, un flash inatteso che mi ha riportato a più di 15 anni fa. Mentre prendevo un giocatore per volta e leggevo i nomi dietro le loro maglie, sono riaffiorati dei frammenti di memoria, di attimi trascorsi fra la spensieratezza ed il divertimento. Essere figlio unico, per me, è stata una cosa molto importante, ho imparato a giocare con niente, a passare il tempo con la fantasia. Il fatto di non avere dei fratelli o dei cugini della mia età ha permesso che il mio ingegno si affinasse, che la mia curiosità trovasse sbocchi insoliti. Tuttora penso che questi aspetti siano stati formativi, se anche oggi quando sto per conto mio non mi annoio mai, è una conseguenza di certe situazioni del passato.

Ho ritrovato così questa fantomatica squadra: 12 giocatori, i titolari più il portiere di riserva e l’ho voluta rivedere anche disposta in campo. L’avevo inventata e disegnata per giocarci sul pavimento di casa di mia nonna, dei pezzi di carta che avrebbero affrontato qualche altro fantasioso avversario vincendo sicuramente, dopo aver trasformato le zampe del mobile nei pali di una porta immaginaria.

Ho sempre avuto fantasia e l’indole di arrangiarmi, di divertirmi anche con poco, se poi riuscivo ad inserire il calcio in qualche modo, il risultato sarebbe stato certamente assicurato.

Detto questo, vi elenco i miei 11 eroi disegnati su carta a quadretti:

1 Roter, 2 Billy (ispirato al soprannome di Costacurta), 3 Frasisco (terzino biondo sudamericano, simile a Alessandro Orlando), 4 Giulian (il perno della squadra, nome ispirato a Giulian Ross il fenomeno malato di Holly e Benji), 5 Tiraivk, 6 Olbik (disegnato da mio padre),  7 Fuding (il sosia di Alessio Pirri, tornante della Cremonese 94-95), 8 Izzij (disegnato da mio padre, un nome impossibile da decifrare per le origini), 9 Bulganiz (l’idolo della squadra, il bomber fenomenale, un po’ Alan Sutter come aspetto estetico), 10 Frish (la fantasia al potere, il clone di Zola), 11 Bichlel (attaccante giovane giunto dall’Est). Portiere di riserva il numero 12 Stilik (nome ispirato a Stielike, difensore arcigno della Germania Ovest anni 80’).

Questi erano i giocatori, passandoli in rassegna ieri ho ricordato le loro storie immediatamente, come se ci avessi giocato la sera precedente, prima di metterli nel cassetto per quasi due decenni.

 

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“Colloquiando”

Tornato a Roma, subito un colloquio ad attendermi, quello per uno stage in comunicazione al Ministero dello Sviluppo Economico. Stupito dalla rapidità e dall’intraprendenza con cui mi avevano contattato, martedì mattina mi sono recato nei pressi di Via Sallustiana, a due passi da Via Veneto. Il colloquio è durato molto, è stato positivo, uno di quelli in cui percepisci sensazioni buone e margini per chiudere la situazione. Sono uscito dal Ministero fiducioso, con le stesse idee del 2 maggio, dopo il colloquio alla redazione.

E proprio lì sono voluto passare al ritorno, ho allungato il tragitto e da Barberini sono tornato a Termini prima di dirigermi verso l’Eur, volevo andare a salutare i miei ex colleghi. È stato bello tornare, dopo due mesi ho ritrovato lo stesso clima, ma soprattutto sono stato accolto bene e calorosamente. Ho incontrato e salutato tutti, con alcuni ho avuto più tempo per parlare ma alla fine è stato gratificante essere riabbracciato in un certo modo, a testimonianza che in quei 3 mesi ho lasciato qualcosa di me e questa è sempre una bella conquista.

Ieri invece sono passato a salutare il mio penultimo posto di lavoro, quello stupendo ufficio dell’Università, anche lì abbracci, saluti e tante confidenze sui movimenti poco chiari che continuano ad avvenire nella facoltà.

In 48 ore ho riannodato il filo con il mio recente passato, senza malinconie particolari ma con il piacere di rivedere volti che hanno significato molto fino a poco tempo fa.

Uscito dall’Ufficio Eventi mi sono connesso per controllare la risposta del Ministero e ho appreso che avevano scelto un altro candidato, una notizia sorprendente considerando come erano andate le cose.

Non ci sono rimasto male, lo dico sinceramente, pensavo di avere buone chance ma è andata così, niente drammi fa parte del mondo del lavoro, anzi, mentre tornavo a casa mi sentivo un po’ Stefano Accorsi in Santa Maradona, con la tristezza dell’esito negativo del colloquio già sopraffatta dal piacere di riposarsi ancora.

A settembre ho fatto due viaggi e due colloqui, i primi sono andati splendidamente, gli altri due meno, uno per scelta, l’altro per volere altrui, ma alla fine della storia sono contento che il bilancio sia questo, presto ci sarà un’altra occasione, magari anche migliore.

Annotazioni di viaggio – Budapest

Meglio di Praga, meno bella di Vienna. Si può definire così a mio avviso Budapest, una città che mi è piaciuta per tanti aspetti, un luogo che regala scorci suggestivi ed angoli affascinanti. Capitale sì, ma in modo composto e sereno, senza frenesie e ritmi esasperati, una città che sa attrarre il visitatore senza tritarlo nei propri meccanismi. Ho apprezzato di più Pest, la parte commerciale e movimentata, quella del Parlamento e di Santo Stefano; Buda è caratteristica per la Cittadella, il Bastione dei Pescatori ed il Palazzo Imperiale, una delle sorprese più piacevoli del viaggio.

Come a Parigi, il tempo ci ha dato una mano, la salute anche e così non abbiamo dovuto fare altro che lasciarci trascinare dalle nostre mete.

Abbiamo camminato tantissimo, percorso kilometri senza troppe lamentele, ho riscoperto dopo tempo quanto sia faticoso fare il viaggiatore, quello che vuole assaporare tutto il possibile della città in cui va.

Ho avuto una spalla autorevole, mio padre è stato un ottimo compagno di avventura: sagace, simpatico poliglotta, entusiasta. Abbiamo vissuto il doppio soggiorno in serenità, concordando su tutto. Alla fine, credo proprio che questa intesa sia stata la base fondamentale per rendere le vacanze di alto livello.

A rendere i quattro giorni ungheresi ancora più bizzarri c’è stato l’incontro con Rocco Siffredi e la sua allegra famiglia al ristorante il Terzo Cerchio di Duhany, un incrocio imprevisto e divertente.

Rispetto a Parigi, questa volta l’hotel, o meglio, il monolocale, si è rivelato al di sopra delle aspettative consegnandoci un rapporto qualità-prezzo indiscutibile che ha di conseguenza abbassato i costi del secondo viaggio: tutti e due abbiamo speso 235 euro complessivi per volo + hotel 3 notti, un affare.

C’è poco altro da aggiungere, se non la consapevolezza che sono stati due bei viaggi, di cui abbiamo tante foto e la forte sensazione che saranno dei meravigliosi ricordi fra un po’ di tempo.

Mio padre è stato a Budapest 19 volte, io solo una, non credo che supererò mai il suo punteggio ma sono convinto che tornerò anche qui e per questo che dico arrivederci pure a Budapest.

 

Búcsú Magyarország

 

 

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Live from Budapest/3

La cosa paradossale, che di fondo conferma ciò che dicevo ieri sugli spagnoli, l’ho vissuta stamattina per entrare alla Sinagoga di Budapest, la più grande d’Europa. Dove aver acquistato il ticket, la cassiera mi ha chiesto se ero spagnolo per la guida, io cortesemente le ho risposto di no, specificando la  mia nazionalità. Una volta accadeva il contrario, agli spagnoli chiedevano se erano italiani, ora no, s’è capovolto tutto e questo perché gli amici iberici sono ovunque, ci hanno sostituito.

Mi è piaciuto molto il giro in Sinagoga, il museo ebraico e il parco della memoria, più tardi sono andato alla chiesa di Santo Stefano, a mio avviso splendida.

Mio padre stamattina si è recato in un cimitero qui vicino Budapest per andare a visitare la tomba di un suo amico e così sono rimasto solo, una condizione che mi ha spinto ad entrare anche in uno dei tanti casinò. Ho perso 3.60 euro alla roulette, fregato dalle indicazioni in inglese che non mi ha permesso di entrare in gioco come piace a me. Ho puntato solo sul colore, un tipo di scommessa che alla lunga è poco emozionante. A breve mi ricongiungo con papà, dopo vedremo il da farsi: palazzo imperiale o cittadella. Tutto questo prima di tornare al delizioso ristorante italiano di ieri sera in cui andremo nuovamente poiché trasmetteranno l’Inter, e quando chiama il Biscione non c’è tempo, distanza, fusorario o impedimento che tenga.

Il clima non è ottimo: fa freddo, 17 gradi più o meno, un po’ di vento e cielo coperto, in compenso, non piove più da stanotte, sembra di essere a Piccadilly Circus e non ad Oktogon.

 

Vi saluto, buona serata da Budapest!