Il Tour dei Balcani: direzione Mostar

Quasi subito capisco che Mostar non sarà raggiunta in quattro ore visto l’itinerario del pullman che punta verso sud, verso Dubrovnik, per risalire in seguito e dirigersi in Bosnia. Il paragone che mi viene è il seguente: è come se volessi andare a Perugia passando per Napoli costeggiando il mare, una roba folle, ma questo è ciò che accade. Vedo angoli magnifici, ci aggrovigliamo intorno ai monti, e a picco, sotto di noi, c’è un azzurro magnetico. Arriviamo a Ploce e finalmente prendiamo la strada per Mostar, ma durante una sosta nella campagna sperduta croata con il wi-fi riesco a chiamare casa. Qui c’è linea free ovunque, anche in mezzo al nulla. Rimango stupito e mi rendo conto di quanto noi siamo indietro, anche su discorsi che per gli altri sono ormai scontati. Costeggiamo fiumi, laghi, bacini idrici che non si capisce cosa siano, vedo acqua ovunque, in un paesaggio davvero strabiliante: verde e azzurro, in progressione rapida. Mi domando cosa ci facciano con tutta questa acqua, non penso ci possano coltivare solo angurie visto che in alcuni punti ci sono più chioschi con i cocomeri che persone.

Dopo quasi tre ore di musica folk slava, una condanna che farebbe perdere la pazienza anche a Don Mazzi, inizio a dialogare con i miei nuovi compagni di viaggio, due ragazzi bosniaci che rientrano dalle vacanze in Croazia e sono diretti a Sarajevo. Parliamo amabilmente, fin quando gli chiedo della dogana e mi confermano che il passaporto sarà chiesto certamente. Lasciamo la Republika Hrvatska e superiamo il confine, alla frontiera ci bloccano. Sale un poliziotto croato e gli dico che sto scendendo per prendere il mio passaporto che ho lasciato in valigia. Ho commesso una leggerezza, è vero, una stupidaggine, ma quando lo spiego al famoso autista che mi aveva salvato dalla morte, questo personaggio si altera in un modo onestamente esagerato. Sembra un po’ Zare Markovski a forma di fiasco, non parla nessuna lingua al di fuori dello slavo e comincia a tirare giù le altre valigie per trovare la mia, dopo un minuto il suo compare apre il portellone dall’altro lato ed estrae comodamente il mio trolley. Prendo il passaporto, chiedo scusa nuovamente e mi propongo addirittura di aiutarlo a rimettere su le valigie insieme, non accetta, e allontanandomi lo mando affanculo sottovoce. Nel frattempo il poliziotto croato ha requisito tutti i documenti ai viaggiatori, consegno anche il mio, ce li riportano, e dopo due minuti sale l’agente bosniaco per la stessa procedura. In mezz’ora sbrighiamo fortunatamente la pratica, il mio disguido come è evidente non ha rallentato nulla, ma l’autista continua a essere infastidito.

Ripartiamo e riprendo a chiacchierare con i due bosniaci, si parla di calcio, di politica, di lavoro e soldi. Vogliono entrare nella Comunità Europea, avviso loro però che Euro e UE non sono poi una salvezza o una svolta garantita. Almeno, a noi non hanno regalato qualcosa di così speciale. Nel frattempo il viaggio scorre, dura 5 ore, più del previsto, alle 21 Mostar mi accoglie. È fresco, raggiungo l’hotel dialogando con un coreano e mi sistemo nel mio alloggio a Drage Palavestre, perché, abbandonata la Croazia, tocca alla Bosnia…

(CONTINUA)