Un brivido improvviso: il tour dei Balcani

Era metà gennaio quando di ritorno da un cena a San Lorenzo con David e Alfredo ci sbilanciammo su questo 2014, spingendoci attraverso previsioni e auspici. Arrivato il mio turno dissi che sarebbe stato un anno in cui non sarebbe successo veramente nulla per me, l’unico motivo per ricordarlo sarebbe potuto essere quello di fare qualche viaggio, due in particolare: a Lisbona con David, meta agognata da tempo, e uno in solitaria nei Balcani. Due giorni fa, con un autentico blitz, dopo 24 ore di riflessione e ricerche, ho comprato due biglietti aerei che mi permetteranno di fare quest’ultimo viaggio.

Se sei un figlio degli Anni Novanta significa che sei cresciuto con il conflitto della Jugoslavia a fare da sottofondo, con nomi strani e immagini di morte e distruzione. Eri bambino quando dall’altra parte dell’Adriatico, quindi dietro casa, un vero e proprio “tutti contro tutti” infiammava e inceneriva un pezzo d’Europa. Sono cresciuto con la guerra del Golfo e quella dei Balcani, avevo 4 anni quando vedevo Saddam Hussein e in lui vedevo il cattivo della favole. Ai suoi baffi per lungo tempo ho legato il malvagio, motivo per cui avevo letteralmente paura di tutti coloro i quali avevano i baffi. Questo era un condizionamento, il bombardamento mediatico che viveva un bambino italiano mentre alcuni suoi coetanei ne vivevano uno drammaticamente reale.

Come per Saddam Hussein, pur non volendo, ho imparato a memoria nomi e luoghi dell’ex Jugoslavia: Srebrenica, Milosevic, Mladic, il ponte di Mostar, Belgrado e Sarajevo, genocidio e pulizia etnica, parole che ben presto entrarono nel mio vocabolario di ragazzino delle elementari. Per questi motivi ho sempre desiderato fare un giro da quelle parti, vedere questi posti nominati per anni dalla tv, e poi, avendo fatto numerosi esami di storia e studiato certi eventi la curiosità di vedere con i miei occhi i Balcani è sempre stata tanta.

Sarà anche che sono cresciuto sentendo mio padre parlare di quando andava per lavoro in Jugoslavia, sarà che quest’anno sono i cento anni dallo scoppio della Grande Guerra e dall’attentato di Sarajevo, sarà che ho trovato dei prezzi troppo golosi per rinunciare, resta il fatto che in pochissimo tempo ho organizzato tutto.

Partirò il 20 agosto sbarcando a Spalato, dove magari riuscirò a farmi anche un tuffo, il giorno successivo andrò a Mostar per visitare il celebre ponte ricostruito, poi sarà la volta di Sarajevo e infine Belgrado, tappa finale e luogo da cui ripartirò la sera del 25.

Un tour che mi permetterà di attraversare tre nazioni e quattro città, dormirò una notte in ciascun posto eccezion fatta per Belgrado dove rimarrò di più. Mi sposterò rigorosamente in pullman, ho letto già diverse informazioni e varie indicazioni scoprendo come questo giro sia uno dei più battuti nei Balcani. Chi ne capisce di viaggi e ha la predisposizione ad entusiasmarsi ha già benedetto la mia idea, chi invece va soltanto sotto l’ombrellone, in riva al mare, o domina le nottate fra le isole greche e Ibiza, inevitabilmente fa più fatica a capire la mia adrenalina.

Il primo dei due viaggi sperati sta prendendo forma, volevo farlo e ci riuscirò. Magari, questo 2014, me lo ricorderò non solo per i Mondiali…

Un altro messaggio e quel 28 luglio

“…un messaggio appunto. Ma ricordatevi questa parola, tornerà buona tra un po’…”

Terminava così il post dell’otto luglio, con una frase che rinviava a qualcosa, proprio perché mentre scrivevo quelle righe avevo già intenzione di pubblicare un’altra cosa, più avanti, ossia oggi, una data non del tutto casuale, semplicemente perché ricordi e episodi si inseguono e le ricorrenze si ripropongono a distanza di anni.

Ero in macchina sulla tangenziale quella sera, diretto verso casa di mia nonna, lì mi sarei incontrato con Simone e Daniele poco dopo. Mentre percorrevo la strada ragionavo e mi convincevo con delle certezze che speravo potessero essere spazzate via. In fondo, questo mi ripetevo, l’anno era stato fin troppo benevolo con me e chiedere di più mi sembrava quasi ingiusto, volgare e sfacciato.

Qualche ora più tardi però, a fine serata, mentre ero nella Polo di Simone, il mio Nokia vibrò e visualizzai l’sms appena ricevuto. Eccolo qua il messaggio, termine ricorrente e filo rosso. A volte capita pure che un messaggio possa cambiare tutto e aprire scenari impensabili, ribaltare teorie o pronostici e catapultarti dentro altre dimensioni. Poche parole che riescono a stravolgerti l’umore, mentre in altre circostanze possono illuminarti.

Tornai a casa più pensieroso che entusiasta, insomma, sapevo che tutto era da giocare, forse più che mai. La mattina dopo presi una bella multa per eccesso di velocità su Via Casilina mentre sfrecciavo a 67 km/h rispetto ai 50 km/h consentiti, poco dopo mi tracannai un Gatorade gusto arancia gentilmente concesso, e prima di pranzo fui costretto a fermarmi in una strada secondaria di campagna per rispondere a mia nonna che da una fabbrica di Alessandria mi chiedeva se preferivo la maglia dell’Inter 1964, o quella del 1978.

Il 28 luglio era ormai nel vivo e la sera raggiungemmo per cena mia cugina che festeggiava i suoi 14 anni in un ristorante sulla Nomentana, adiacente ad un maneggio. Parlando dei miei piani estivi, un fine settimana a Milano e quello dopo a Montecarlo per riscuotere gli interessi del Triplete, poco dopo salutati tutti per unirmi a quella banda di bontemponi universitari che a Frascati brindavano alla bella stagione.

Mi accomodai a capotavola, con Antonio&LaBionda alla mia destra e Francesca sulla sinistra, il Catto, inarrestabile come sempre, si dilettava poco più avanti con il “padrone di casa” Alfredo. Dopo aver ripetuto all’infinito l’espressione “Quanti brividi, quanti brividi…”, ordinai un bicchiere di rosso e entrai nella serata. Francesca mi rivolgeva più le spalle che altro e si esaltava nel suo racconto parigino appena vissuto con il compianto Giannetti, per tutti “Pipo”, io invece, fra il serio e il faceto, resistevo alle incursioni di Alfredo che imitava per la prima volta Paolillo ripetendo “Maicon e Balotelli partiranno” marcando la erre moscia dell’ex dirigente. Fu sempre lui a tirare fuori ad un punto un foglietto in cui si era appuntato le partite dell’Inter visto che poche ore prima erano stati sorteggiati i calendari per organizzare qualche gita milanese.

La serata si risolse fra altri brindisi, qualche scherzo e confessioni di vario tipo anche se il grande confronto c’era stato dopo cena quando chiamai Gabriele, che da buon amico e fidato tattico, si espresse lucidamente su alcune cose mettendomi in guardia da altre. Andammo a casa allegri e spensierati, Alfredo calò un asso dalla manica con la famosa frase “Dai Catto, mi accompagni, mi racconti un po’ di te, dei tuoi sogni, dei tuoi progetti…” e io scesi a valle nuovamente.

Oggi mia cugina compie diciotto anni, ne è passato di tempo da quella volta, stasera la festeggeremo, il giorno è ovviamente 28 luglio e nel pomeriggio saranno stilati i calendari. Tante linee che si intersecano e mi riportano indietro nel tempo, ad un passato ormai non più così vicino ma nemmeno troppo distante, eppure quel clima, quelle emozioni, l’atmosfera di quelle settimane non svaniscono, al di là di un messaggio, al di là di tutto. Ma d’altra parte le risposte e le spiegazioni sono tante ed il ritornello di “Fields of Athenry” mi consegna la migliore chiave di lettura: “Our love was on the wing, we had dreams and songs to sing”.

Poveri noi (in tutti i sensi)

Lunedì scorso dalla redazione di Dublino sono stato incaricato di scrivere un articolo sulla povertà in Italia, un problema in costante crescita e certificato dalle impietose statistiche dell’Istat per l’anno 2013. Secondo l’agenzia di ricerca infatti, un italiano su dieci è povero ed una famiglia su cinque vive in uno stato di povertà. A tutto questo va aggiunto che la soglia di povertà relativa è rimasta invariata, quella assoluta è invece cresciuta di un punto percentuale.

I dati assumono dei contorni sempre più drammatici quando si considera che oltre un milione e mezzo di minori sono coinvolti. Per tutti questi motivi ho voluto avere un riscontro diretto da chi quotidianamente aiuta poveri e persone disagiate, intervistando sia la comunità di Sant’Egidio che la Caritas di Roma a Via Casilina.

Le testimonianze sono state tanto tristi quanto condivise, nel senso che i poveri italiani continuano ad aumentare, e in entrambi i casi mi è stato ripetuto come negli ultimi anni il flusso di nostri connazionali alle mense si sia triplicato. Stesso discorso vale anche per le famiglie che possono accedere all’Emporio della Caritas, un supermarket speciale per costi e metodi di pagamento, se nel 2011 c’erano 73 richieste per poter comprare in questo negozio oggi sono oltre 270. L’Italia è questa, con un tasso di disoccupazione al 12% e soprattutto con uno stipendio medio netto annuale che si aggira sui 14.870 Euro.

Poco lavoro, poche speranze e un disagio crescente, questo è quello che emerso dal mio racconto, così come il cuore enorme di quei volontari che quotidianamente si prestano a cause umanitarie provando ad aiutare, nel senso più pratico e vero, chi ha ne realmente bisogno.

24 luglio

L’Inter non esiste più

Non mi stupisce in fondo. Sì, non mi sorprende il fatto che il 2014 me lo ricorderò anche perché hanno raso al suolo la mia squadra, un club che ormai, evidentemente, non esiste più. Fra poco più di un mese scenderà in campo qualcosa che non è l’Inter, una formazione che non ha nulla in comune con la mia idea di quella squadra per la quale ho sospirato per due decenni.

Per la prima volta ci avviciniamo a un campionato senza il presidente Moratti, senza la famiglia che ha scritto la storia di questo club. Per la prima volta non vedremo in campo il Capitano Zanetti che ha ceduto la sua fascia di capitano ad un mediocre pennellone, per la prima volta non ci sarà più nessun reduce del Triplete, di quella seconda Grande Inter in grado di conquistare tutto il mondo.

In tutto ciò, ovviamente, la squadra continua a  non essere competitiva e non lo sarà per il quarto anno di fila, guidata da un tecnico che non sopporta nessuno e che non dice mai niente di “interista”. Uno che ha convocato una conferenza stampa a fine campionato per snocciolare nuovamente i soliti concetti banali ripetuti per tutto l’anno, uno che ha dichiarato con orgoglio che la sua squadra aveva battuto più corner di tutti gli altri. In panchina abbiamo un soggetto mal voluto e in cui nessun interista crede, nella sala dei comandi un quarantenne indonesiano, sconosciuto a tutti fino a 15 mesi fa, che ripete quasi solo la parola “marketing” e invoca pazienza e tempo.

In questo scenario apocalittico, senza più grandi nomi e vecchi campioni, si è deciso un restyling del logo storico a cui è stata tolta la stella, simbolo di successi e gloria. C’è chi se ne mette più del dovuto (prima di abbassare in maniera ridicola il capo) e chi come noi si limita a metterla solo sulle maglie da gioco, come fosse un peso. Ecco, le maglie da gioco, la divisa che per un tifoso è sacra è stata profanata dalla Nike, uno scempio ingiustificabile, una vergogna senza fine.

Ci hanno tolto anche la maglia nerazzurra, le nostre strisce, un segno di riconoscimento per tutti, un legame di appartenenza per chi ha questa squadra nell’anima. In preda a non so quale raptus, la storia è stata bistratta, giocheremo con un bel gessato che per quanto sia elegante non è rappresentativo. Sarà un bella maglia, ma non è quella dell’Inter e io non riesco a tifare per una cosa che non sia nera e azzurra. Davvero. Sono rimasto molto deluso dalla curva che non ha detto nulla, non si è espressa su questo scandalo, un atteggiamento a mio avviso sorprendente. Chi da anni difende e sostiene l’Inter ha incassato il tutto in silenzio. Se anche la Nord si spegne così, ammainando la volontà di conservare un simbolo come quello della divisa siamo veramente al capolinea di tutto.

Non c’è veramente più nulla in grado di legare questa Inter con la storia di quella società famosa di Milano, esistono evoluzioni e cicli, è la vita, è vero, ma il buon senso e il rispetto verso la tradizione sono valori che sembrano sparire in nome di questa accozzaglia sgangherata, lontanissima parente da quel club fondato al ristorante “L’Orologio” nel marzo del 1908.

Sono riusciti nell’impresa titanica e oggettivamente impossibile di non farmi coinvolgere (attualmente) da quella squadra che fa parte della mia vita, quell’Inter (quella nerazzurra e a strisce), che oggi, non esiste più.

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