L’estate in ritardo. Gabriele. La mia maglia.

Attesa e rinviata, sospirata e quasi inutile, la coda estiva alla fine è arrivata. È stato un ottobre magnifico, che per certi versi rientra nella leggenda delle famose “ottobrate romane” di cui genitori e nonni spesso si riempiono la bocca raccontando di come in altri periodi questo mese, in questa città, fosse davvero caldo. Dopo un’estate che è trascorsa fra vento e nuvole, con gli ombrelli aperti e gli ombrelloni appoggiati al muro quasi in castigo, settembre aveva illuso prima di proseguire sulla falsa riga dei mesi precedenti. L’ondata di caldo c’è stata, il problema è che arrivata con scuole aperte e uffici a pieno regime, con le giornata più corte e la luce che si consuma del tutto alle 18.30. In fondo, è stata la beffa finale, il ritardo che ti infastidisce anche se a memoria non ricordo di essere mai uscito da casa in tenuta prettamente estiva (polo e pantaloncini) al 21 di ottobre e l’esperienza ha avuto un qualcosa di piacevole e stravagante. Il freddo sta per arrivare, avremo ovviamente la classica escursione termica, passeremo da t-shirt a giacche pesanti, con il cambio dell’ora che incombe, novembre vicino e le castagne che non si trovano.

 

Inevitabilmente di questo periodo semi-estivo ne ha goduto il mio fidato amico di ritorno dalla Cina. Per giorni l’ho avvisato che il clima era simile a quello delle Baleari ma lui ha comunque deciso di portarsi dietro tutta roba fuori stagione, felpe e maglioni di cotone, capi assolutamente impossibili da indossare anche di sera. Ha superato già la metà del suo soggiorno italiano, altri dieci giorni e poi farà nuovamente le valigie ma fra i tanti impegni, le numerose richieste di incontri e uscite, in qualche modo siamo riusciti a ritagliarci finora uno spazio importante. Tre volte ci siamo visti e in tutte le occasioni il tempo trascorso insieme è volato, in particolare il primo giorno, dalle 15 alle 24, senza pause, un assaggio condito da mille cose. Abbiamo replicato venerdì e sabato, sforando comodamente le tre di notte, come in passato, quando il “Ti riporto a casa” era il preludio alla chiacchierata finale, quella più ricca, la coda che suggellava tutto e si rimaneva in macchina a discutere nuovamente. È successo e non ho nemmeno avuto tempo di godermi questo sapore antico, in fondo mi è sembrato quasi tutto normale, come se fosse ieri, come se l’ultima volta non fosse stata 21 mesi prima. Parte di me vuole passare del tempo con lui, un’altra parte è restia perché creare una sistematicità di incontri in rapida successione potrebbe darmi un vago senso di abitudine che però non posso e non devo prendere sul serio. Fra dieci giorni sarà tutto un ricordo e per questo motivo mi tornerà in mente che quando era più o meno “stabile” a qualche km da casa mia, ero una persona più felice e serena, rincuorato dal fatto che mi sarei potuto rivolgere a lui immediatamente.

 

(Parentesi personale) Qualche giorno fa ho comprato su Ebay una maglietta dell’Inter anno 1993-94, sponsor Fiorucci, firmata Umbro. Ho concluso l’affare ad un prezzo molto vantaggioso e questa divisa va a impreziosire la mia collezione ultra ventennale, ma soprattutto è la mia personale risposta allo schifo con cui la mia squadra deve giocare quest’anno. Gli ottanta euro che pago ogni anno per la maglia dell’Inter per questa stagione li spendo così, comprando altre maglie dell’Inter, quelle vere, quelle con i colori giusti, quelle della storia e della tradizione, quelle che mi scaldano il cuore e mi ricordano quando la domenica era bella o brutta in base al risultato della partita. Il pigiama gessato nero e celeste lo comprate voi, io no.

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