Apocalypse Now

mmmmioiuE insomma, all’improvviso, quasi per caso, si sono accorti del problema casa, delle occupazioni abusive e del malcontento nelle periferie delle grandi città esploso mediante una guerra fra poveri che evidenzia un serpeggiante razzismo.

Sì, gli italiani sono razzisti (in parte non potrebbe essere diverso vista la storia), è inutile girarci troppo intorno, è sbagliato generalizzare ma allo stesso tempo ogni tanto è bene anche dire quelle cose che tutti rigettano anche se gli appartengono. Abbiamo persone splendide che si prodigano per cause umanitarie, gente di colore, rifugiati politici, persone che tutto sono tranne che razziste. La maggioranza però è trasportata da sentimenti diversi, da fastidio e intolleranza, aspetti che sono emersi ancor di più negli ultimi anni. La crisi, la mancanza di lavoro, il non-futuro che attende l’Italia e gli italiani, hanno caricato il malessere. Fin quando le cose non andavano male c’era un’altra sopportazione, oggi, e non solo da oggi ad essere precisi, è cambiato il panorama, ma soprattutto la pancia. Si tollera tutto molto meno, l’esasperazione è notevole e l’abbandono di alcune zone delle grandi città è fin troppo chiaro. Quartieri popolari sono focolai pronti ad esplodere, per il degrado, per il fatto che non esistono più regole. Gli italiani sono i primi a non rispettare niente e nessuno ma ai nostri problemi interni si sono aggiunti i tanti immigrati che nel Belpaese speravano di trovare pace e lavoro. Non è sempre così, non è più cosi. Vivere in una periferia, in una di quelle borgate romane ti dà un punto di osservazione diverso, ovviamente più reale, avere sotto casa sporcizia, bottiglie abbandonate, materassi e quant’altro ti fa capire come le cose vadano sempre peggio.

Negli ultimi due decenni i quartieri in cui ho vissuto si sono rovinati gradualmente. Ciò che domina è un degrado figlio (anche e soprattutto) di un’ondata di immigrazione mal controllata e mal gestita, sotto la maschera di perbenismo e di finta ipocrisia. Non è populismo, ne tanto meno qualunquismo: è la verità. Venti anni fa le nostre città non erano così sporche, venti anni fa queste periferie non erano così malandate. Parli del degrado perché camminando per strada è il primo elemento che si nota. Passi per Piazza dei Gerani e vedi a metà pomeriggio gente di dubbia provenienza che beve senza sosta lasciando bottiglie ovunque, passeggi per le borgate e lo sporco ti pervade. Roma è una città senza padroni in mano a orde di persone che fanno i propri comodi, trasformando vie secondarie in discariche a cielo aperto. Inutile parlare del campo rom di Via di Salone, due anni fa ho avuto la possibilità di fare un servizio in questo spazio vomitevole, un simbolo di vergogna e di pericolo costante anche per le nubi tossiche che spesso si sollevano da questi terreni.

Quanto a Tor Sapienza che dire? Non mi è piaciuto il servizio delle Iene trasmesso qualche giorno fa, era solare la volontà di raccontare solo una faccia delle medaglia. Quello che è successo va condannato se parliamo della violenza, ma gli abitanti meriterebbero la stessa attenzione e la stessa premura di chi vive altre difficoltà, i cittadini (che sono contribuenti, non sudditi, questo sfugge sempre più) hanno il diritto di vivere in condizioni e in luoghi ben diversi da quelli a cui sono ormai abituati. Sono per la legalità al di sopra di tutto. Per il giusto e per il rispetto, non per la solidarietà a comando, o per privilegiare alcuni a discapito di altri. Proprio agli abitanti di Tor Sapienza va fatto un plauso per il modo netto con cui hanno allontanato politici avvoltoi, finti interessati e personaggi che hanno speculato per una triste campagna politica. La gente non crede più alle chiacchiere dei politicanti e quello che vuole sono i fatti: legalità, pulizia, libertà di non aver paura.

La guerra dei poveri è quella delle case popolari, delle case da assegnare occupate. Milano, Roma e non solo, da settimane si parla solo di questo, come se all’improvviso fosse emerso un problema mai esistito. Non tollero e non è ammissibile sentire gente che si giustifica per aver occupato una abitazione dicendo che ne aveva bisogno. Che significa? Certo, è colpa dello Stato, della burocrazia e delle graduatorie che procedono a ritmi inspiegabili, ma agire illegalmente non può mai essere un qualcosa che ha una giustificazione. Staccare utenze, rendere la vita impossibile a chi entra senza diritto negli appartamenti, questa è l’unica strada da percorrere, oltre ovviamente a un deciso intervento dello Stato nel gestire civilmente le liste.

Siamo lontani da guerre civili e scontri finali fra disperati e morti di fame, a quello ci arriveremo fra una quindicina di anni, quando le famiglie povere non saranno più 1 su 5 bensì 3 su 5. La strada è tracciata, quella è la fine di questo Paese, un passaggio che sembra essere segnato e che attraverso la disperazione profonda azzererà tutto. Non è “Apocalypse Now”, sarà solo il drammatico ed inevitabile epilogo, ma sarà anche il momento in cui tornerò in Italia.

Garbage Time: un bel post su “Oppini”

Che poi uno potrebbe anche dirmi: “Ma puoi scrivere un post su Oppini? Ma puoi dargli tutta questa importanza?”. Ebbene sì, il blog e mio e faccio come dico io, e quindi un bel post su Oppini lo scrivo, se poi lo capiscono al massimo 3-4 persone che me ne frega?

Partiamo dall’inizio però, anzi no, dalla fine, nel senso che il personaggio in questione è uno dei più grandi rimpianti della vita di David (oltre a non aver mai visto il Super Eroe), sì perché il Gallo non hai mai avuto modo di incontrare questo tizio, saltò un paio di occasioni valide e la storia poi non gli regalò altre opportunità. Oppini ragazzi, che brivido…

È il 6 maggio del 2008, siamo sul 20 per tornare a casa dopo il primo esonero di Storia dell’Arte Moderna e Fermata chiama davanti a me la madre per raccontarle qualcosa sull’esame, a fine telefonata, sento un “Sì ora lo chiamo e lo avverto…”. Capisco che c’è qualcuno, e questo qualcuno è il ragazzo di Fermata, uno di cui conoscerò i primi dettagli poco dopo.

Lo incontro durante una festa il 20 maggio, sono abbastanza un pesce fuor d’acqua, ma dopo aver sofferto le pene dell’inferno due giorni prima a Parma fra Valium, pioggia e Ibrahimovic che mi regala uno scudetto sudatissimo, penso che nulla possa spaventarmi. Nulla. Oppini si presenta con un bel maglione a collo alto granata e i mocassini, vestito fuori stagione e con lo sguardo assonnato. Lo scruto, mi fa una pessima impressione e ovviamente è già segnato nella mia personale rubrica come il nemico da abbattere. Per sport, per antipatia, per rivalsa, per orgoglio e onore cavalleresco, per un qualche cazzo di motivo insomma. Capisco nel corso della serata quanto metta a disagio Fermata, immagazzino tutta una serie di informazioni, mi appunto ogni sfumatura a mente e poi ci ragiono sopra.

Qualche settimana più tardi Oppini diventa Oppini, nel senso che una sera Andrea viene insieme a me dopo una cena “Ai Marmi” e raggiungiamo Fermata e il suo gruppo sull’Appia. Al mio inseparabile compagno gli voglio illustrare la situazione: questa ragazza e il suo discutibile compagno. Con il suo spiccato umorismo Colantoni mi regala una perla inenarrabile, una cosa che entra subito nella leggenda delle frasi: “A Mattè, ma dai, a parte che questa è uguale a Veronica e poi, sta con uno che è er fio de Oppini, ma con quei capelli…dai su…”

Il personaggio diventa Oppini, l’etichetta gli viene appiccicata in un bagno del Killjoy e da lì sarà il suo nome in codice quando ne parlerò con gli altri bontemponi. Da quel momento in poi è un escalation, nel senso che la rivalità si inasprisce, lui capisce le mie intenzioni, la ragazza mi tira dentro la sua vita, io cerco di fare meno danni possibili ma sono visto come una minaccia enorme e Oppini sente la pressione in maniera esagerata. Dichiara che sono il cagnolino della sua ragazza, mi dice che sono gay, perde completamente il senso della misura e la mia presenza lo indispone del tutto. Il guanto lanciato lo raccolgo e diventa per me una questione di principio eliminarlo completamente. Non faccio nulla, Gabriele mi consiglia, mi dice che in fondo il suo modo di fare è il mio migliore alleato. Percorro la mia strada, preferisco il silenzio e mi faccio trattare come un peluche, la sua inadeguatezza la sfoga con atteggiamenti più o meno da bambino delle elementari. Più vuole il duello, più vuole mettermi in ridicolo e più lo lascio fare. Andiamo tutti al mare, ma quel giorno gioco in casa, sono spalleggiato e mi diverto, gli altri possono finalmente conoscerlo, Antonio rimane scioccato dal personaggio.

Considerando che Fermata è in partenza, sono convinto che non lo vedrò più a settembre a Roma, succederà qualcosa prima, e come canta Paola Turci: “Non importa se vinco, ma tu perderai, vedrai…”. Alla fine mi interessa quello, mi interessa di più che lui venga punito da Fermata stessa che quest’ultima. Puntualmente succede, accade a fine agosto, il borioso e spaccone Oppini viene silurato nel modo più triste, scontato e meritato. Oppini “non la racconta” come si dice da queste parti, la sua simpatia fastidiosa, il suo voler essere divertente a tutti i costi e rivelarsi invece agghiacciante, la sua arroganza da alto borghese toscano gli si ribaltano contro.

Oppini sparisce, a febbraio scriverà un bel post su Facebook contro di me, un papiro ricco di luoghi comuni, finte convinzioni e frasi retoriche, un climax di banalità. Due anni dopo, Fermata stessa lo farà sprofondare all’inferno con la beffa delle beffe, ma per un minimo di privacy non entro nei dettagli.

Lui, il grande Oppini, il nemico di metà 2008, con il suo ciuffo, il suo essere inadatto, il suo essere destinato a perdere, fu sconfitto aspettando soltanto che il tempo facesse il suo corso seguendo Sun Tzu. Oppini, che prova ad andare a Sanremo e che vuole farci credere di essere un tipo gagliardo, pieno di vita, interessi, donne e hobby. Oppini, il pupazzo di una notte di mezza estate, il grande rivale prima di affrontare “Lo Stantio” ma qui, amici miei, entriamo nella sezione “Racconti Fantasy”.

La gnoseologia dello stare da soli (Ammazza che titolo oh…)

Si percepisce piuttosto chiaramente il disorientamento di mia nonna (non quella del frasario) quando mi fa delle domande private su ipotetiche relazioni sentimentali che mi riguardano e ottiene risposte non di suo gradimento. Succede, non spessissimo, ma capita. Pochi giorni fa ad esempio, ha provato a indagare e per l’ennesima volta ho dovuto sparecchiarle la tavola con una serie di ragionamenti. Che le nipoti più piccole siano fidanzate mentre il maschio non abbia questo punto sul curriculum è un aspetto che non le torna, o meglio, non se lo spiega ancora.

In sintesi, nelle tante risposte che le ho fornito nell’ultima chiacchierata il punto centrale era uno solo: non voglio rotture, fastidi, problemi, incazzature, polemiche, obblighi e doveri. Certo, in un rapporto non c’è solo questo, anzi, la parte maggiore è quella positiva e bella, ma inevitabilmente c’è anche tutto ciò che ho elencato precedentemente. In aggiunta va sottolineato un fattore che forse è l’aspetto principale: l’abitudine a stare da solo. Sono sempre stato un solitario e questo non significa non avere amici o una vita sociale, no, assolutamente, è solo che fin da una tenerissima età mi sono innamorato dei miei spazi, della mia libertà, del fare fondamentalmente come mi pare.

Solamente 3 anni su 27 non li ho passati da solo, e fino a 23 non mi era mai capitato di dover pensare anche a qualcun altro in certi modi, è chiaro quindi come per me, per forza di cose, sia più normale ormai l’idea di essere solo e di non avere alcun problema in questa veste. Agli altri potrà sembrare triste e desueto ma a me non fa alcun effetto. Certamente questo status è influenzato da un tasso notevole di egoismo, ma quando sei abituato a pensare solo per te le cose si fondono e non capisci più dove comincia la libertà propria e comincia l’egoismo stesso.

Più cresco e più divento geloso di alcuni spazi, di certe abitudini e alcuni passaggi. Negli ultimi dieci anni ho saltato 9 partite su 532 partite dell’Inter (ho fatto un conto, ci ho perso un sacco di tempo e a breve scriverò un post a riguardo) e mi terrorizza pensare che domenica magari potrei essere a pranzo da mia suocera, oppure a un rinfresco di un cazzo di cugino della mia ipotetica compagna alle 16, quando in contemporanea c’è un appassionante Cesena – Inter. Quel giorno, temo, e sottolineo temo, magari arriverà e io mi auguro di avere la forza e la decenza di non rotolarmi per terra o fingere malesseri poco prima dell’appuntamento.

Essere solo però ha anche un sacco di vantaggi e ti concede mille libertà: uscire quando e quanto vuoi, non dover avvertire nessuno, accendere il telefono quando ti pare, non dover cancellare foto o messaggi pericolosi per litigate, decidere di partire per un viaggio senza preavviso, comprare i biglietti per qualcosa un secondo dopo che ti è venuta in mente l’idea, accettare eventuali proposte lavorative altrove con maggior spensieratezza. Insomma, è tutto molto più easy, senza filtri. Non devi confrontarti e nemmeno chiedere “autorizzazioni”. Tutti questi aspetti hanno secondo me un valore incalcolabile e poi mi pare opportuno trovare anche degli aspetti positivi a certe condizioni.

Mi giro intorno e vedo amici sposati e con figli, chi convive, chi lo farà a breve, chi si è lasciato e rifidanzato. Ecco, spesso io vorrei capire dove è stato il momento in cui io mi sono sganciato dal gruppone. Evidentemente eravamo partiti tutti assieme, poi ci siamo fermati a un autogrill, io ho preso un “Apollo”, un Gatorade al limone e la Gazzetta, mi sono seduto fuori a leggere il giornale dopo essere andato al bagno e mentre gli altri ripartivano io sono rimasto lì, assorto, sereno e beato. Forse ho anche detto a voce alta: “Andate, andate…”. Deve essere andata più o meno così.

Per quanto la vita sia fatta di sorprese e imprevisti, sotto questo aspetto a me è sempre andata come pensavo e non mi stupisce affatto il risultato attuale. Mi diverte quando con il mio compare ciociaro organizziamo viaggi futuri, certi che non avremo impedimenti relazionali. Fra ironia e leggerezza, ci siamo messi l’anima in pace, ci siamo dimessi da certi ruoli. Non a tutti gira allo stesso modo, il punto è che non ho alcuna intenzione di farla andare diversamente e lo dico senza dubbi. Mia nonna non se ne capacita, sua figlia, al secolo anche mia madre, all’ultimo matrimonio di settembre a cui abbiamo assistito sosteneva (per la prima volta) che lei il privilegio di accompagnare il figlio all’altare non lo avrà.

Altre generazioni, altra capacità d’intuire come si sta srotolando davvero la storia…

 

Tweet del giorno

‏Mi dicono che sono pazzo perché spesso parlo da solo, ma a me non importa. Alla mia fidanzata immaginaria piaccio così.

(Frankenstyle)

Sette anni dopo…io sono ancora qua

Sette anni fa non pensavo a come sarebbe stato questo blog nel 2014, non credevo nemmeno che durasse così tanto tempo, iniziai un sabato sera per gioco, con il gusto di cimentarmi in qualcosa di nuovo, non per seguire le tendenze ma più che altro per sperimentare le mie abilità informatiche da autodidatta. È passato veramente tanto tempo da quella sera e dopo 84 mesi è arrivato il momento di celebrare quest’altro anniversario, 7 anni di vita e quasi mille post.

A quei tempi c’era già Facebook ma la community di Zuckerberg non era ancora così nutrita, Twitter era stato inventato da un anno e aveva pochissimi iscritti, MSN recitava ancora un ruolo importante nelle chat al posto di Whatsapp. Sembra passata un’era ma poi scorri la pagina dell’organigramma dell’Inter e vedi che alla voce allenatore c’è sempre Roberto Mancini e qualcosa ti riporta indietro a quei tempi lontani, forse un pizzico meno distanti.

Un mese fa, in funzione di questa ricorrenza, ho riportato volutamente il blog alla sua veste iniziale come colori e header, è evidente però come sia cambiata l’anima di queste pagine, è palese come si sia evoluta per temi e profondità.

Raramente rileggo post passati, ma quando mi capita e magari faccio dei salti fra anni diversi, mi stupisce la chiara differenza nello scrivere, il modo diverso, la capacità di esprimere meglio pensieri e idee. Sperimentando alla lunga si migliora, al di là del quanto, è importante vedere dei progressi e credo che sotto questo aspetto lo sviluppo sia lampante. Ci vuole pazienza e disciplina nel tenere qualcosa vivo, spesso è sufficiente la passione, la scrittura per quanto mi riguarda contiene questi tre ingredienti. Inevitabilmente tutto ciò ha reso più facile il percorso del blog, il suo essere acceso e aggiornato, valvola di sfogo e specchio. Tralasciando il piacere della scrittura e il gusto di sentirsi liberi di appuntare su un foglio word qualcosa, indubbiamente l’abitudine ad esprimermi in questo modo è stata una chiave di introspezione e per certi versi di conoscenza personale.

Fra filtri e censure dovute, sono riuscito comunque a puntellare questi anni con ricordi, emozioni e racconti, e solamente dopo tanto tempo, dopo anni, capisci il valore di un blog. Rileggendo qualcosa, ritrovando dei punti di riferimento, riavvolgendo il nastro, hai sempre il modo per ricollegare tutti i passaggi, non corri il rischio di cancellare nulla e hai la possibilità di attingere a dettagli, puoi ripercorre momenti indelebili.

Se devo augurarmi qualcosa desidero che il blog continui a mantenere una sua anima spensierata, fra riflessioni nostalgiche e accenni di entusiasmo, goliardia e pause sceniche. Spero che sia ancora luogo di incontro e punto di riferimento, anche per pochi, ma soprattutto che trovi sempre la forza di rimanere in piedi.

Sette anni dopo, nonostante tutto, ci siamo.

 

Col cuore che batte più forte

la vita che va e non va,

al diavolo non si vende, si regala!

Con l’anima che si pente metà e metà,

con l’aria, col sole,

con la rabbia nel cuore, con l’odio, l’amore,

in quattro parole…

io sono ancora qua!