Il profumo di casa, in un sabato di primavera

La prima cosa che ho fatto, involontariamente e in maniera quasi naturale, è stata annusare i miei vestiti. L’ho fatto perché speravo di sentire l’odore del mio armadio, di casa mia. Di me. Malgrado il profumo delle buste sottovuoto, vagamente ho trovato ciò che cercavo e forse è stato l’aspetto più bello.

Due ore prima infatti mi aggiravo fra Dundas street e Yonge in attesa di Maurizio, un amico di un cugino di mio papà, che lavorando per l’Alitalia è stato così gentile e disponibile da portarmi qui alcune cose che io avevo richiesto espressamente a mia madre. Appena abbiamo saputo che sarebbe sbarcato a Toronto ci siamo organizzati e abbiamo preparato un pacco con una serie di cose, un misto di vestiti, scarpe e generi alimentari.

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Due polo della Slazenger, la giacca nera della nazionale inglese, le scarpe da corsa e quelle nere, oltre a dei pantaloni leggermente più eleganti. In un’altra busta invece c’era mortadella, parmigiano reggiano (5 pezzi) e del salame, quei prodotti che più mi sono mancati in questi quattro mesi.

Dopo aver tirato fuori tutto, ho sistemato nel frigorifero il mio tesoro, tenuto sotto controllo con una certa apprensione. 

Chiunque si volesse avvicinare dovrà avvelenarmi nella notte, altrimenti non sarà possibile mettere le mani su tutta quella bellezza che a pranzo ho subito degustato senza troppi indugi. Anzi, ho mangiato di primo la pasta in bianco proprio per non riempirmi la bocca di altri sapori, lasciando la strada libera a parmigiano e salame. Senza ombra di dubbio, è stato un brivido, anticipato appunto da quel profumo di casa, perché va bene Skype, le video-chiamate e quello che volete, ma poi ci sono delle cose impagabili, che hanno il potere assoluto di riportarti in contatto con quel tuo mondo in modo diverso e anche più profondo.

E così, mentre il tempo sta indossando l’abito primaverile e il termometro segna 19°, mi preparo a rimettermi anche le mie scarpe e a scendere in strada dopo oltre quattro mesi passati a vedere runner che macinavano chilometri mentre io pensavo: “Andate, andate, presto vi inseguirò.” Quel momento è arrivato, e sarà fra poche ore.

Una giornata iniziata così bene è proseguita in una parte pittoresca e caratteristica di Toronto, ossia a Kensington Market. Con la mia giacca dell’Inghilterra appena arrivata sono partito alla volta di questo pezzo di città e appena svoltato l’angolo di casa, una ragazza bionda che stava scendendo dalla macchina mi guarda, nota la giacca e mi dice: Come on England!” raccogliendo la mia simpatia immediata ed un sorriso compiaciuto. Francamente l’avrei baciata in bocca per l’entusiasmo, sì perché la gente che si schiera così spontaneamente va omaggiata nel modo appropriato.

Vabé, dicevo che mi sono diretto verso Kensington che si disloca fra College St e Dundas St, intorno a Spadina Ave. Un quartierino interessante, multiculturale, fricchettone, colorato, pieno di locali, e con tanta gente che si godeva il sole bevendo nei numerosi tavoli lungo i marciapiedi. Ho visto decine di personaggi strani, sentito una quantità indefinita e mescolata di odori, dal giamaicano, alla pescheria italiana, fino alla pizzeria. Un miscuglio davvero iper-etnico.

20150502_164256In queste vie si trova ogni cosa, di certo non si muore ne di fame o di sete, allo stesso modo si vedono negozi vintage, store particolarmente cheap, collezionisti e differenti posti con cibi dai luoghi più disparati. Si può trovare talmente di tutto che io sono incappato anche in una maglia di Recoba, e questo credo renda l’idea dello scenario.

Passeggiando per andare a prendere lo street-car (il tram) mi sono lasciato andare a una riflessione forse banale ma estremamente autentica. Pensavo infatti che sono in un posto certamente non brutto, ma stimolante e con un suo fascino, a fare il mio lavoro e con un clima finalmente gradevole. Riflettevo su questo e pensavo a chi va ogni mattina in fabbrica oppure porta il camion, sì perché io fin da quando ero bambino associo alla fatica lavorativa il mestiere del camionista. Avere uno dei miei migliori amici che ha da generazioni una ditta di autotrasporti ha soltanto rafforzato la mia idea negli anni, e quindi pensando a questi lavori dignitosi e di grande rispetto, mi sono soltanto detto: “Che culo che ho a stare qui così, poteva andare veramente peggio…”

Mentre guadagnavo la via di casa fantasticando su un signore che a mio avviso stava lasciando la sua abitazione dopo un po’ di tempo, (gli sguardi, il trolley, la pausa scenica che ha fatto dopo essere sceso dalla scaletta, mi hanno portato a immaginare una lunga storia), mi godevo una meravigliosa giornata primaverile pensando a domenica, a domani, e al programma che è già stato stilato.

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Sveglia alle 8.30 per vedere i nerazzurri alle 9, corsa, la prima corsa canadese, pranzo, un paio di chiamate, una serie di faccende domestiche e poi giro in centro con l’occhiale malandrino, cena al volo e poi dritto al Sony Centre, sì perché alle 20 suona lì un mio caro amico di Manchester, questo qui sulla sinistra…

Excuse me if I spoke too soon

my eyes have always followed you around the room