Stiamo lavorando per voi

Le ultime dallo Scannatoio dicono che ci siamo quasi. Ci siamo nel senso che praticamente tutte le cose necessarie sono stati trovate, comprate e messe al loro posto.

Oggi sono partito per cercare una tavola di legno da mettere sotto il materasso, e sono finito a comprare a 15 dollari, in offerta, un materassino gonfiabile da campeggio che mi farà da supporto e rete al materasso vero e proprio. In tutto questo però, nel frattempo, o meglio, nel pomeriggio, il letto si poggiava su sei supporti, sei ceste di plastica bianche ribaltate e prese da Dollarama che avevano lo scopo di essere dei sostegni e di tenere finalmente il materasso sopra il livello della moquette.

In tutto questo, appunto, il colpo finale è stata la soluzione da campeggio, per convenienza, per caso, ma anche con una prospettiva futura. Se qualcuno vorrà passare qui allo Scannatoio non dormirà per terra visto che nella confezione c’erano due materassini. Il paradosso è che ho pagato più la pompa, quella a piede, che gli oggetti da gonfiare. Stranezze canadesi.

Per il resto, manca la tenda ma l’ho localizzata e potrei andarla a prendere domani anziché tornare da Honest Ed’s. Da Canadian Tire oggi ero passato per comprare una cassettiera di plastica che da 11 dollari è tornata a 29, mentre il tavolo che ho comprato martedì oggi è tornato al doppio. Uno dovrebbe andare lì tutti i giorni per fare degli affari, oppure essere fortunato e capitare nel momento giusto, quando stai cercando l’oggetto in svendita.

Sono stato fortunato una volta, molto meno in tre altre occasioni.

Tuttavia mancano: tenda, cassettiera e copriletto con tre cuscinoni annessi per trasformare il letto stesso anche in un divano, quanto meno in certe occasioni. Vanno riempite le pareti e a tal proposito ieri ho acquistato il primo oggetto d’arredamento. Guardavo il muro bianco affianco al letto e cercavo di immaginarci qualcosa, dopo pochi secondi ho pensato “Bandiera”, dopo un minuto ero su Ebay che ne cercavo una italiana con lo stemma dei Savoia, non so perché, forse per dare un tocco più storico e tradizionalista al tutto. Poco dopo ho virato sul tricolore con il simbolo in mezzo delle repubbliche marinare ma non soddisfatto delle soluzioni proposte ho digitato sulla barra “Bandiera inter storica” e così mi sono accaparrato a 8.40 Euro una bandiera celebrativa dello scudetto del 1989 con le seguenti dimensioni 140×95. Perfetta per occupare lo spazio, identificativa il giusto, e strumento per marcare chiaramente il territorio, per cui, il primo oggetto d’arredamento o comunque non essenziale per casa, è una bandiera vintage dell’Inter che innalzerò a gennaio quando sarò di ritorno con una cerimonia in grande stile.

Devo mettermi al lavoro su questa sottospecie di veranda, o balcone chiuso, ma ho altre priorità, ho altri dieci giorni per completare l’opera di assestamento, poi verrà tutto il resto, i vezzi e le cazzate. C’è tempo, anche perché l’ho presa sul personale ormai questa cosa di casa, su quel livello in cui poi non sono in grado di non dare il 100%  e punto alla perfezione.

La risposta è no

A volte mi chiedono perché non chiedo. Una sottolineatura che mi era scappata, un dettaglio che mi ero perso strada considerandolo forse ormai parte integrante di me. Così tanto presente che nemmeno ci facevo più caso. Bella domanda comunque, lo devo riconoscere. Bella perché mi ha fatto riflettere, mi ha portato a farmi delle domande alle quali ho saputo rispondere in tempi stretti. Perché non chiedi mai? Perché sono stanco di sentirmi dire di no. La risposta è questa, e il post potrebbe finire anche qui, ma ovviamente dietro alla mia replica si staglia un mondo, anzi, un universo vero e proprio.

Settimane fa, durante una riunione di redazione, mi è stato chiesto perché non chiedo, che non significa non proporre, attenzione, ma chiedere delle cose, a volte anche dei diritti che mi spettano e non solo in linea teorica. Non ho fatto scena muta, la faccio raramente, forse non mi è mai capitato, soprattutto se devo rispondere a una domanda diretta e precisa, più che altro ho evidenziato il mio punto di vista, argomentandolo anche in maniera plausibile e poi il discorso è finito lì. Giustamente, aggiungerei.

Io sono arrivato ai punti che nemmeno chiedo quello che mi spetta dicevo, anche le cose per cui non c’è domanda, o non c’è possibilità di una doppia risposta. Nemmeno chiedo più se la risposta è sì. Niente. Non è mutismo, non è indifferenza, non è fregarsene e non chiedere proprio. A volte può sembrare una rinuncia a priori, la verità è un’altra. Mi prendo quello che devo senza chiedere, tutto quello che dipende da me. Il resto invece, non lo domando nemmeno.

Sono figlio della generazione di disperati, quelli che hanno avuto tutto tranne un futuro. Quelli a cui la risposta che ha ronzato per le orecchie più volte è stata “No, non si può fare”. Tutto un no, sempre un no. Al punto tale che nei colloqui a volte avevi quasi paura, o ti sentivi in difetto di chiedere se al lavoro prodotto corrispondeva anche un pagamento, un rimborso, un qualcosa, mica un salario.

Siamo figli di questa generazione, quelli che hanno vissuti la giovinezza adulta peggio dei loro padri pur avendo avuto tutto per i due decenni precedenti. Strano il discorso, bizzarro, quasi al limite dell’assurdo, ma è questa è la realtà.

Non mi va di chiedere, ho smesso di farlo per non subire la risposta. E per quanto non si sai mai, a noi è stato insegnato, sulla nostra pelle, che invece si sa. E la risposta è una. Tra la condanna e l’impossibilità di una via d’uscita.

No. Punto. E allora mi sono rotto i coglioni al punto tale che nemmeno domando più. E mi sto limitando a un discorso prettamente lavorativo, quello che bene o male coinvolge e ha riguardato un po’ tutti noi, tutti i miei coetanei.

Se poi vogliamo lasciare la dimensione professionale e scendere in quella personale, il concetto si triplica. Diventa gigante, come Super Mario dopo che prendeva il fungo. Tralasciamo il discorso, lì i no suonano dal 1993 più o meno come una mazza di ferro che sbatte su una transenna, riconosci il suono senza prestare troppo attenzione. Non chiedo più nulla, nemmeno lì.

Sto suono, queste due lettere mi hanno piuttosto stancato, e per quanto si debba saperle accettare, talvolta sarebbe anche curioso e simpatico vedere l’effetto che fa la risposta opposta.

Ma mica per altro, solo per il gusto di vedere. Solo per quello.

Il trasloco

Deve aver puntato tutto sul finale, per forza dai. Altrimenti non si spiega. Sì, sto parlando di chi sta scrivendo questo scorcio recente della mia esistenza. Visto quello che sta succedendo l’unica speranza è che sia tutta una strategia per una serie di botti finali monumentali. O così, oppure boh. Veramente.

Quello che doveva essere il trasloco definitivo si è trasformato (e lo è tuttora) in una catastrofe di dimensioni abnormi. Meno male che doveva aprire una nuova pagina della mia vita, spero non sia così altrimenti c’è poco da stare allegri, anzi è meglio tornare al capitolo precedente e anche in fretta.

D’altra parte, la settimana era iniziata con la sconfitta beffarda di Napoli, il sito per vedere la replica della partita bloccato e una litigata serale per colpa di Elena (sì, dopo 4 anni e mezzo io litigo con una italo-canadese per colpa di Elena, pensate un po’ in che magie riesco) a condire un lunedì splendido, un preludio superbo a tutto quello che sarebbe poi seguito.

Traslocare con una giornata di pioggia continua (la seconda in 6 settimane) per tutto il giorno è di per se una grande rottura, farlo e avere l’amara sorpresa che dentro casa non c’è il letto e che bisogna provvedere a rimediarlo prima di sera non è stato un momento dei più memorabili.

La soluzione è stata un materasso pagato 279 dollari che a detta del padrone del negozio era una specie di regalo, forse le due ore di attesa che ho dovuto patire mi hanno permesso di ottenere questo trattamento speciale. Il peggio doveva ancora venire, ossia un km di strada in mezzo ad una delle vie più affollate della città con un materasso sotto braccio, uno sforzo dal quale ho recuperato solo ieri quando ho ripreso l’uso totale delle mie articolazioni.

E poi una prima serata a pulire tutto, al buio, a sistemare ogni cosa dopo tremila giri, a dormire senza cuscino ma su due asciugamani piegati, mangiando la bistecca con il cucchiaio (da Dollarama e da Metro avevano finito le forchette). Un sonno pessimo, una sveglia altrettanto fastidiosa, prima di tornare al lavoro, dopo un giorno di ferie, il primo dopo undici mesi di fatiche consecutive e speso oltretutto a  fronteggiare una situazione al limite del paradossale.

Senza internet, senza numero canadese, senza un tavolo e una sedia, senza un cazzo insomma, ho tirato avanti mercoledì, mentre giovedì, dopo aver comprato una lampada, questa ha generato un corto che mi ha fatto saltare l’utilizzo delle prese in mezzo appartamento, lasciandomi ancora la buio e senza frigorifero.

È evidente che tutto stia andando nel verso non corretto, una wrong way che sembra aver preso una piega definitiva. Fra 16 giorni lascerò sto cazzo di paese (lasciatemi un minimo di libertà nel dire anche cose un po’ così, gratuite) l’unico al mondo in cui tutto costa un miliardo e dove internet e il telefono hanno dei prezzi fuori dal mondo, l’unico posto al mondo presumo in cui chi riceve una chiamata paga come se la stesse facendo, dove un abbonamentino con 1 Giga e minuti non sta sotto i 35 dollari e dove devi pagare 15 dollari per un mese per una sim prepagata, ma se non li usi, quel credito al trentesimo giorno lo perdi. Un paese in cui ancora stranamente non ha nevicato, dove la gente va piano, un posto dal quale porterò via i coglioni il prossimo anno.

Volevo dire anche questo ma i ben informati già lo sapevano. Sì perché se il destino ha fatto un po’ come gli pare negli ultimi tempi e mi ha condotto a queste latitudini, è bene che ora si faccia anche ‘na saccociata di cazzi sua (come si suole dire educatamente dalle mie parti) e il sottoscritto riprenda il comando della situazione.

E visto che qua non mi ci terrà niente e nessuno, non il lavoro e nemmeno i soldi (avessi detto) o la carriera, (che avete detto? Onna? Gonna? Nonna? Ah, Donna! Una donna? Dai su, smettiamola di prenderci in giro) so che non sarà il paese in cui trascorrerò più di un certo periodo ancora.

Avrei molto da dire, forse troppo, spiegare gli ultimi giorni è veramente complicato, ma l’umore che mi accompagna è talmente tetro che l’atmosfera del Verano a confronto sembra un sambodromo.