Matteo Moscarda in tv

Oggi mi riguardavo in televisione e mi scrutavo. Mi osservavo e mi domandavo chissà che pensa la gente. Sì, in un momento pirandelliano, alla Vitangelo Moscarda, mi chiedevo cosa vedono gli altri, come mi vedono gli altri. Non che me ne freghi più di tanto, ma per un attimo ho avuto questa curiosità, solo ed esclusivamente in funzione di un aspetto. “Ma se vede che so’ una persona tormentata?” mi sono posto questo quesito, e ovviamente all’interrogativo non sono riuscito a rispondere. È una domanda alla quale non puoi risponderti, non può farlo nemmeno chi ti conosce, è un qualcosa a cui uno sconosciuto può replicare, magari dopo un po’.

In televisione tutto è finto, nulla è vero, tutti recitano, non c’è soluzione alternativa. Un mondo di plastica è fatto da persone che devono fingere, il teatrino altrimenti non potrebbe resistere e quindi non ci si può esimere dalla regole. Bisogna sempre essere quello che gli altri devono vedere, mantenere un certo ruolo, navigare a una chiara velocità di crociera, senza sussulti, senza troppi sbalzi. Bisogna essere così, e quindi si deve recitare. Quando entri in studio resta tutto fuori: sei tu, la telecamera e un numero X di gente che ti guarda.

Mentre i numerosi monitor della sala montaggio mi inquadravano, mi chiedevo quindi come mi vedano gli altri. Chissà se pensano o immaginano che sto entrando nella fase “Vivo 168 ore a settimane in attesa di 90 minuti”, quella magnifica sensazione che da tempo mi mancava e che in un momento del genere sta riempiendo una serie di grosse voragini.

Delle cose veramente importanti non si parla così facilmente, mi piace questo pensiero, e lo condivido, infatti l’ho fatto mio negli anni, su alcuni tormenti non a caso non mi esprimo, al massimo ne scrivo privatamente con chi di dovere. Credo che negli anni sono diventato un attore più bravo a simulare, a fingere, a dire che va tutto bene con parole e sguardi di circostanza. L’esercizio televisivo indubbiamente mi ha aiutato a nascondere ancora di più e per questo mi domandavo quanta maschera c’è, quanto realmente traspare, quanto un osservatore esterno, fisicamente può capire da me. Penso poco, anche se dopo un po’ magari qualche mente geniale potrebbe carpire delle sfumature, dei sassolini che involontariamente faccio cadere a terra come indizi.

Negli anni ho scoperto che alcune persone credono che io non rida mai. E questo, in realtà mi fa ridere. Certamente posso passare come serio, però è certamente una maschera che forse indosso in maniera involontaria. Penso che Alfredo, o David, così per fare due nomi, farebbero fatica a confermare la tesi che io non mi lascio andare a un mezzo sorriso. Probabilmente ho deciso, non so come e non so quando di preciso, di essere io con chi voglio, con chi sento e con chi mi sente, con chi ha avuto tempo e pazienza, oltre alla curiosità di me.

Non rido, chi lo dice ha di sicuro una conoscenza superficiale di me e lì rimane, ma a me, sinceramente, non dà fastidio, proprio perché non mi interessa il giudizio della gente, altrimenti, e qui torno a un punto già toccato, non potrei parlare davanti ad una telecamera.

Eppure, questa curiosità di sapere per un attimo la gente come mi vede, oggi mi è venuta, chissà quanto lascio trasparire, magari poco. Anche perché, come mi scrisse una volta un mio amico di Frascati, “Non aver paura di tenerti tutto dentro, alla fine è il posto più sicuro in cui custodire le cose preziose”.

È vero, Duomo. È vero.