Fermare le lancette

Quell’orologio lo aveva comprato per le vie del centro di Cagliari, un pomeriggio di agosto di due anni prima. Faceva caldo, era umido e dopo un gelato si era fermato a guardare la vetrina di un negozio, piccolo ma pieno di tutto, non solo orologi ma anche collane, perle e brillanti. Il cinturino rosso, accompagnato da lancette blu ed un quadrante bianco, aveva rapito la sua attenzione e così dopo aver ispezionato tutta la vetrina decise di entrare mentre il suo amico, terminata una granita alla menta, era ancora impegnato in una conversazione telefonica seduto al bar.

Poche battute, chiese di vedere l’orologio dal vivo e senza troppe esitazioni tirò fuori la carta di credito e lo comprò. Un acquisto come tanti, anche se non spendeva mai troppo in vestiti e scarpe, però gli orologi avevano su di lui un particolare influsso, un ascendente strano da spiegare. Quell’orologio fu l’ultima cosa che si comprò prima di incontrarla. Due settimane dopo, di ritorno dalla vacanza, in una classica quanto scontata festa di amici, amici in comune ovviamente, la vide.

Dopo due anni, mentre si preparava per uscire e passarla a prendere, quando aprì il cassetto andò dritto su quell’orologio. Si stupì per non averci pensato prima, si sentì quasi in colpa per aver mancato quel dettaglio nell’attentissima preparazione di una serata che per troppi motivi non poteva essere come nessun’altra.

Sì, perché nel cassetto che aveva aperto c’era l’anello. L’anello per lei. Lo prese ed un attimo dopo la coda dell’occhio visualizzò l’orologio. Lo indossò, si infilò la preziosa custodia contenente l’anello nella tasca sinistra, spense la luce della sua camera e uscì di casa.

Nel tragitto verso il ristorante, un posto che dominava la città regalando una panoramica sensazionale, cercava di nascondere in qualche modo le sue emozioni. Lei non sapeva nulla e soprattutto, conoscendola molto bene, aveva capito che non aveva intuito l’epilogo di quella serata. Celò meravigliosamente la sua adrenalina, pur sentendosi sempre un po’ in difetto, aspettava come non era mai successo prima in vita sua quel momento fra la fine del gelato e il momento di chiedere il conto, ma intanto, ancora non avevano parcheggiato la macchina.

L’Imago Roof Restaurant era in cima alla scalinata di Piazza di Spagna e accanto all’imponente chiesa di Trinità dei Monti, erano tornati lì perché poche sere prima erano stati invitati ad una cena di lavoro dei colleghi di lei ed erano rimasti ammaliati dal posto, al punto tale da volerci tornare il prima possibile.

Mentre le luci di fine settembre iniziavano a far brillare Roma, presero posto a tavola e ordinarono senza tergiversare un attimo la specialità del ristorante, una delle delizie che avevano mangiato nell’occasione precedente.

A lui non tremava mai la voce, nemmeno la mano, o i polsi come recitava il detto popolare, eppure nei momenti che lo conducevano ad estrarre dalla tasca quell’anello e a proferire un paio di frasi sulle quali in fondo non poteva troppo fantasticare, sentì un lungo e profondo brivido pervadergli ogni centimetro del corpo.

Se la cavò più che bene e rimase fisso sugli occhi di lei, come se tutte le altre parti del busto fossero sparite. La scrutò per alcuni secondi ma gli sembrarono molto più lunghi, eterni, quasi cinematografici. Il tavolo riservato, e voluto fortemente in una zona meno popolata e con una vista ancor più esclusiva, gli permise di non aver occhi indiscreti su di lui, perché quelli di lei, iniziarono a grondare lacrime mentre lui continuava a battere il piede destro come aveva sempre fatto. Un vizio, un tic, un qualcosa che insieme al guardare ripetutamente l’orologio senza poi mai vedere l’ora, era un marchio di fabbrica che lo contraddistingueva, un qualcosa di molto suo.

Al sì, ai baci e agli abbracci, al conto rimandato due volte perché non c’era la lucidità per chiederlo e nemmeno ovviamente la voglia di interrompere una tale magia, gli tornò in mente il suo orologio, messo per l’occasione, indossato per un motivo speciale.

Quando dalla termosfera nella quale orbitavano scesero quanto meno sulla troposfera, a 15 km dalla Terra, si slacciò il cinturino e con un gesto netto e deciso tirò verso destra la rotella. Fermò le lancette sulle 22,42 e appoggiò delicatamente l’orologio sul tavolo mettendolo in direzione di lei.

Lo guardò senza aver capito bene il gesto e gli chiese il perché, la fissò e le disse semplicemente che non poteva fermare il tempo, almeno non poteva fermare quel momento e quelle emozioni, l’unica cosa che poteva fare era arrestare le lancette di quell’orologio comprato poco prima che il destino li mettesse sulla stressa strada. “Rimarranno bloccate su quest’ora, per sempre” le disse, quando lo vedremo ci ricorderà questo momento, perché da ora in poi il tempo che avremo davanti sarà solo nostro e non più di ciascuno di noi.

Erano le 22,43 a quel punto, e Roma emanava un profumo di vita che non avevamo mai sentito prima.