Chiudete le valigie, si va in Israele!

Mentre il Drastico continua a depennare dalla lista dei propositi del 2016 una voce dopo l’altra, io dichiaro fin da ora di avere fallito ampiamente uno dei miei punti: viaggiare meno.

Dopo questi primi 46 giorni del nuovo anno, domani prenderò il quinto aereo, e soprattutto mi farò il secondo volo intercontinentale, una tratta che per poco non batterà il record di volo diretto più lungo. Molto probabilmente il Roma – Pechino dell’11 settembre 2011 resisterà, se ci sarà qualche ritardo in corso d’opera, mentre attraverseremo il mondo, Toronto – Tel Aviv potrebbe balzare in testa nella classifica All-Times.

E quindi, dopo New York, febbraio regala anche il viaggio in Israele, un appuntamento che da tempo era stato già segnato con il pennarellone rosso sul calendario. Dieci giorni attraversando tanti luoghi che ora non sto qui ad elencare anche perché non ricordo bene, fra questi ci saranno Tiberiade, Gerusalemme, Betlemme, Nazareth, Petra ed infine Amman, infatti il volo di ritorno sarà della Giordania con scalo a Francoforte.

La Terra Santa è luogo che non ha bisogno di spiegazioni e racconti, andarci per lavoro ma con la possibilità di visitare e scoprire tanti posti dall’infinito valore storico e religioso ha un suo indubbio fascino. È sicuramente uno di quei viaggi che speravo di fare prima o poi nella mia vita, il destino mi ha regalato la grande possibilità e l’enorme privilegio di andarci con uno status speciale.

Nei documentari che gireremo, il mio si terrà a Gerusalemme, partendo dalla vecchia Fortezza Antonia e percorrendo tutta la Via Dolorosa con le sue 14 stazioni che segnano il percorso di Cristo fino al Golgota. Io ho scelto questo tema per diverse ragioni, in primis, perché la Fortezza era la sede della guarnigione romana.

Siamo 14 dell’ufficio con compiti e responsabilità precise, i 34 pellegrini che si aggregano faranno colore ma indubbiamente ci sarà uno spirito ben diverso nell’affrontare e vivere questa avventura. Chi è stato da quelle parti me ne ha sempre parlato molto bene e con entusiasmo, io sono convinto che sarà un meraviglioso ricordo al netto di fuso orario, impegni, stanchezza, voli ed escursione termina Canada/Israele.

Si parte domani, si torna il 6 marzo, giorno del mio compleanno e questo aspetto un po’ mi infastidisce onestamente, un momento che capita di domenica come nel 2011, quando ci sbarazzammo facilmente 5-1 del Genoa e la speranza è che succeda lo stesso con il Palermo, o come capitò anche nel 2005 ai miei 18 anni, con il Lecce di Zeman.

Parto con 28 anni sul groppone e rientrerò ancora più vicino ai 30, nel frattempo chissà cosa succederà. E sì, perché il 29 febbraio mi ricorderà dell’altro ad esempio, mi farà tornare in mente l’ultimo anno bisestile e così potrò celebrare esattamente l’anniversario della mia laurea per una volta con la data corretta. Certo, se mentre alzavo la coppa a Tor Vergata mi avessero detto che 4 anni dopo, il 29 febbraio del 2016, sarei stato per lavoro in giro per Israele, ci avrei creduto?

Dico di no, al massimo ci avrei sperato.

E allora, chiudete le valigie, si va in Israele!

Tra beffe e coincidenze. “Perché noi siamo il Torino”

Volevo scrivere questo post ma non sapevo da dove cominciare, o meglio non sapevo come impostarlo, tanto ero consapevole che sarebbe stato criptico e di difficile interpretazione, eppure cercavo lo spiraglio giusto comunque. Ci pensavo fin quando oggi pomeriggio, intorno le 5.30 sotto la metro, alla mia fermata di Dundas, controllo la mail e vedo un messaggio da parte del ragazzo del Basso Lazio. Il nostro vagabondo, il nostro scalatore che va come un etiope e macina km.

Mentre scorrevo le sue parole sul mio display, sorridevo per svariate ragioni e qualcuno si sarà anche domandato il perché del mio divertimento ma non ho badato troppo alle mie espressioni facciali e mi sono riletto la mail di David. Ridevo per alcune sue frasi, e poi per una serie di coincidenze assolutamente folli. Ho smesso da tempo di credere che esistano delle coincidenze, almeno io continuo a sostenere che mi capitino cose abbastanza strane e non perché presto attenzione a sfumature e dettagli, ma proprio perché sono talmente grandi che non posso non coglierle.

Pensavo quindi al Catto che gioca la sua partita mentre io disputo la mia, sui rispettivi percorsi ci hanno tagliato la strade due canadesi, piuttosto normale nel mio caso, molto meno nel suo.

Le considerazioni che facciamo entrambi a fine giornata sono uguali, e le pensiamo senza rivolgersi all’altro, ignari completamente di quello che sta succedendo dall’altra parte del mondo. Il tutto si consuma con un finale da Torino. E quindi con quella amarezza e quel fastidio, quel senso di beffa strano, come quando dici “Ho visto tutto, che altro può succedere?” E invece devi fare marcia indietro e aggiornare il tuo quadernone di situazioni al limite dell’improbabile.

Tutto questo succede in una settimana in cui io ho cambiato la foto copertina su Twitter mettendone una che a me fa molto ridere perché la trovo ironica, amara ma vera: “La vita è come Juventus – Torino. E tu tifi Torino”. Una settimana in cui decido di cominciare a leggere il libro regalatomi proprio da David su Gigi Meroni…che il mio amico vergò nella prima pagina con una bella dedica molto calzante. Siamo il Torino. E se sei il Torino, aspettati situazioni al limite del paradossale e con colpi di scena che non ti agevoleranno.

D’altra parte, appunto, sei il Torino, e quindi, che cazzo pretendi?

Provincia di Roma Nord

 “Qui sono tutti in urto l’uno contro l’altro, in modo che sorprende. Animati da un singolare spirito di campanile, non possono soffrirsi a vicenda”.

Johann Wolfgang Goeth

Arrivo sulla notizia con colpevole ritardo, almeno di qualche giorno, ma questo significa che ho vissuto le ultime ore con l’illusione che i secessionisti romani non esistessero. Invece, devo ricredermi anche su questo, ma come direbbe mio padre “Da sto paese te puoi aspettà de tutto” e questa ultima notizia lo testimonia. Senza dilungarmi troppo, qui trovate il link dell’articolo riportato anche da La Stampa su un nuovo partito, il PIRN, ossia il partito per l’indipendenza di Roma Nord. Da che voi vi chiederete? Da Roma Sud, dal resto della città, dalle borgate, dalla periferia più dura e cruda, anche quella più degradata. La notizia è tanto surreale quanto ridicola, e di conseguenza molto divertente.

Nella sua assurdità si annidano tante cose, la follia innanzitutto, la trovata “geniale” per certi versi dei tre ideatori che l’hanno tirata fuori ed un marchio di fabbrica tipico dell’italianità: la non sopportazione, l’odio reciproco e totale, l’intolleranza, il razzismo, lo starci fondamentalmente tutti sul cazzo, senza distinzioni.

Questo è il punto principale, senza troppo giri di parole. Noi storicamente ci odiamo reciprocamente, fra villaggi confinanti, fra città, fra regioni, nord e sud, insomma una enorme baraonda in cui esiste solo il noi e il loro. Una dicotomia costante, articolata in sottocategorie ma che si riassume nell’ostilità. D’altra parte è tutto molto normale nel paese del campanilismo, delle cento città, dove esiste un qualcosa di atavico, dove da otto secoli si detestano pisani e livornesi in seguito alla battaglia della Meloria.

L’Italia è questa e chi non lo vuole ammettere non vuole riconoscere la realtà frastagliata e infinitamente complessa di un paese unito da poco tempo e storicamente diviso. Fieramente diviso.

Un giorno ci scriverò un saggio su questo, sul rapporto e l’interazione fra rivalità, tradizioni, storia e sport. Sì perché questo ultimo è indubbiamente legato a doppio filo ai discorsi precedenti. Il calcio soprattutto è la cassa di risonanza che amplifica tutto. E se tu non sopporti quella città, puoi sfogare il tuo odio e rancore attraverso una squadra che incarna la tua origine e quindi il tuo profondo fastidio per qualcun altro, che non tifa per un’altra formazione, bensì che viene da un’altra città.

Ecco, chi non capisce questo, si smarrisce e concordo con lo storico inglese John Foot quando asserisce che non puoi capire l’Italia se non ne comprendi il valore simbolico e sociologico del calcio, questo è infatti indubbiamente il terreno di confronto più facile e libero, il luogo figurato comune in cui sbandierare senza timori il detestare “quelli di quel posto lì”.

Tornando a Roma, mentre i vari partiti stanno cercando il proprio candidato per il Campidoglio, dobbiamo registrare anche questa banda di discutibili personaggi. Originali, bravi nel capire che con una trovata così buffa potevano ottenere un po’ di visibilità e pubblicità, ma non troppo lungimiranti nel non rendersi conto che una tale pagliacciata avrebbe conferito loro sì qualche mezz’ora di gloria in cambio di renderli altamente improponibili.

Considerando che Ponte Milvio dovrebbe essere il punto di raccolta di questa nuova provincia che come targa dovrebbe avere RMN (RN è Rimini), hanno provato a chiederla ma non avevano fatto i conti con la città romagnola. Una nuova realtà insomma, una nuovo capoluogo di provincia, dove tutti sono ricchi, dove tutti hanno la filippina che il giovedì si prende il giorno libero, dove tutti hanno il SUV, dove i figli sono obbligatoriamente pariolini, dove la macchinina diventerà sempre più status symbol per i teenager, con Porta Flaminia colonne d’Ercole, prima che il Muro Torto conduca verso il mondo oscuro, prima che via Morgagni porti nell’agghiacciante dimensione popolare, magari della Stazione Tiburtina. Deve essere una brutta città questa, questa nuova che sorgerà intendo, con ragazze che hanno il nome delle strade: Flaminia, Aurelia, Cassia, dove il portafoglio è gonfio, dove le terrazze guardano il Cupolone, dove se fai una rissa ti picchiano con la cintura di Gucci o Versace. Quel mondo che va al mare a Fregene, che percorre l’Aurelia e sta più vicino alla Roma-Firenze.

Io non vengo da là, vengo dall’altra parte, esattamente dal lato opposto, da quel mondo da cui certa gente vuole dividersi. Io provengo dalla periferia sporca e disagiata, con problemi e pochi soldi, dove la cinta è falsa e devi stare attento che non te la tatuano addosso a forza di dartela sulla schiena.

Vengo da lì, fortunatamente, da dove almeno non c’è nessuno che partorirebbe una stronzata di tali dimensioni, come quella di chiedere l’indipendenza alla propria città.

Inerzia

È domenica, e doveva essere un lungo weekend, invece, sarà un mini fine settimana. Fuori fa -17, hai lasciato l’ufficio alle 18,45, l’Inter ha perso al 91’, il Milan ha vinto, la Virtus ha perso di 4 punti a Caserta, hai il raffreddore, il cornetto la mattina ti si è bruciato subito per una svista di un secondo, il sabato sera ti sei dovuto sorbire una rottura di coglioni telefonica di una, il tuo capo ha iniziato a metterti addosso una strana pressione del tutto immotivata e improvvisa. E poi? Poi boh, cioè vai avanti uguale, per inerzia, seguendo il flusso, prosegui. A prescindere. Perché di fondo è l’unica cosa che puoi fare. E allora, pensi che una bella giornata arriverà, e lo pensi con una convinzione figlia di non si sa cosa, non di “Mica può sempre piovere”, lo senti e ci credi. Ci vuoi credere, magari hai ragione. Alla faccia di chi diceva che eri pessimista.