Pasqua e Pasquetta

Pasqua. Alla fine, pure se non voglio, mi tocca fare comunque dei paragoni perché la situazione me lo impone. Per il pranzo di Pasqua siamo tornati nello stesso posto in cui andammo nel 2009 e nel 2012. Stesso luogo, stesso ristorante e stessa occasione, impossibile non fare parallelismi. Tralasciando il 2009, troppo lontano e inutile come termine di paragone, sarebbe di fatto anche impietoso per oggi, ho ripensato più che altro a due anni fa. Era aprile, eravamo solo noi 3 e mangiammo molto meglio dell’altro ieri. Faceva caldo, i primi caldi primaverili, quando le temperature sono già indubbiamente fuori stagione e il sole brucia. Tornammo facendo l’Appia e dalla nostra macchina uscivano le note di un disco di Lucio Dalla. Domenica invece siamo passati a Grottaferrata nella celestiale villa di un nostro amico di famiglia. Come due anni fa, di fondo, c’è ancora quell’instabilità di base. Era giusta e logica nell’aprile del 2012 quando meno di un mese e mezzo prima ero uscito dall’università, era tutto un divenire, con un senso di disorientamento e la speranza di qualche sorpresa. Ora è diverso, decisamente. Quel senso di non-certezza comincia a pesare, inizia a essere fastidioso e a creare inevitabilmente quella aria di insofferenza. Più o meno la situazione è simile, è solo che sono passati due anni, un dettaglio tutt’altro che irrilevante, e poi, nell’aprile del 2012, era meglio per mille motivi.

Pasquetta. Dopo i castelli, ieri è stato il turno del mare. Una delle magiche peculiarità di Roma è proprio questa, quella di poter spaziare e raggiungere ogni luogo in poco tempo. La casa della Bionda ad Anzio ha riaperto le sue porte. Giro per Nettuno, pranzo abbondante con dei meravigliosi gnocchi e delle saporite salsicce, nel pomeriggio grande relax sul dondolo che nelle case di mare ha un suo impareggiabile fascino. Le conversazioni si sono dilungate e hanno ruotato intorno i rapporti e le difficoltà che generano. Dopo un giro pomeridiano con tanto di gelato ad Anzio ci siamo imbarcati non per Ponza, come voleva Antonio, ma per casa.

Ci siamo divertiti, erano anni che non passavo una Pasquetta così: diversa, piacevole, inattesa. Magari replichiamo la prossima settimana, magari con tanto di Gallo al seguito e con una puntatina in spiaggia.

Frase di Pasqua

Andrea:“Ah non lo so Mattè, non so che me mangio a pranzo. So solo che ieri ho aperto il frigorifero di mia nonna e dentro c’era una fattoria morta…”

Libertà

Ci vuole molto poco per percepire il senso reale della libertà, quella sensazione rara e forse unica al mondo. Ieri pomeriggio, in maniera del tutto casuale, ho vissuto attimi di entusiasmo intenso, di piacere e soprattutto di libertà. Ero da poco uscito dalla redazione quando imboccavo la Colombo, superato il semaforo di via dell’Oceano Atlantico ho cominciato ad intravedere un traffico esagerato, diverso da quello solito, molto più intenso dell’intasamento classico delle 19. Prima di imboccare la rampa del Raccordo, sono rimasto quasi 10 minuti fermo, incolonnato, con quell’incipit di incazzatura che già avvertivo. Con la coda dell’occhio ho visto quanto fosse tutto bloccato sul GRA e allora ho deciso con un impeto di fomento e di menefreghismo di mettere la freccia a sinistra, uscire dal marasma totale ed involarmi sulla Pontina, verso il mare, verso un brivido. Dopo aver fatto una serie di gestacci rivolti a coloro che erano nel traffico, con tanto di braccetto fuori dal finestrino e con la musica in sottofondo mi sono precipitato verso la spiaggia. Venti di minuti ed ero a Torvajanica, con quell’animo leggero che ti fa cantare da solo in macchina cori contro la Juve e canzoni insensate e riadattata all’istante. Mentre ripensavo al traffico scampato, godevo nell’essere così libero di fregarmene di tutto, di non essere stato incastrato dall’ora di punta, dall’afa e dal “frena e parti” del Raccordo. Bello, bellissimo, deridevo gli autisti che imprecavano con l’aria condizionata a palla in macchina e io ero già a Campo Ascolano. Ho lasciato la macchina a Via Caracas, sono andato da Celori a prendermi qualcosa da mangiare e poi mi sono allungato in spiaggia. Erano le 7.30, molti stavano abbandonando il litorale ed il sole, pur volgendo al tramonto, riscaldava ancora. Con i jeans tirati su e seduto sulla pettorina dei Moschettieri utilizzata come mini asciugamano, mi sono sorseggiato il mio thè, in una scena felliniana. Lontano dallo stress cittadino, dal caos del rientro, stavo lì, in pole position. Guido Nicheli lo avrebbe detto sicuro in un momento del genere: sole, mare è sei in pole position. Alle 8.15 sono tornato in macchina, mi sono ricomposto e 40 minuti più tardi ero a casa. Ho fatto la scelta giusta, ho fatto bene ad andare al mare. Mi sono sentito la persona più libera del mondo.

 

libertà, mare, traffico

Sapore di mare (mica tanto)

Negli ultimi giorni mi ero lamentato soprattutto di una cosa, del fatto che dopo oltre un mese e mezzo di stagione balneare, per la prima volta in vita mia, ancora non ero riuscito a vedere un granello di sabbia. Alla prima occasione buona mi sono accodato ad Antonio e alla Bionda per una giornata sulla spiaggia di Torvajanica. Il problema principale alla fine però si è rivelato un altro ossia il mio stato di salute pessimo causato dalla maledetta aria condizionata che come ogni anno mi ha messo ko. Odio con tutto me stesso i condizionatori e tutto ciò che genera e produce questo cazzo di fresco artificiale. Detesto chi non la sa utilizzare e sintonizza l’apparecchio a temperature polari fregandosene di chi condivide lo stesso luogo. Martedì è stata la giornata in cui mi sono ammalato, la mattina c’è stato un diluvio mondiale, faceva freddo, poi caldo, nel frattempo tutti avevano rialzato l’aria condizionata e fra ufficio, palestra e biblioteca mi sono consegnato al mio nemico. La sera avevo mal di gola, il giorno dopo anche il raffreddore, ieri sera 38.3 di influenza. La giornata marina non so se mi abbia aiutato o meno, di fatto stavo già male e la sera sarei stato in coma lo stesso, alla fine la soddisfazione di aver visto il mare almeno per una volta ce l’ho avuta, anche se è destino che io e la spiaggia quest’anno non avremo una relazione facile. Ovviamente i miei molteplici acciacchi divengono l’ulteriore avversario con il quale dovrò confrontarmi questi giorni per preparare l’ultimo esame, studiare un libro di linguistica con la febbre è come pretendere di correre più veloce di un ghepardo. È evidente come questa sessione si sia trasformata in una sfida contro ogni avversità, in 40 giorni ne ho viste di tutti i colori e per ora sto ancora in sella, l’ultimo ostacolo da superare sta diventando ancora più complicato per una bella influenza che rende ancora più pepato questo scorcio finale. L’appuntamento è per giovedì 14 ancora una volta, come lo scorso anno questa data chiuderà gli esami, ma stavolta conterà molto di più ed esserci arrivato malgrado tutto vale doppio.

 

Il Coniglio Bianco inforcò gli occhiali: “Da dove devo iniziare, Maestà?” chiese. “Inizia dall’inizio” disse il Re con solennità, “e va’ avanti finché non arrivi alla fine: poi, fermati”

(Lewis Carroll)

 

 

Il prossimo post sarà il cinquecentesimo, un bel traguardo che vorrei tagliare con qualcosa di speciale, con un’idea diversa, particolare. Finora non ho avuto nessuna illuminazione, ma cercherò di onorare questo passaggio nel modo migliore.

Un Ferragosto insolito

Dopo ben 5 anni ho festeggiato anche io il Ferragosto considerando che da diverso tempo lo vivevo a casa senza far nulla, e molto spesso da solo poiché i miei genitori erano in giro o in vacanza da qualche parte. Ho voluto spezzare questa tradizione del non-ferragosto e così ho raccolto l’invito di Gabriele e mi sono aggregato al suo gruppo con destinazione mare, per una domenica sulla spiaggia di Fregene. Il programma prevedeva una lunghissima giornata marina, l’aperitivo e poi la sera in qualche locale sul litorale. Avendo deciso di non partecipare al resto della giornata, mi sono spostato  autonomamente, raggiungendo i ragazzi direttamente al mare. Il timore del caldo, del traffico ferragostano, l’assenza del parcheggio nei pressi della spiaggia e la strada che non ricordavo benissimo, sono stati i motivi che mi hanno spinto a muovermi in modo alternativo: con i mezzi pubblici. Giunto all’Anagnina, ho preso la metro direzione Termini ed arrivato alla stazione, sono salito sul treno per Maccarese-Fregene, 35 minuti di viaggio e sono sceso. Qui dovevo prendere la navetta per il mare, ma il mezzo era da poco partito e quindi avrei dovuto attendere un’ora. Vista la prospettiva inquietante decido di incamminarmi, dopo pochi metri, incontro un uomo che stava dipingendo il muretto fuori dalla sua casa e gli domando la direzione e la distanza da lì al litorale. Il signore mi indica la strada, e mi avverte dicendo che avrei dovuto percorrere almeno 5 km. Tranquillizzato dalla distanza non eccessiva, lo ringrazio e inizio a camminare seguendo le sue indicazioni e una famosa frase di Davide: “E vabbè, se nun ce stanno i mezzi se la famo tutta in corteo!”. Fomentato e molto fiducioso, parto con il mio zaino sulle spalle, imbocco la pista ciclabile, mi mangio il panino con la mortadella, mi bevo il mio succo di frutta alla pesca e dopo oltre due km, decido di girare a destra ad uno svincolo. Dopo pochi metri, una macchina si accosta vicino a me ed una signora mi chiede l’indicazione per il Singita, lo stabilimento che stavo cercando anche io, le rispondo che sapevo solo la via e niente più, che ero a piedi e non sapevo dove andare. Mi dice di salire e dopo aver salutato anche l’altra signora in macchina, partiamo alla scoperta del Singita. Sbagliamo strada una volta, ci fermiamo a chiedere indicazioni all’edicola fin quando imbocchiamo la retta via e giungiamo di fronte all’accesso della spiaggia. A questo punto, considerando il casino per parcheggiare, le due signore mi scaricano davanti l’entrata, le saluto e loro proseguono la caccia ad un posto auto. Malgrado le mille peripezie, c’erano solo Irene e il fidanzato lì ad attendermi, Gabriele è arrivato con il resto della truppa solo venti minuti più tardi. Dopo aver preso posto, è scattato il primo momento sportivo della giornata, il beach volley che ha visto me, Giacomo e Gabriele vincere in 3 set, dopo aver perso il primo. Prestazione imperiosa e successo meritato. Nonostante il mare un po’ mosso e l’acqua non proprio cristallina, decidiamo di fare il bagno e di mangiare appena asciugati. Finiti i panini, è iniziato il momento racchettoni, a seguire il beach volley nuovamente, fin quando siamo andati a Fiumicino per accompagnare Giacomo a riprendere la madre. Tornati in spiaggia, due calci al pallone con Gabriele in porta e poi l’atteso brindisi con tanto di crostata per celebrare i 24 anni di Giacomo festeggiati già la sera prima. Dopo gli auguri, mi sono preparato e sono ripartito a caccia di un mezzo che potesse riportarmi almeno alla stazione di Maccarese. Cammino per un km e mezzo abbondante seguendo le indicazioni della Municipale e arrivo in via Sestri Levante, dove mi confermano l’esistenza di un autobus e un’amara verità: anche in questo caso il pullman era passato da meno di 5 minuti. In attesa della corsa successiva, mi si avvicina una giovane ragazza orientale la quale mi chiede di farle fare una telefonata, in inglese le spiego che non avevo credito ma solo la promozione per inviare sms. Si accontenta della mia risposta e inizia a mandare sms ad un numero Wind, che poco dopo chiama direttamente al mio cellulare e inizia a parlare con la ragazza. Questa mi spiega che si era completamente persa, di non avere il cellulare e di essere del tutto disorientata. Dopo oltre mezz’ora di sms (alla fine ne ha mandati 4) e di telefonate, arriva fortunatamente il bus, saluto la ragazza, e salgo sopra. Pochi minuti e inizia a suonare il mio telefono, il numero sul display era quello con cui avevo parlato la giovane amica 10 minuti prima, evito di rispondere ma arrivano altre due telefonate. A quel punto mi incazzo e mando un sms in inglese a questo numero, spiegando che la ragazza non era più con me e chiedendo cortesemente di smetterla. Nel frattempo, l’autobus su cui ero salito avrebbe fatto tutta l’Aurelia e fino alla stazione metro di Cornelia, decido di non scendere più a Maccarese ma di arrivare fino al capolinea. Alle 20.15 scendo dal bus e imbocco il sottopassaggio della metropolitana, mi arriva un altro sms, sempre in inglese da parte della giovane amica dispersa, mi ringrazia aggiungendo che aveva ritrovato il ragazzo e il suo cellulare. Tutto bene quel che finisce bene, viva il lieto fine, buona serata e buon ferragosto. Alle 21 ero a casa mia, sano e salvo, e con la sensazione di aver vissuto una giornata estremamente insolita.

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