Modi di dire/2

Un mese e mezzo fa in un post intitolato “Modi di dire”, avevo fatto un brevissimo resoconto di alcune frasi del linguaggio popolare, soprattutto giovanile che io non sopporto. Oggi voglio in qualche modo completare quella mia considerazione aggiungendo altre esclamazioni che trovo orrende.

“A fratè”: tra ragazzi si usa questo modo di chiamare qualcuno, soprattutto se quest’ultimo è un grande amico, un fratello insomma. Molto spesso è preceduto da un Bella che aggiunge quel tocco in più, rendendo tutto ancor più brutto.

“A zzì”: altro modo dire che appartiene all’universo giovanile, simile a quello appena citato, viene meno quel concetto di grande amicizia, è più colloquiale e soprattutto più generico. Io non sopporto nessuno dei due, non li trovo simpatici e tanto meno alternativi o utili. Io non sono tuo zio e nemmeno tuo fratello, se ti sta bene posso essere tuo amico e mi puoi chiamare con il mio nome oppure con un soprannome.

“Eccolo”: pessima uscita, pessimo modo di rispondere al telefono. A Roma è piuttosto utilizzato da giovani e mezzi coattelli, alzare la cornetta o spingere il tasto verde del proprio cellulare e dire eccolo! Mi fa veramente ridere, soprattutto al telefono di casa quando non si sa chi ci possa essere dall’altro lato. L’ultimo pupazzone che ho sentito rispondere in questo modo era al McDonald di Via Casilina: cappellino appoggiato sulla testa, felpa scura, pantaloni della tuta di cotone con l’elastico in fondo e scarpe slacciate, un coatto in piena regola che mentre si gustava il suo cheeseburger ha risposto così al cellulare. Applausi a scena aperta per lui.

“Amo o Amò”: questa è una cosa che mi dava fastidio anche quando andavo alle elementari, non so come si possa storpiare e rovinare una parola sacra e allo stesso tempo splendida con queste forme apocopate. Amo è la versione settentrionale, Amò è quella ad esempio romana che ha il merito di essere ancor più brutta. Questi modi di dire sono frequenti nelle coppie dai 15 ai 30 anni più o meno, mi capita di sentirli il sabato pomeriggio quando si chiamano dentro un negozio di qualche centro commerciale con la seguente frase: “Amòòò, viè qqua!”. Mi dispiace per loro, ma sono felice di parlare in modo ben diverso.